Milano, 19 ottobre 2017 - 23:50

Visco Bankitalia, la telefonata (e l’allarme) di Finocchiaro con Gentiloni: «Come, non hai il testo?»

I timori di Palazzo Chigi di un’escalation sulla legge di Stabilità

Anna Finocchiaro e Paolo Gentiloni (LaPresse) Anna Finocchiaro e Paolo Gentiloni (LaPresse)
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Lì dove c’era Palazzo Chigi oggi c’è ground zero. E sotto le macerie politiche c’è quel che resta del rapporto tra Gentiloni e Renzi, con il segretario del Pd che si muove come se considerasse il premier sempre più ingombrante e con il capo del governo che — approssimandosi le urne — sente di essere avvertito come un ostacolo all’altrui disegno. L’affaire Bankitalia non è dunque la causa ma l’effetto di questa situazione, è il segnale che il leader democrat d’ora in avanti si terrà (ancor di più) le mani libere. Ed è l’indice delle preoccupazioni del presidente del Consiglio: in queste ore il suo timore — condiviso da Padoan — è che le tensioni si possano acuire fino a scaricarsi sulla legge di Stabilità.

A reggere sono solo le convenzioni, il «molto bene» con cui Renzi descrive l’intesa con Gentiloni e la «piena fiducia» che Gentiloni sostiene di riporre nella Boschi: due travi di sostegno per nascondere una crisi ormai manifesta, tanto che è iniziato lo scaricabarile nell’esecutivo e tra compagni di partito sulle responsabilità legate alla gestione dell’atto che ha scatenato il putiferio su Bankitalia. «Il governo sapeva della mozione», ha detto il leader del Pd. E ha detto il vero. Peccato che Gentiloni non conoscesse il testo. È stato il centrista Lupi a informarlo dell’imminente patatrac alla Camera, e in quel momento ha avuto inizio una storia vissuta nelle vesti di testimone da un esponente dell’opposizione. Ma al Senato.

Nelle stesse ore, infatti, si stava svolgendo la conferenza dei capigruppo a Palazzo Madama. Bisognava decidere il calendario d’Aula per la legge elettorale: nell’anticamera di Grasso c’erano i grillini a protestare, nella sala c’era grande concitazione. Forse per questo la Finocchiaro, ministro per i Rapporti con il Parlamento, non aveva avvertito la vibrazione del suo cellulare. Così un capogruppo di opposizione aveva attirato la sua attenzione: «Ti cercano con insistenza...». Sul display c’era scritto «Gentiloni». Impossibile non ascoltare la conversazione.

«Paolo ti richiamo fra un quarto d’ora. Sono al Senato e... Va bene, dimmi». Pausa. «Qual è il problema? Della mozione se ne stanno occupando Ettore e Maria Elena», il capogruppo del Pd Rosato e la sottosegretaria alla presidenza Boschi. «Per noi lì in Aula c’è Baretta», sottosegretario all’Economia. Pausa. «Va bene mandami il testo». Pausa. «Che vuol dire che hai solo il dispositivo. E il resto?». Pausa. «Come non ce l’avete... Aspetta sento Pier Paolo», cioè Baretta. La Finocchiaro chiamava il sottosegretario all’Economia, perché esordiva dicendo: «Pier Paolo hai chiesto il testo? Come non te l’hanno dato? Arrivo». Di scatto il ministro, il volto terreo, lasciava la riunione scusandosi per «un’emergenza». Il resto è la cronaca del blitz renziano, della trattativa per cambiare la mozione di cui si stavano occupando «Ettore e Maria Elena», della gelida telefonata tra Gentiloni e Renzi, del mezzo compromesso con cui il segretario del Pd marcava la differenza di posizione del suo partito rispetto al suo governo. Bankitalia è il colpo di pistola a Sarajevo, è l’inizio di una strategia elettorale, che incrocia una scelta istituzionale delicata e finisce per incepparne i meccanismi.

Dopo la sfiducia del leader democratico a Visco, e dopo che ieri Berlusconi non ha difeso l’Istituto centrale, la conferma del governatore è complicata. Com’è complicato sostituirlo. «Si sta cercando un sostituto», diceva l’altra notte un esponente del governo: «Ma non è facile. Intanto stiamo facendo ridere il mondo intero». Intanto si fanno largo mille ipotesi, compresa la permanenza di Visco a Palazzo Koch e l’inserimento di un direttore generale esterno come Marco Buti, proveniente da Bruxelles. Intanto la tensione tra Gentiloni e Renzi non accenna ad allentarsi, anzi.

Il comunicato con cui il premier ieri mattina ha spiegato che la sua decisione sarà ispirata «esclusivamente al criterio di salvaguardia dell’autonomia» di Bankitalia, lascia immaginare una soluzione interna. Ma è al cenno sulle sue «prerogative» nella scelta che ieri sera Renzi ha voluto replicare, intervistato su La7: «Rispetterò la decisione del premier. Una conferma di Visco non sarebbe una mia sconfitta». Tranne contraddirsi poco dopo: «Ma non è lesa maestà pensare a un rinnovo». Un’altra mina sotto i piedi di «the Hurt locker», che è il modo in cui a palazzo Chigi chiamano Gentiloni. Il soprannome è tratto dal titolo di un film sugli sminatori americani nella guerra in Iraq. Tanto per dare l’idea...

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