25 gennaio 2018 - 22:47

Giro d’Italia, il team israeliano si ispira alle imprese dell’eroe Bartali

Israel Cycling Academy si prepara pedalando sulle stesse salite affrontate dal campione tra il 43 e il 44 per trasportare i documenti falsi utilizzati dagli ebrei per scappare

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Il nonno ripeteva che c’è un tempo per ricordare il male e un tempo per celebrare il bene. Abraham Margaliot è stato uno storico, tra i primi a studiare le persecuzioni nella Germania nazista, a ripercorrere curvato sui testi le marce dentro l’orrore. Il nipote Ran ha scelto di ripercorrere la strada che porta da Firenze verso Assisi, inarcato nello sforzo e spinto dall’ammirazione. Ammirazione per il coraggio srotolato lungo 195 chilometri (altrettanti al ritorno), le carte nascoste nella canna della bicicletta.

Ogni anno dal 2016 assieme ai ciclisti che guida nella Israel Cycling Academy rende omaggio a Gino Bartali pedalando sulle stesse salite affrontate tra l’autunno del 1943 e l’estate del 1944: il campione trasportava i documenti falsi dalla stamperia clandestina e li depositava nelle mani del cardinale Elia Dalla Costa che a Firenze li distribuiva agli ebrei perché potessero sfuggire ai rastrellamenti. «Rivivendola in sella ci siamo resi conto che la sua impresa — spiega Ran negli uffici della squadra, in un sobborgo elegante di Tel Aviv — è stata anche sportiva: quasi 400 chilometri in un solo giorno e su una bici pesante come erano quelle di allora. Volevo che i miei corridori sentissero la fatica nelle gambe e si rendessero conto del pericolo corso dal grande Bartali».

Se fosse stato scoperto, sarebbe stato fucilato. Durante uno dei suoi viaggi da corriere della speranza era stato fermato per una perquisizione e aveva chiesto che la bicicletta non fosse toccata, le varie parti meccaniche — aveva spiegato alle guardie nazifasciste — erano calibrate per ottenere la massima velocità. La massima velocità e il miglior nascondiglio. «Sono questi i valori che voglio trasmettere ai miei ragazzi — continua Ran — quanto siamo disposti a osare, a esporci per salvare una vita umana?».

Così tra gli otto atleti della Cycling Academy che il 4 maggio prenderanno il via da Gerusalemme per il Giro d’Italia numero 101, Ran sta valutando Awet Gebremedhin, un eritreo rifugiato in Svezia: è scappato dalla dittatura che ad Asmara costringe i giovani a prestare il servizio militare senza data di scadenza. L’Eritrea non è in guerra ma il presidente Isaias Afwerki sfrutta la propaganda di un altro possibile conflitto con l’Etiopia per schiavizzare attraverso la divisa l’intera popolazione. Margaliot ripete «non siamo un movimento politico, siamo una squadra sportiva», eppure Awet è stato ingaggiato proprio nelle settimane in cui il governo israeliano ha deciso l’espulsione dei trentamila migranti eritrei e sudanesi, «infiltrati» li definisce la legge, contrabbandati dai beduini come fossero merce.

Non sarà politico, ma offrire a uno di loro la maglia bianca e azzurra — i colori della bandiera israeliana — è di sicuro un gesto ispirato ai valori di Bartali. Come ispirata a Bartali è la passione di Ran, a 29 anni team manager dell’unica squadra professionistica in Israele: spera che grazie al Giro il ciclismo possa diventare più popolare nel Paese, non lontano dal suo ufficio stanno costruendo il primo velodromo, dovrebbe essere pronto a settembre. La prima tappa, proprio intitolata al vincitore di tre Giri d’Italia e due Tour de France, sale e scende a pochi chilometri da Yad Vashem dove nel Giardino dei Giusti è inciso quel nome sulla pietra di Gerusalemme. Nel 2013 gli storici del memoriale dell’Olocausto hanno riconosciuto che le pedalate clandestine di Gino Bartali hanno salvato centinaia di ebrei. L’indagine dei ricercatori israeliani ha dovuto scavare anche attraverso il riserbo del campione toscano che aveva chiesto al figlio Andrea di non rivelare quegli «allenamenti» segreti fino a quando fosse stato vivo

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