18 dicembre 2017 - 20:29

«The Minister’s Black Veil» con Willem Dafoe (in incognito)

L’attore con il volto coperto in scena a Napoli in uno spettacolo di Romeo Castellucci: «Di lui si vedrà solo la bocca». Da mercoledì al festival Quartieri di vita a Napoli

shadow

Se anche non siete praticanti, andateci. L’omelia del reverendo Hooper è di quelle che valgono una messa. Chi vorrà ascoltarla dovrà varcare il portone della chiesa trecentesca di Donnaregina Vecchia, parte del Museo Diocesano di Napoli, prendere posto sulle panche di legno, cantare gli inni liturgici del breviario. E quando la musica sacra si fermerà, la parola al pastore. Che in tonaca d’ordinanza e un velo nero davanti al viso attaccherà il suo sermone incurante dello stupore degli astanti, impossibilitati a vedere chi si cela dietro quel drappo oscuro. Ed è un peccato, visto che il viso nascosto è quello intenso di Willem Dafoe.

«Peccato necessario, imposto dal testo stesso» spiega Romeo Castellucci, regista di The Minister’s Black Veil, da mercoledì in «prima» italiana al festival Quartieri di vita diretto da Ruggero Cappuccio. Liberamente ispirato all’omonimo racconto di Nathaniel Hawthorn, lo spettacolo, o meglio il rito — visto che si svolge solo in chiesa, un anno fa ad Anversa, prossimamente a Parigi — attinge a uno dei testi più misteriosi della letteratura americana. A cui però Castellucci ha voluto aggiungere il «pezzo mancante». «Hawthorn — spiega — nulla ci dice sulle ragioni che portano il prete a velarsi. Il perché di quel crespo nero che non si toglierà più, né in chiesa né a casa e nemmeno sul letto di morte, non lo sapremo mai. Ed è giusto così. Ma una domanda mi ossessionava: cosa avrà detto il pastore? Di certo, riferisce il racconto, nulla sulle ragioni del suo gesto. Così forte e sconcertante da creare scandalo, sollevare le ipotesi più disparate e trasformare la solita predica in qualcosa di sconvolgente». Un «inaudito» che ora ascolteremo. Castellucci ha sollecitato sua sorella Claudia, fondatrice con lui della Societas Raffaello Sanzio, di scrivere il testo immaginario di quell’omelia, che Dafoe pronuncerà in inglese mentre gli spettatori la leggeranno in italiano nel «breviario» consegnato all’ingresso. «Un sermone sulla fede, Dio, la paura, la morte. Parole pronunciate chissà quante volte, ma stavolta caricate di un senso fuori dal comune proprio perché vengono da quel buco nero che ha risucchiato l’immagine del reverendo». Così accadrà al pubblico, che si ritroverà nella medesima situazione di quella comunità attonita. «Per ricreare tale tensione avevo bisogno di una personalità carismatica. Di un sacerdote della scena dal fascino indiscutibile qual è Dafoe. Era la star che cercavo. Volevo il suo volto per non mostrarlo mai. Di lui si vedrà solo la bocca, tremante di emozione. Il resto è celato dal velo che, come il mistero della fede, copre il visibile per renderlo più vivido e urgente».

Un paradosso estetico legato a un altro spettacolo di Castellucci, Sul concetto di volto nel figlio di Dio che tante polemiche suscitò. «La domanda è la stessa: cosa c’è dietro il velo? Cosa nasconde il segreto di un volto?» Le buone domande non hanno risposte. E certi spettacoli si chiudono senza applausi. Al termine dell’omelia del reverendo Dafoe, si andrà via in silenzio. Il rito non vuole battimani.

© RIPRODUZIONE RISERVATA
ALTRE NOTIZIE SU CORRIERE.IT