Milano, 5 novembre 2017 - 23:55

Sicilia, nel centrosinistra è resa dei conti. Un caso l’attacco pd a Grasso

Le parole di Faraone: Micari ha avuto il coraggio che è mancato al presidente di Palazzo Madama. Il candidato pd: «Il sorpasso di Claudio Fava? Mi sembra veramente improbabile»

Fabrizio Micari (LaPresse)
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«Gli exit poll in Sicilia non valgono niente...». Indifferente alle preghiere dei dem, che gli avevano suggerito di restarsene a casa fino a tardi, alle otto della sera Fabrizio Micari è già al comitato (semivuoto) di via Libertà. E alle dieci, quando si siede al tavolo dei giornalisti per stemperare la tensione, il rettore «intriso di università fino al midollo» ancora cerca motivi di soddisfazione: «Il sorpasso di Claudio Fava? Mi sembra veramente improbabile». Altro che sorpasso, per dirla con Lorenzo Guerini il candidato della sinistra è rimasto «fermo e inchiodato al risultato di cinque anni fa». Fava non ci crede e aspetta i dati veri: «Io tra il 6 e il 10 per cento? Ma no, sono molto più ottimista». La delusione della sinistra non consola il Pd, che balla sulla soglia del 10% come sulla prua del Titanic. «È una sconfitta annunciata, netta e indiscutibile», ammette Guerini, che tanto si era speso per tenere Alfano dentro l’alleanza.

Micari: «Berlusconi come Cetto La Qualunque»

La disfatta siciliana rischia di azzoppare la leadership di Renzi e aprire la sfida per la successione. Eppure Micari il «gentile» dispensa sorrisi e ottimismo, ricorda di aver macinato 22.413 chilometri alla rincorsa dei favoriti e ancora non si arrende: «Sono sereno, orgoglioso di aver recuperato in due mesi un quarto del voto di opinione». Nel centrosinistra già si guarda al dopo, a quella che Pippo Civati legge come «la fine della traiettoria politica di Renzi». Per il Pd è un trauma. Davanti alle telecamere il primo a metterci la faccia è Davide Faraone, regista con Leoluca Orlando della candidatura di Micari: «Fabrizio ha giocato una partita straordinaria, ma è una sconfitta chiara, evidente e lampante». Si apre il processo a Renzi? «No, la Sicilia e Palazzo Chigi sono due film molto diversi». Pochi metri più in là Micari non si stanca di paragonare Berlusconi a Cetto La Qualunque e di giurare che mai e poi mai si è sentito abbandonato da dirigenti del Pd: «Micciché dice che Renzi, candidandomi, mi ha fottuto? Non è così e non è vero che mi ha lasciato solo, ha mandato in Sicilia tutti i ministri del governo». Renzi farà un passo di lato? «È estremamente difficile che lasci a Gentiloni». Lei e il segretario vi siete sentiti? «Ho il cellulare pieno dei suoi sms...». L’ultimo di quand’è? «Ecco, se vuole una notizia le confido che da sabato non mi ha più scritto».

Inseguire il modello Palermo

Il gelo dei dem si respira anche qui, dove all’orecchio i renziani ti dicono che «Micari si è rivelato del tutto inadeguato» e rimproverano a Orlando di aver sbagliato la scelta per inseguire quel «modello Palermo» spazzato via dalla scissione di Mdp. La resa dei conti è iniziata e la strategia dei renziani — scaricare la batosta sulle spalle di D’Alema e Bersani — è destinata a fallire. La minoranza va all’attacco. «Anche se Renzi proverà a fare finta di niente perché ha i numeri in direzione — avvertono nell’area di Andrea Orlando — il problema della premiership si porrà inesorabilmente». Il 14 novembre in direzione un Guardasigilli in continuo contatto con il presidente emerito Giorgio Napolitano vorrà ridiscutere tutto, «dal perimetro della coalizione al nome del candidato premier». Franceschini è più cauto, ai suoi il ministro della Cultura avrebbe confidato che «con Renzi indebolito trattiamo meglio sui posti nelle liste». Emiliano e Orlando guardano a Gentiloni per allargare l’alleanza, ma fuori dal Pd prende quota la candidatura di Pietro Grasso, che Faraone indica tra i responsabili della sconfitta: «Abbiamo aspettato il suo sì per due mesi, finché Micari ha trovato il coraggio che a Grasso è mancato». Per Fava, convinto che questo voto sancisca «la bocciatura del Pdr che si appoggia a destra», il presidente del Senato è l’unica figura in grado di «rimettere in piedi una proposta di governo». E Arturo Scotto respinge le frecciate dei renziani: «Attaccare Grasso e prendersela con Mdp è lo sport preferito dei renziani». La guerra a sinistra è appena cominciata.

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