Milano, 26 ottobre 2017 - 20:16

Così Visco ha respinto gli attacchi.
Lo scudo di Draghi e di Mattarella

Ora la partita della commissione d’inchiesta parlamentare. In sei anni il governatore confermato alla guida di Bankitalia ha affrontato 7 crisi bancarie, da Etruria a Mps

Ignazio Visco (Ansa) Ignazio Visco (Ansa)
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L’outsider è cresciuto, in questi sei anni. E la determinazione con la quale Ignazio Visco ha respinto gli attacchi di mezzo Parlamento, Pd compreso, si è rivelata il presupposto indispensabile per restare al timone di palazzo Koch nonostante la tempesta. Presupposto senza il quale i suoi due grandi sponsor, Sergio Mattarella e Mario Draghi, non avrebbero potuto blindare la nomina nel segno della stabilità dell’istituzione e della salvaguardia della sua indipendenza. Visco, napoletano di nascita, 68 anni il prossimo 21 novembre, diventò governatore della Banca d’Italia sei anni fa a sorpresa. All’inizio della partita per sostituire Draghi (trasferitosi a Francoforte dopo la nomina a presidente della Banca centrale europea), Visco non era nemmeno tra i candidati. Ma beneficiò della guerra tra Fabrizio Saccomanni, allora direttore generale della Banca d’Italia, Lorenzo Bini Smaghi, fino a quel momento membro del board della Bce e Vittorio Grilli, direttore generale del Tesoro, spinto dal ministro Tremonti. Anche allora fu risolutivo il presidente della Repubblica.

Sette crisi bancarie

Giorgio Napolitano chiuse lo scontro, che anche sei anni fa rischiava di minare la credibilità e l’autorevolezza della banca centrale, scegliendo Visco, allora vicedirettore di Bankitalia. Il premier dell’epoca, Silvio Berlusconi, proprio come quello di oggi, Paolo Gentiloni, accettò la decisione del Quirinale. Del resto, era la giustificazione che il centrodestra dava dietro le quinte, la Banca d’Italia non era più così importante. L’autorità monetaria, dopo l’euro, è infatti passata in capo alla Bce. E dunque passi Visco, nonostante il suo sbiadito colore politico, certamente non riconducibile all’area di centrodestra. Solo che in questi sei anni è accaduto l’imprevedibile. La più grave crisi della storia d’Italia ha finito per investire — e non poteva essere altrimenti — anche il sistema bancario. Che, alla fine, tutti hanno dovuto ammettere non fosse poi così solido, compresa la Banca d’Italia che pubblicamente aveva sempre sostenuto il contrario. Visco si è trovato così ad affrontare in rapida successione 7 crisi: le 4 banche locali (Etruria, Marche, Chieti e Ferrara), il Monte dei Paschi di Siena, le due venete (Veneto banca e Popolare di Vicenza). E siccome le banche, da noi, sono fortemente intrecciate con la politica, la questione si è maledettamente incattivita. Non è bastato metterci una pezza — le inchieste (della magistratura e del Parlamento) diranno se adeguata e tempestiva o meno — cercando di salvare le banche e insieme i piccoli risparmiatori (anche se con rimborsi parziali). La questione, appunto, è diventata una battaglia politica. Nelle 4 banche locali fallite c’era per giunta Etruria, dove il vicepresidente era il papà di Maria Elena Boschi, braccio destro di Matteo Renzi. Che oggi dice: noi Etruria l’abbiamo commissariata. Slogan che non è mai piaciuto dalle parti di Visco, dove facevano osservare che, secondo la legge, il commissariamento fu deciso da Bankitalia e ratificato dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan. Mps poi è la banca da sempre più vicina al Pd e le venete sono strettamente legate al territorio e al suo ceto politico.

Difesa e contrattacco

Visco si è mosso in questa tempesta e, vincendo una certa timidezza, si è esposto in prima persona sui media in difesa della banca centrale e del suo operato: una mezza rivoluzione. Sul fronte politico il suo alleato principale è stato un ministro che politico non è, Padoan appunto, mentre i rapporti con Renzi e il «giglio magico» si sono via via deteriorati. Sul fronte tecnico ha avuto a disposizione un ufficio di vigilanza che, come ha riconosciuto due giorni fa il capo dello stesso, Carmelo Barbagallo, presenta a livello di sistema, cioè europeo, numerose «criticità» che, «con l’impegno di tutti», devono essere risolte. E si è mosso in un sistema giuridico interno dove, come ha ricordato il procuratore di Milano Francesco Greco davanti alla commissione parlamentare d’inchiesta, l’inadeguatezza normativa e la confusa ripartizione delle competenze tra Banca d’Italia, Consob, collegi dei sindaci, revisori dei conti e magistratura sembrano fatte apposta per favorire lo scaricabarile. Sul piano internazionale, invece, è dove Visco si è trovato meglio, grazie al consolidato rapporto con Draghi. Che però tra due anni non sarà più presidente della Bce. Ancora prima, la prossima primavera, le elezioni politiche potrebbero terremotare lo scenario di riferimento. I grillini sono contro Visco. Renzi pure. Berlusconi, per motivi tattici, gli ha accordato solo una tregua. Insomma, i prossimi mesi saranno difficili per Visco. Il Pd gli farà la guerra, a partire dalla commissione d’inchiesta. Visco lo sa. Ma ha imparato che la determinazione — qualità insospettata nel mite governatore che fu scelto sei anni fa — paga.

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