Milano, 14 ottobre 2017 - 08:50

Quoziente intellettivo in calo: ma non siamo più stupidi, solo più anziani

Un’equipe inglese ha studiato i test di QI e proposto una spiegazione al declino che dal nuovo millennio preoccupa gli scienziati. La colpa non è della tecnologie, nè dei cibi

(Getty Images) (Getty Images)
shadow

Le nuove tecnologie ci rendono più stupidi? È un’ipotesi già formulata per spiegare il declino del livello generale di quoziente intellettivo medio della popolazione umana che si registra a partire dal nuovo millennio. Ora questo trend, che continua e che ha preoccupato gli studiosi, potrebbe aver trovato una spiegazione più consolante grazie a un’equipe del King’s College di Londra, guidata dal neuropsicologo Robin Morris.

Possibile spiegazione

Per il professore la causa sarebbe l’invecchiamento della popolazione dovuto all’accresciuta attesa di vita. Negli ultimi decenni è molto aumentata la misurazione del QI degli ultrasessantenni, però le misure convenzionali dell’intelligenza dipendono in genere da aspetti di funzionamento della memoria: gli anziani non sono necessariamente meno intelligenti dei più giovani, ma con l’età tende a ridursi la capacità della cosiddetta «memoria di lavoro» (la working memory degli anglofoni) mentre regge bene la memoria a breve, quella attiva. Morris ha scomposto le parti del test di QI e ha evidenziato come si rileva un declino generalizzato della memoria di lavoro della popolazione, invece la parte del quoziente intellettivo che dipende dalla memoria attiva continua a crescere. Quindi il declino dell’intelligenza umana parrebbe andare a braccetto col fatto che viviamo meglio e più a lungo.

Il trend negli ultimi decenni

La discesa di 7-10 punti di QI al secolo emerso una decina d’anni fa sembrerebbe aver trovato una spiegazione più sensata rispetto alle fantasiose avanzate: ad esempio telefonini e videogiochi, pornografia, droghe leggere, la scuola in declino, l’analfabetismo di ritorno, il consumismo e la pubblicità, la carne e l’olio di palma... Tra l’altro la tendenza positiva sembra al contrario proseguire laddove la media nazionale del quoziente è ancora bassa, confermando l’effetto opposto che ci ha tenuto compagnia per qualche decennio, l’effetto Flynn, dal nome dello studioso che l’ha notato per primo: il miglioramento dell’intelligenza in tutti i paesi e tutte le culture, dovuto a migliore alimentazione, alla crescita della scolarizzazione e anche a una maggiore capacità di risolvere problemi logici e astratti, più frequenti nell’ambiente moderno. Fino alle soglie del nuovo millennio la crescita media è stata di circa tre punti ogni decennio, portando ad esempio gli Usa a un incremento superiore ai 13 punti di QI tra il 1938 e il 1984. L’intensità dell’aumento variava, ma il trend era ovunque positivo. Adesso no, ma è perché viviamo di più e meglio.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT