Milano, 5 novembre 2017 - 23:29

Elezioni in Sicilia, Renzi: sconfitta netta, alle Politiche i bersaniani decidano che cosa fare

I distinguo del segretario tra il voto nell’Isola e a Roma. «Tutto come previsto, il risultato è quello che ci aspettavamo. Sapevamo che sarebbe finita così»

Matteo Renzi (Ansa) Matteo Renzi (Ansa)
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«Tutto come previsto, il risultato è quello che ci aspettavamo. Sapevamo che sarebbe finita così»: Matteo Renzi fa un giro di telefonate con i dirigenti del Pd senza negare l’esito inequivocabile del voto. Non lo farà nemmeno oggi, perché non è da lui: «È una sconfitta netta», dice ai collaboratori. Una sconfitta inevitabile, dal momento in cui Pietro Grasso ha deciso di non accettare la candidatura a governatore della Sicilia. Esattamente come voleva Mdp, ragionano al Nazareno. Esattamente come è stato. Perché doveva essere la Sicilia, per D’Alema e Bersani, la trappola in cui far finire Renzi. Però ha funzionato solo a metà, giacché stando agli exit poll Claudio Fava è sotto il dieci per cento. E il Pd, che certo non è ben messo, non si illudeva di prendere di più.

«I numeri sono quelli che sono»

Al Nazareno la vedono così: «Nel 2013 in Sicilia, alle politiche, i Cinquestelle presero il 33,6 per cento, la coalizione Pd-Sel-Tabacci il 21,4, mentre il centrodestra prese il 31,3». Perciò, per dirla come Renzi l’ha detta ai suoi: «Nessuna sorpresa, non credo che per questo voto su cui c’è tanto da ragionare qualcuno nel mio partito vorrà sparare a zero senza riflettere. Il 13 novembre ci sarà la direzione, i numeri sono quelli che sono e per me non c’è problema, però spero che anche i più critici si rendano conto che c’è bisogno di uno sforzo in più da parte dell’intera squadra perché stiamo tutti nello stesso partito». E quello «stesso partito», stando a quello che dicono al Nazareno, dovrebbe innanzitutto controllare che la trappola degli scissionisti, dopo aver fatto cilecca in Sicilia, non scatti invece alle elezioni politiche prossime venture. Elezioni che qualcuno (c’è chi fa i nomi di Mattarella e Gentiloni) non vorrebbe più a marzo, bensì a maggio, come ha scritto il Corriere (ma l’ex premier continua a pensare che chi vuole andare oltre «sbagli»).

Chi mantiene un canale di collegamento con il Pd

Secondo i sondaggi, alle elezioni nazionali il centrodestra avrebbe il 33,3 per cento, i grillini il 28,8 e il centrosinistra il 31,4. Il 6,1 andrebbe alla sinistra radicale. Insomma, lo schema Sicilia non è ripetibile perché lì dal 1991 a oggi il Pds-Pd veleggia intorno al 10-13 per cento e perché in quella regione il contributo di Bersani e D’Alema è quantificabile intorno all’uno per cento circa. La defezione degli scissionisti alle elezioni nazionali farebbe invece la differenza. L’eventuale decisione di D’Alema e Bersani di correre in proprio equivarrebbe alla sconfitta del centrosinistra sul tavolo da gioco delle elezioni nazionali. Sarebbe una responsabilità non da poco. Per questa ragione una parte degli scissionisti e dei fuoriusciti mantiene un canale di collegamento con il Pd. Tre nomi per tutti: Antonio Bassolino, che pure è appena andato via dal partito, l’ex viceministro Bubbico e D’Attorre.

«Serve un nuovo inizio»

È su questi esponenti della «sinistra a sinistra del Pd» che i pontieri di Campo progressista di Pisapia punteranno per cercare di unificare il più possibile il centrosinistra. Il Partito democratico è pronto all’operazione, come ha ribadito ieri il vice segretario Maurizio Martina all’Huffington Post: «Per il centrosinistra serve un nuovo inizio. Il Pd è pronto a confrontarsi senza veti con tutte le forze progressiste, europeiste, moderate, interessate a costruire unità e non divisione. Accanto a noi serve il protagonismo positivo di altre forze e altre energie. Serve un lavoro comune e serve fermare il dibattito sterile sulla leadership».

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