Milano, 11 ottobre 2017 - 07:55

«Buongiorno Kobane», ogni mattina la voce della ragazza che tiene vivi i sopravvissuti della città distrutta dalla follia Isis

«Radio Kobane» è un documentario con immagini molto crude: la voce radiofonica femminile non cessa di diffondere notizie mentre nella città, ridotta a un cumulo di rovine, le ruspe raccolgono pezzi esseri umani. In anteprima al Festival dei Popoli di Firenze

di Jacopo Storni

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La città distrutta, le macerie dappertutto, i resti carbonizzati degli esseri umani. Eppure la radio annuncia il buongiorno, quasi trionfalmente, con allegria e speranza. E’ la speranza che anima Dilovan Kiko, ventunenne curda che tiene viva, insieme all’amica Biter, l’unica stazione radio della città siriana Kobane, emittente sopravvissuta all’orrore dello Stato Islamico e adesso faro acceso verso il futuro della città, dove la ricostruzione, apparentemente impossibile, è il motore che guida la quotidianità delle persone.

E’ quanto racconta «Radio Kobane» del regista curdo Reber Dosky, documentario di punta della 58esima edizione del Festival dei Popoli, rassegna che presenta 82 documentari da tutto il mondo, in programma dal 10 al 17 ottobre a Firenze (www.festivaldeipopoli.org).
Radio Kobane (che sarà proiettato venerdì 13 ottobre alle 20.30 al Cinema La Compagnia di Firenze) è un documentario con immagini molto crude. Dall’alto la città è un cumulo di rovine, le ruspe raccolgono pezzi esseri umani: braccia, gambe, teste. Le carriole vengono riempite di scheletri, corpi divelti. E la voce radiofonica femminile non cessa di diffondere notizie. I microfoni entrano nelle case e raccontano la gente.

Notizie alternate a musica, per continuare a sperare. 94.3 FM, The Voice of Kobane. E’ la radio che non ha mai smesso di raccontare la strada, le persone e le loro sofferenze. Prima le decapitazioni dell’Isis, i carri armati dei jihadisti, la fuga dei civili, poi la riconquista della città, il ruolo dei curdi, le battaglie lungo i quartieri sventrati. «Durante la guerra non c’era più cibo, i gatti e i cani erano gli unici a essere ben nutriti perché mangiavano i cadaveri per le strade, i corpi morti lungo i quartieri, i pezzi di gambe e braccia – racconta il regista Dosky al Corriere – Lo Stato Islamico è arrivato a controllare l’80 per cento della città. Sono rimasto impressionato dalla forza dei curdi, e delle donne in particolare. Le combattenti curde sono state decisive. Erano estremamente motivate perché sapevano benissimo cosa le sarebbe successo se l’Isis le avesse catturate: sarebbero state vendute sul mercato come schiave sessuali».

E oggi il graduale ritorno alla vita normale, il lento processo di ricostruzione, pieno di speranza ma anche di delusione. «Le persone soffrono non soltanto per i danni materiali, ma soprattutto per le conseguenze psicologiche della distruzione – ha detto Dosky - Sentono di essere stati abbandonati dai governi occidentali durante il processo di ricostruzione: durante la guerra erano tutti amici, ma dopo la fine se ne sono andati. Non c’è stato e non c’è aiuto dalle organizzazioni occidentali. I curdi hanno combattuto per l’umanità e poi sono stati dimenticati, e questo è l’aspetto più doloroso».

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