28 gennaio 2018 - 11:51

Da Mourinho a Cacciatore passando per Pogba: cosa significa veramente il gesto delle manette

Da segno di rivolta contro la classe arbitrale a solidarietà con gli sventurati del pianeta o perfino con gli autori di gesti criminali

José Mourinho José Mourinho
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Calciatori e gesto delle manette. Ma cosa significa veramente? Tralasciamo la risposta che ai più sorge spontanea ovvero «Siete tutti ladri, dovete finire in galera» e cerchiamo di capire. Il grande psicanalista e pensatore Carl Gustav Jung sosteneva che dobbiamo sempre distinguere tra gesti simbolici che provengono dall’inconscio e la loro intenzione che diventa consapevole solo quando l’io se ne appropria attraverso una presa di coscienza. Un’interpretazione che in questo caso, diventa però ancora più difficile da fare se pensiamo che calciatori o allenatori pescati dall’arbitro ad incrociare i polsi, alla risposta a caldo sul «Perché lo ha fatto?» fanno seguire inevitabilmente una serie di spiegazioni rivedute e corrette volte più che altro ad evitare i rigori della giustizia sportiva.

Cacciatore e Mourinho

Del caso delle manette di Cacciatore (che tra l’altro ha chiesto scusa) sappiamo finora ancora troppo poco , anche se il labiale colto dalle tv nel corso della sua uscita «E’ assurdo non cambierà mai...» lasciano il sospetto che il calciatore fosse convinto di aver subito un’ingiustizia ad essere prima allontanato dal campo dopo la caduta e poi espulso al momento del gesto. Un’ingiustizia che probabilmente attribuiva (e qui stiamo anche noi interpretando) a quella che considerava una «tradizionale» sudditanza psicologica dell’arbitro nei confronti della squadra più blasonata (in questo caso la Juventus). Il paradosso però è che con quel gesto Cacciatore ha realmente favorito proprio la Juventus. E ora rischia tre giornate di squalifica, come quelle prese da Lorenzo Tonelli per lo stesso gesto nel 2016 quando ancora giocava con l’Empoli.
Molto di più si è detto è scritto sul gesto di José Mourinho in un Inter-Sampdoria 0-0 del 20 febbraio del 2010 che costò al tecnico portoghese tre giornate di squalifica e 40mila euro di multa (al termine di una partita rocambolesca con Samuel e Cordoba espulsi alla fine del primo tempo e Cambiasso e Muntari squalificati successivamente per due giornate per intemperanze fuori dal campo). Nella sua autobiografia lo Special One scrisse chiaramente «Quando ero all’Inter... ho avuto sempre la sensazione che gli arbitri facessero contro di noi errori a catena. Ad un certo punto ho iniziato ad allenare la squadra a giocare in 10 contro 11, per essere pronti nel caso in cui avessimo perso un uomo per espulsione. Ma mi sono dimenticato di fare gli allenamenti in 9 contro 11, come contro la Sampdoria quando furono espulsi due dei nostri». Quindi anche qui il gesto aveva secondo Mourinho stesso un duplice significato del tipo “noi giochiamo con le mani legate, perché tu arbitro sei da rinchiudere”. Anche se poi poco dopo il gesto a dire il vero Mourinho sosteneva di essere stato male interpretato. «Nell’episodio divenuto celebre come il “gesto delle manette” - scrive Valeria Napolitano in “Sport e tv. Stereotipi di genere e prospettive educative” Franco Angeli editore - si compenetrano strettamente, rafforzandosi vicendevolmente, l’uso della violenza e l’insubordinazione verso un sistema calcistico definito corrotto, in quanto dominato da una lobby gerarchica parassitaria e ipocrita».

Pogba e Cahill

Ma se il gesto di Mourinho è divenuto l’emblema della rivolta del calciatore o dell’allenatore contro la classe arbitrale e più in generale contro il «sistema», vi sono altri casi in cui il simbolo delle manette assume diversi valori d’interpretazione. E’ il caso di un gesto clamoroso quello di Paul Pogba il 17 novembre del 2017 nella partita vinta dal suo Manchester United contro il Newcastle, in cui mima il gesto delle manette dopo il gol. Il giorno dopo il calciatore ex Juve spiegherà così i polsi incrociati: ««C’è la gioia per essere tornato, ma le mie preghiere vanno a coloro che soffrono, schiavi, in Libia. Possa Allah essere con voi e possa questa crudeltà finire». Un gesto quindi a favore dei migranti tenuti prigionieri in Libia almeno secondo lui. Qui scatta però il dubbio: perché credergli sulla parola? Si è limitato ad imitare l’etiope Feyisa Liles, argento nella maratona maschile a Rio 2016 che fece il gesto delle manette contro la politica del suo governo nei confronti dell’etnia oromo, la sua, o voleva giustificare abilmente un’insofferenza verso l’arbitro? Niente però in confronto a Tim Cahill autore del 2-1 decisivo in un Everton-Portsmouth del 2008 in cui mima le manette davanti alla telecamera per ricordare il fratello finito in carcere. Non proprio uno stinco di santo. Sean Cahill colpì un uomo con due calci in pieno volto, facendogli perdere l’uso di un occhio. Arrestato e rimesso subito in libertà dietro cauzione, il fratello di Tim pensò bene di scappare in Australia, suo Paese d’origine. E così il percorso significato del gesto delle manette compie un cerchio completo: da una cosa al suo contrario. Da segno di rivolta contro il sistema a solidarietà alla cultura criminale.

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