Milano, 4 novembre 2017 - 22:27

Elezioni regionali,M5S nella Sicilia affondata nell’isola degli sprechi che compra orche e si indebita

Se oggi il candidato del centrodestra rischia di perdere, è perché dietro di lui avanza la Sicilia dell’eterno ritorno, dove tutto all’apparenza è in movimento ma in realtà è immobile

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Se il sistema in Italia vacilla, in Sicilia può crollare. Se vince Grillo solo contro il centrodestra unito (5 simboli, 300 candidati) tutto può accadere.

Il candidato del centrodestra alla presidenza della Regione, Nello Musumeci, è un galantuomo: «Faccio politica da quando avevo 15 anni. Ne ho 62. Mi hanno rivoltato come un guanto; non hanno trovato nulla». È anche una persona seria: «Nel ’94 ero presidente della Provincia di Catania, quando la mafia mi condannò a morte. Ho avuto la scorta per nove anni. Ma non ho mai fatto il perseguitato di professione». Ha la tempra di chi è sopravvissuto a un figlio, e quindi non ha più paura di niente. Nel 2012 perse perché la destra era divisa; contro di lui si presentò Gianfranco Miccichè, che ora è il suo grande sponsor, ha convinto Berlusconi ad appoggiarlo nonostante le rughe, gli occhiali e il pizzetto bianco. Stavolta a dividersi è la sinistra, che si dilania per stabilire se farà meno peggio il rettore uscente e rientrante di Palermo, Fabrizio Micari, o il solito Claudio Fava. Se oggi Musumeci rischia di perdere, è perché dietro di lui avanza la Sicilia dell’eterno ritorno, dove tutto all’apparenza è in movimento ma in realtà è immobile, come i mascheroni barocchi da secoli spalancati in oscene boccacce sotto i balconi di Catania.

Totò e Raffaele, sempre in campo

Quattordici deputati — come vengono chiamati qui i consiglieri regionali, stipendiati meglio di Trump e della Merkel — che sostenevano l’ex comunista Crocetta sostengono l’ex missino Musumeci. Totò Lentini ha fatto uno slalom sinistra-destra-sinistra-destra, con un’agilità tipo Thoeni nei suoi momenti più belli. Alessandro Porto, presidente del gruppo «Con Enzo Bianco» al Comune di Catania, si candida con Berlusconi. Antonello Rizza ha quattro processi e 22 capi di imputazione.

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Francantonio Genovese, ex pd, condannato a 11 anni di carcere, è sostituito dal figlio ventenne Luigi. C’è pure Francesco Cascio, ex presidente dell’Assemblea regionale, ex alfaniano, condannato per corruzione. Forza Italia ha perso Vincenzo Figuccia, passato all’Udc, ma ha messo in lista Onofrio Figuccia «detto Vincenzo»: qualche elettore di sicuro si confonderà. Gaetano Armao, in teoria vice di Musumeci, non si candida ma piazza il suo teologo e padre spirituale Pietro Garonna, «detto Armao». E dietro di loro spunta il profilo sempiterno di Saverio Romano e Renato Schifani, nati a destra, passati a Roma con il centrosinistra e ora tornati al nido come rondini a primavera quando il clima muta e il vento si fa favorevole. Lo spettacolo è tale da disgustare pure Totò Cuffaro, che cinque anni fa era a Rebibbia («guardate com’è dimagrito, la galera per lui è stata una beauty farm» ha detto Grillo con una battuta crudele). Totò non vota perché ha perso i diritti civili ma fa sapere che sostiene Roberto La Galla per un nobile motivo: è primario della moglie radiologa. Molto attivo anche il fratello Silvio Cuffaro, sindaco di Raffadali il paese natale. Ridiscende in campo Raffaele Lombardo, che aveva preso sei anni e otto mesi per mafia ma è stato assolto in appello — confermati solo i due anni per voto di scambio, che sarà mai —: il gabbiano, simbolo del suo Movimento per l’autonomia, vola in una delle liste di Musumeci. Resta da capire se gli elettori sono mandanti o vittime.

