28 marzo 2018 - 17:41

Trust, la serie tv sulla dinastia Getty: esagerata, ma divertente

Lo show in onda dal 28 marzo su Sky Atlantic racconta il rapimento a Roma del giovane John Paul Getty III, nipote del magnate del petrolio John Paul Getty, nel 1973

di Marina Pierri

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Un ricchissimo teenager viene rapito a Roma nel 1973 perché non è un teenager qualunque: è John Paul Getty III, nipote del magnate del petrolio John Paul Getty. Ecco la storia raccontata da Trust, la serie di Simon Beaufoy diretta in parte da Danny Boyle (in onda dal 28 marzo su Sky Atlantic) che riporta l’intrattenimento su piccolo schermo. 

La vicenda

Chi ha visto Tutti i soldi del mondo di Ridley Scott conosce la vicenda. John Paul Getty III, sedicenne hippie figlio di John Paul Getty Jr. e nipote dell’uomo più ricco del mondo John Paul Getty, finisce nelle mani della ‘Ndrangheta decisa a domandare un incredibile riscatto alla sua famiglia d’origine. Il rapimento porta il ragazzo in Calabria in un crescendo di minacce mentre il nonno annuncia pubblicamente che non pagherà neppure un centesimo per la sua salvezza; intanto sua madre, Gail Getty, e un ex uomo della Cia al soldo della dinastia Getty faranno di tutto per assicurarsi che non avvenga il peggio. 

Come viene raccontata in Trust

Quella di Getty III è una storia vera i cui dettagli sono stati infinitamente ricamati negli anni; Trust, però, opta per un'aderenza moderata ai fatti scegliendo di rappresentarla in maniera barocca e volutamente volgare come fosse una telenovela anni Settanta. È una scelta di stile precisa della serie tv prodotta dall’emittente FX e creata dallo sceneggiatore fidato di Danny Boyle Simon Beaufoy per la regia di Boyle stesso. Può piacere o non piacere, ma chi si avvicina alla prima stagione di dieci puntate (ne abbiamo avute in visione tre) sappia a cosa va incontro. Tutto, nello show, è eccessivo: i colori, le sembianze poco da sedicenne del bellissimo John Paul Getty III, l’uso smodato di droghe, le corse marchio di fabbrica del regista di Trainspotting, la campagna lussureggiante e una Roma da cartolina concorrono nella costruzione di un godimento visivo, quasi tattile. Si ha raramente la sensazione di stare osservando la Storia e il punto sembra essere questo: non è esattamente la realtà, è la realtà come immaginata dalla coppia creativa dietro film come 127 ore e The Millionaire.  

Tutti i (tragicomici) soldi del mondo

Sgargiante e sovrabbondante, lo show mette in scena la ricchezza estrema come fosse una barzelletta tragica, uno scherzo che non fa ridere. John Paul Getty, che nel film di Scott sembra più un Charles Foster Kane contemporaneo, nella serie di Beaufoy e Boyle è un Paperon de’ Paperoni pervertito fino al midollo, il sogno della generazione Playboy: tra iniezioni per mantenere la potenza sessuale, un mucchio di compagne interscambiabili di cui servirsi per soddisfare i propri appetiti, leoni nei corridoi e telefoni a gettoni per il ospiti, il miliardario è un uomo orribile. A portarlo in vita è un Donald Sutherland grandioso cui rancore e assenza di morale pendono dal labbro inferiore in un’espressione perennemente disgustata, e i cui occhi si illuminano solo quando si menzionano soldi e petrolio. È sua la colpa della depravazione della dinastia Getty, o così lascia intendere la sceneggiatura: è a causa della sua anima marcia se figli (morti) e nipoti sono privi di bussola e si ammazzano di droghe senza combinare nulla. 

Perché funziona

Una sola parola chiave: intrattenimento. All’epoca della cosiddetta peak tv — o sovrabbondanza di serie tv disponibili e in onda al punto da mettere in crisi gli utenti — capita sempre più di rado di guardare uno show di qualità che sia anche leggero. Succede con Trust, che si lascia godere di episodio in episodio con bizzarra spensieratezza a dispetto del tema e coinvolge dal primo minuto. La spinta ad andare avanti, a guardare tutto d’un fiato specie se non si sa come va a finire la vicenda del rapimento è enorme: questa sarebbe una serie tv meglio distribuita tutta in una volta alla maniera di Netflix, perché aspettare cosa accade di settimana in settimana è una mezza tortura. La tensione è alta, la passione per un’umanità alla deriva e per il racconto dell’ambizione sono un marchio di fabbrica della filmografia di Boyle e non c’è un momento di Trust in cui non traspaiano. Questo è uno show d’autore dall’inizio alla fine e il cast lo serve divinamente. Accanto a Sutherland Hillary Swank interpreta Gail Getty, ma nei primi episodi non si vede granché (è invece la protagonista assoluta del film di Scott); l’investigatore ex Cia ha invece il volto tutt'occhi di Brendan Fraser, celebre per blockbuster quali La mummia e qui davvero interessante nel suo ritratto del texano dal cuore d’oro James Fletcher Chace. Menzione d’onore anche per i «nostri» attori: Giuseppe Battiston funziona nei panni del proprietario corrotto di un ristorante romano ed essenzialmente spacciatore del giovane Getty, mentre un fenomenale Luca Marinelli nei panni del bandito della ‘Ndrangheta Primo ruba – come tipicamente fa Marinelli – la scena a tutti. Di Andrea Arcangeli, terzo italiano nelle fila di Trust, abbiamo visto poco perché appare alla fine del terzo episodio; siamo a conoscenza che, nella storia, Getty III fu realmente aiutato e accudito da uno dei suoi rapitori ma scopriremo di chi si tratta andando avanti nella prima stagione. 

In conclusione

Evviva le serie tv che fanno riflettere; quelle lente, difficili, che bisogna impegnarsi a guardare perché offrono un piacere intellettuale e culturale. No, Trust non fa parte di questa categoria. È un giocattolone dalle tinte vivide che si segue con trasporto, e per quanto sia effettivamente fallace tanto nella ricostruzione dei fatti quanto nella profondità psicologica dei personaggi ha qualcosa che molti show non hanno: è genuinamente divertente.

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