Milano, 5 ottobre 2017 - 19:38

La compositrice Lucia Ronchetti: una rivincita dopo le porte chiuse in Italia

La Staatsoper di Berlino ha scelto l’autrice romana per la riapertura

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Dopo sette anni di restauri (e qualche polemica), a Berlino ha riaperto, martedì, il più antico teatro lirico, la Staatsoper unter den Linden. Gran festa per tutta la città, concerti con Barenboim, Pollini. Domani, con Zubin Mehta e i Wiener Philharmoniker. Il fatto clamoroso, però, è che la prima opera in cartellone, una novità commissionata del teatro, è di una compositrice italiana, Lucia Ronchetti. Si intitola «Rivale» e si ispira alla «Gerusalemme liberata» del Tasso, al duello fra Tancredi e Clorinda, tra Cristiani e Musulmani, filtrato attraverso una partitura del Barocco francese, «Tancrède» di Campra. In scena da domenica 8, alla Neue Werkstatt, è diretta da Max Renne, regia di Isabel Ostermann. Destino comune a tanti artisti, e oggi anche a tanti studenti, Lucia Ronchetti, romana, classe 1963, ha lasciato l’Italia da ragazza. La sua figura e le sue creazioni sono molto più note all’estero che nel nostro Paese. «Sì, spesso sono stata definita un “cervello in fuga”, ma ora le cose stanno cambiando», confida l’artista. «Una mia opera corale, “Inedia prodigiosa”, commissione del Teatro Massimo di Palermo, a gennaio torna a Santa Cecilia. Un grande onore».

Che cosa l’ha spinta a lasciare l’Italia?
«Dopo la laurea in Storia della musica, a Roma, con Pierluigi Petrobelli, non avevo molte chance. Non volevo fare la musicologa, volevo comporre. Con l’aiuto di Petrobelli, e sapendo il francese, ho fatto un dottorato a Parigi, con François Lesure, ho studiato composizione con Gérard Grisey, ho lavorato all’Ircam. Una scuola straordinaria. Mi stimolavano sempre a fare di meglio, avevo i due insegnanti più severi e intransigenti...».

Ha avuto rimpianti?
«Ho lasciato l’Italia per disperazione, nel 1987. Prima mi lamentavo tanto. Adesso penso che sia anche giusto così».

Cosa le è mancato, soprattutto, nel nostro Paese?
«Non si aprivano possibilità, non riuscivo ad arrivare a presentarmi come compositrice. A New York o a Berlino esiste la porta dove bussare. Bussi a Simon Rattle e lui ti risponde. O sì o no. Da noi è tutto vago... Là il committente crede nel compositore, prende il suo rischio. Dal Sovrintendente di Mannheim, Klaus-Peter Kehr, ho avuto tre commissioni: con lui è nato un dialogo che mi ha fatto crescere».

Si è sentita discriminata?
«No. All’estero, però, non fanno sconti. Se il lavoro piace, bene; altrimenti, non c’è particolare gentilezza: ho avuto produzioni con trenta articoli negativi. Ci si sente in una situazione lavorativa reale, in capo aperto, dove chi sbaglia paga. In Germania tutti i teatri d’opera hanno almeno una nuova commissione all’anno; in Italia no, le novità sono più rare e si tende a “proteggere” il compositore».

Parliamo della sua nuova opera, ”Rivale”. Che figura sarà questa sua Clorinda?
«Una donna dilaniata tra il dovere e il primo incontro con l’amore. È innamorata del nemico che sta invadendo la sua patria e sceglie di sacrificare se stessa. Sa che sarà lei a morire. È una Clorinda “proustiana”, sente quasi gli albori della psicologia: analizza il suo dilemma di giovane donna, bellissima guerriera, posta in una specie di palude spirituale. E in questo intercetta un attualissimo conflitto di culture, tra Cristianesimo e Islam».

In scena canta solo lei…
«Sì, Tancredi non compare. La protagonista è la mezzosoprano Amira Elmadfa, ragazza nata in Germania da una famiglia palestinese che, però, ha come voluto cancellare le proprie radici. Ora, per la prima volta, Amira si immedesima in qualcosa che in fondo già le appartiene: per lei, nel finale, ho aggiunto un’antica melodia araba. Attorno a Clorinda, accompagnata da una viola, suonano solo ottoni e percussioni metalliche, a ricreare un’atmosfera di guerra antica. Il dramma si svolge su un campo di battaglia. Gli orchestrali sono tutti uomini, maestri della Staatskapelle: rappresentano i guerrieri e la voce del mago Ismenor. A tratti devono recitare dentro gli strumenti, come dei megafoni. Gli strumenti stessi sono la scenografia»...

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