Grillo arriva a nuoto o va in barca

Se i siciliani che abitano case abusive, fanno lavori precari, campano di sussidi, sono complici o non hanno scelta. «Ribellatevi, sono cent’anni che vi prendono in giro! — grida Grillo in piazza —. Dovreste essere i più ricchi d’Italia e invece siete i più poveri. Avete tutto, l’arte i vulcani le spiagge, e non avete nulla». A Grillo la Sicilia porta bene, qui ha avuto la prima affermazione, il 18% alle scorse regionali. Lui arrivò a nuoto, Gianroberto Casaleggio lo vegliava in piedi dalla barca con basco alla Che Guevara e mantello a nascondere il salvagente, nella bufera pareva Washington al passaggio del Potomac, «non è propaganda è un evento fondativo, la prova che può accadere qualsiasi cosa» mormorò allo sbarco. Aveva ragione. Grillo trovò i cronisti ad attenderlo e ancora gocciolante li salutò ferocemente serafico: «Cosa siete venuti a fare? Ormai non contate più nulla. C’è la rete. Quando tornerete in redazione non troverete più le scrivanie. Il tuo giornale ha chiuso, il tuo sta chiudendo, il tuo chiuderà...». Stavolta è stato ancora più diretto: «Se perdo non torno a nuoto, vengo qui con una barca di 25 metri e vi mando tutti affanculo». Il grillino che tallona Musumeci nei sondaggi, Giancarlo Cancelleri, come molti candidati Cinque Stelle è quasi trasparente. L’elettore deve avere l’impressione di votare per se stesso. Geometra, ha cominciato come magazziniere; il che è un merito, e lo sarebbe ancora di più se avesse aggiunto al curriculum un’esperienza amministrativa che però non ha; in compenso ha mandato in Parlamento la sorella Azzurra. Grillo lo chiama Cancellieri, con la i, anche se lo conosce da quando organizzò il Vaffaday a Caltanissetta e fondò i Grilli nisseni, prendendo l’1%. Ma il disastro complessivo è tale che molti siciliani guardano ai 5 Stelle come a un grimaldello per far saltare la macchina di debiti della Regione, e liberare le energie della comunità

L’orca sprecona destinata a Sciacca

La Sicilia è tecnicamente fallita. «Dovrebbe portare i libri in tribunale — dice Pietrangelo Buttafuoco —. Le elezioni non servono a conquistare un potere che non c’è. Sono un concorso per assegnare posti pubblici». E Pippo Baudo: «Musumeci è mio compaesano, di Militello come me, ma non mi pronuncio; sono troppo amareggiato». Gli sprechi sono tali che a un certo punto la Regione stabilì di potersi permettere un’orca: un’orca marina vera, comprata e messa a pensione nei mari del Nord — «non si ha idea di quanto costi allevare un’orca» sorride Buttafuoco — in attesa di essere portata al parco marino di Sciacca, che non si è mai fatto. La sinistra punta su volti nuovi: Mirello Crisafulli, ribaldo compiaciuto — «se fossi di Forza Italia sarei già a Guantanamo» —, che sostiene Luisa Lantieri, ex cuffariana; e Totò Cardinale, che nonostante la sua vicenda politica quasi secolare guida una lista che si chiama minacciosamente Sicilia futura.

Orlando: cuore a destra e fegato a sinistra

Micari, atteso oggi da una storica batosta, è andato in giro per i mercati di Palermo con il suo amico sindaco. Leoluca Orlando, volto da imperatore berbero, pancia ormai impressionante, piastrina al collo che lo identifica come portatore della sindrome di Kartagener — «sono stampato al contrario, il cuore a destra il fegato a sinistra; siamo quattro in tutto il mondo», si prepara a dar la colpa a Renzi: «Di Micari era entusiasta. L’ha sostenuto, sia pure da lontano». Il segretario Pd in effetti quasi non si è visto. È stato dappertutto invece Salvini, che ha scoperto l’incanto dell’isola, da Noto ad Agrigento: «Mi fa ribollire il sangue» s’indigna Cuffaro. Salvini, Berlusconi e la Meloni hanno parlato a Catania in tre piazze diverse a mezz’ora di distanza, poi si sono fatti selfie ridanciani in trattoria senza dissipare l’idea che la loro alleanza sia provvisoria. Il centrodestra unito potrebbe prendere una valanga di voti qui e nel resto d’Italia, se solo restituisse un’impressione di solidità; ma oggi il primo partito saranno gli astensionisti. «La Sicilia è davvero bella» si meraviglia il capo leghista. Però arriva il giorno in cui la bellezza non è una consolazione, ma un’aggravante.

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