Milano, 28 ottobre 2017 - 22:13

Gori: «La legge elettorale? Al Nord per il Pd è un problema serio»

Il sindaco di Bergamo, candidato del Partito democratico alla carica di governatore lombardo: un errore snobbare i temi autonomisti

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«Con Monti e con Renzi si è cercato prima di controllare la spesa pubblica, poi di modernizzare il Paese dall’alto. Ora si riaffaccia l’esigenza di modernizzare l’Italia partendo invece dal basso, dai territori». Giorgio Gori, da sindaco pd di Bergamo si è schierato,«nonostante la propaganda leghista», per il Sì al referendum autonomista voluto da Roberto Maroni e ora si candida a sfidare, per la guida della Lombardia, proprio il governatore leghista.

Il sondaggio di Pagnoncelli è impietoso: il Pd rischia di perdere nei collegi uninominali del Nord. Dove si è sbagliato?
«Il centrosinistra è riuscito in questi anni a creare una classe dirigente alla guida delle città. È vero però che c’è l’urgenza di recuperare dal nostro repertorio l’attenzione per il Nord. Nella storia della sinistra la questione settentrionale è stata spesso centrale. Fu Guido Fanti da presidente dell’Emilia-Romagna, a metà degli anni 70, a inventare il tema della macroregione del Nord. Nel 2001 è stato il centrosinistra a portare a termine la riforma costituzionale attraverso cui ora Lombardia e Veneto possono chiedere più competenze da gestire. Il Pd deve tornare a essere interprete di queste esigenze, esattamente come si proponeva all’atto della sua fondazione».

Visto dal Nord, il Rosatellum è stato un errore?
«La legge va letta nel suo insieme; c’era l’esigenza di armonizzare i sistemi di Camera e Senato e questo passo è stato fatto in accordo tra maggioranza e opposizione. Dopodiché, dal punto di vista del territorio, i risultati del sondaggio mi preoccupano. Si apre un gigantesco tema di rappresentanza politica del Nord e delle Lombardia. Per questo diventa ancora più importante, per tutto il centrosinistra, la sfida per vincere in Regione».

Quando il suo partito ha smesso di occuparsi del Nord?
«C’è stata la stagione dei tecnici e di Mario Monti in cui il bisogno di salvare il Paese è diventato prioritario. Poi si è sperato che Renzi riuscisse ad avviare la modernizzazione di tutto il sistema, impresa di cui anche il Nord sarebbe stato beneficiario. Oggi si riaffaccia una spinta opposta. E questo succede nelle zone più esposte alla globalizzazione, dove lo Stato è percepito come un freno. Uno dei temi centrali è quello della potestà tributaria. La necessità di tenere cioè insieme la responsabilità di prelievo con la responsabilità di spesa».

Ma i referendum autonomisti mettevano al centro anche questi temi, eppure la sinistra li ha snobbati.
«È stato un errore. Noi sindaci del Pd abbiamo condiviso le obiezioni sul metodo scelto da Maroni, ma è chiaro che il rischio che il centrosinistra venisse percepito come il difensore del centralismo era concreto. Ed è un peccato perché invece l’autonomismo è un pezzo fondativo della nostra cultura. Abbiamo le carte in regola per recuperare, però».

C’è uno scollamento tra il Pd e i ceti produttivi del Nord?
«Io non credo. Governiamo le città più dinamiche della Lombardia e anzi mi faccia dire che se Milano oggi è quello che è, lo si deve ai sindaci di centrosinistra».

Lei si candida in Lombardia. Non teme di intercettare questo vento contrario?
«Per la stessa ragione mi sconsigliavano anche di candidarmi a sindaco di Bergamo. Ma le sfide sono divertenti quando sono difficili».

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