storia di copertina- 3
8 marzo 2018

Notizie o pubblicità?

L’esperta di moda del Corriere racconta la rivoluzione di blogger e influencer: la conquista delle prime file nelle sfilate, i conflitti di interesse, la pubblicità occulta. E ricorda quando rise di una ragazza bionda di Cremona che faceva il bagno nella lattuga

ERA IL 2010, AUTUNNO. Erano da poco finite le sfilate di Parigi e ce ne stavamo con mia cugina Valentina a chiacchierare in cucina sorseggiando una tisana. Chissà perché ho in mente la scena esattamente come era? In realtà lo so, il perché: i ricordi a volte si depositano inconsciamente per un meccanismo perverso che registra l’attimo in cui qualcosa diventerà. Comunque, entrambe in pigiama, con i ciappi sulla testa, chiacchieravamo di moda e abiti. Lei poco più che trentenne, io a tre dai cinquanta, ed è importante anche questo dettaglio. Mi dice: «Hai conosciuto The Blonde Salad?». Le rispondo: «Blonde chi?». «Ma come non la conosci? Nella moda è seguitissima. Ha un blog. Anzi bisognerebbe fare qualcosa di simile. È una ragazza bionda di Cremona. Il suo fidanzato la fotografa e tutti la seguono». Blogger? Blog? Non pervenuto. Corre di là e prende il computer e cerca e mi mostra l’immagine di una – effettivamente – biondona dentro una vasca da bagno stracolma di insalata. «No, vabbè cosa c’entra con la moda? Dior, Chanel, Valentino, Armani: ah, ah, ah» e cominciai a prendere in giro la mia cuginetta che si mise a fantasticare su di un blog che voleva aprire anche lei (ricordo persino il nome: Bianconiglie). Consigli per i regali, con da lì a poco il Natale in arrivo, ma naturalmente fu un flop. Perché non si inventa mai. Così è cominciato il mio rapporto a distanza con i blogger che poi sono diventati influencer. Nella totale noncuranza, all’inizio, ed è per questo che lo ricordo bene. Non aver colto un fenomeno di costume non è una cosa di cui andar fieri. Credo sia successo a tutti i non nativi digitali. I quindici anni che mi separano da Valentina sono quelli che “ci” separano dall’aver vissuto nascita e primi passi del fenomeno. Chiara Ferragni – The Blonde Salad – l’ho intervistata, ricca, famosa, bella, intelligente (già, pure intelligente) per la prima volta in vita mia pochi mesi fa, dunque sette anni dopo: era vestita Dior. Ed eravamo a Los Angeles. Era con Fedez e non faceva un passo senza che qualcuno la fermasse e le chiedesse una foto, a L-O-S A-N-G-E-L-E-S. E, lo giuro, ho pensato a quella sera in cui mi misi a ridere all’idea che una che faceva il bagno nella lattuga potesse conquistare il mondo del lusso. Non solo lei, fra l’altro. In questi sette anni blog&blogger sono spuntati come funghi riuscendo a fare in poche stagioni quel che i giornalisti e i compratori ci mettono anni a fare: da standing (l’odioso invito che alle sfilate ti fa stare fuori, in piedi al freddo e al gelo o al caldo afoso, per ore sino a che tutti i numerati non sono entrati) a prime file (come dire, il top). Arrivando con schiere di assistenti e fotografi, che spesso obbligavano a pigiare fra un posto e l’altro. Chiassosi e irriverenti, sempre, ovviamente, più alla moda di tutti. Personalmente, mi divertivano pure. Tanti, giovanissimi, sapevano (e sanno) tutto: vocabolari ambulanti di modelli e nomi di borse. Ed era (ed è) magnetico vederli confabulare, in inglese naturalmente, anche se sono di Bari, mentre si coprono di complimenti e si tastano i tessuti e si scambiano le borse. Realmente si occupano di quello che indossano. A loro comunque, prima di tutto, la moda piace.

PERÒ NON LI HO MAI PENSATI come alternativa all’informazione giornalistica e uso questi due termini che sanno un po’ di antico, ma sono sempre i più appropriati entrando nel tema. Ah già, prima, il nome da blogger e influencer per via di Instagram che ha velocizzato l’effetto: quello di influenzare e spingere la gente a comperare, consumare. Ed è in quel momento, quattro anni fa, più o meno, che parecchia confusione c’è stata. Influenza cioè informazione. Capitava che a qualche conferenza stampa ci fossero gli influencer, e sempre più posti in prima fila erano riservati a loro o in certe trasferte fossero inclusi nella lista stampa. Non senza sdegno da questa parte e con totale indifferenza dall’altra, culturalmente lontana. Debbo ammettere che arrivavano come alieni nel gruppo di giornalisti senza mai essere presuntuosi o supponenti per l’attenzione che li circondava (e li circonda). Molto professionali: tot foto e tot cambi d’abito, pranzi, cene, aperture e party, come da contratto. Noi giornalisti spesso a mollare prima, per scrivere i pezzi o anche solo per staccare la spina. Da parte nostra nessun dubbio tra i confini, precisi. Le riflessioni sono state tante, in quel periodo: noi raccontiamo, registriamo, critichiamo, nel bene e nel male, la moda, nell’ambizione che credibilità e attendibilità porti autorevolezza; loro la moda la indossano, magari anche quello che preferiscono, ma a pagamento e per far vendere. Sono il nuovo grande mezzo di comunicazione, diretto e immediato. Che fare? Ribadire? Aspettare, è stata un po’ la linea. Nel frattempo c’è chi ha fatto il salto dall’altra parte, è vero, affascinato da flash, follower e cachet. Chi ci ha provato, ma poi ha mollato. E chi un po’ si è lasciato influenzare dai giri di valzer e ha cominciato a cambiar t-shirt o sneaker o blusa ad ogni show, scoprendo la gioia negli occhi dello stilista alla vista del giornalista griffato maison. Vanità pura. E sì, anche rapporti più cordiali, che ci sta. Quale cronista di nera non ha portato il pesto buono all’avvocato tal dei tali per avere un occhio di riguardo sulle notizie?

Per carità. Più delicata sì è fatta la faccenda quando ha cominciato a finire su Instagram con tanto di appartenenza alla maniera degli influencer o blogger qual si voglia. In questo l’Unione Europea si è pronunciata e ha inserito il tema nel Gdpr, il regolamento sulla protezione dei dati, che l’Italia ha ratificato: è pubblicità occulta e va segnalata con un tool, un apposito strumento. E lo devono fare tutti. A onore di cronaca c’è stato un tempo (non così lontano) che più di un direttore di giornale è saltato perché nella dida della foto in cui compariva erano riportate le marche degli abiti che indossava. Però, deontologicamente, così dovrebbe essere. E vuoi perché se n’è parlato, vuoi perché la moda stessa ha inquadrato meglio e messo a bilancio l’uso degli influencer, da almeno un paio di anni i ruoli sono ritornati ad essere abbastanza netti e separati. E i front row, le prime file, più equilibrati. Almeno sino alla prossima.

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