14 febbraio 2018 - 23:40

Come parlava il Pci: da «abatino» a «mosca cocchiera», 180 parole «perdute»

Il Partito Comunista Italiano usava un linguaggio proprio (e molto particolare). Riproponendolo, Franca Chiaromontee e Fulvia Bandoli, scavano nella storia italiana, tra politica e lotte operaie

di Lorenza Cerbini

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Così parlava il Pci: «Abatino»

La storia del Pci attraverso il vocabolario che veniva usato dai «compagni» di partito. Attraverso 180 tra parole e frasi Franca Chiaromonte e Fulvia Bandoli rendono omaggio alla memoria del Partito Comunista Italiano di cui sono state dirigenti. Quello usato da quel partito con il simbolo della falce e il martello era un vocabolario anche colorito. «Abatino», «gatto selvaggio», «mosca cocchiera», «politica del carciofo» sono espressioni oggi non più in uso, ma che le due ex parlmentari riportano alla memoria nel volume «Al lavoro e alla lotta» (Harpo Editore). Un libro di facile consultazione per chi volesse avvicinarsi a quel Pci per 70 anni protagonista della storia d’Italia e scioltosi con la «svolta della Bolognina» (12 novembre 1989-3 febbraio 1991) per confluire nel Partito Democratico della Sinistra. Un lavoro anche basato su ricordi e anedotti: si scoprirà che i «compagni» compravano solo auto Fiat, per dimostrare affezione al proprio Paese e che sia stata necessaria una settimana per convincere D’Alema a partecipare ad una riunione in cui erano presenti gli amici a quattro zampe. Ecco alcune parole e frasi tra le più curiose.

ABATINO. Piccolo abate. Il dirigente della Fgci che decideva di restare nell’organizzazione giovanile anche quando aveva superato i 25/30 anni, rinviando il più tardi possibile il suo passaggio al partito. Rispetto all’organizzazione giovanile il partito infatti era percepito come più rigido, meno divertente e piuttosto diffidente verso i giovani.

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