14 febbraio 2018 - 18:21

Dentro le baby gang di Londra. Jermaine: «Qui come a Napoli. Io a a 11 anni arrestato per rapina» English version

Viaggio a Broadwater Farm, nord Londra dove imperversano bande di minorenni che «somigliano molto a quelle latine o a quelle che avete voi in Italia, soprattutto a Napoli».

di Amalia De Simone

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Potrebbe essere il Conocal di Ponticelli, il quartiere feudo dei giovanissimi del clan Di Micco in guerra con le bande dei d’Amico. E invece siamo a Broadwater Farm, nord Londra, con la stessa edilizia popolare, corridoi, androni. E anche qui ci sono giovanissimi organizzati in bande criminali, solo che non li chiamano clan. Alcuni rioni di Ilford dove ancora non è arrivata la gentrification, somigliano invece a Secondigliano o a Tor Bella Monaca.
Anche qui ci sono le gang, anche qui come a Napoli sono il sottoproletariato delle organizzazioni criminali, quelle che si affrontano per dividersi porzioni di territorio, attività illecite, (innanzitutto lo spaccio di droga), che si marchiano per certificare la loro appartenenza al gruppo, che ascoltano la musica che narra le loro gesta.
Jermaine era uno di loro. Viene da proprio da Ilford. Ora cammina a testa alta ma per raccontare chi è stato sceglie un posto lontano da occhi indiscreti. Sul sovrappasso della stazione circolano poche persone e il rumore dei treni sulle rotaie è il giusto alibi per riprendere fiato dai ricordi troppo violenti che prova a mettere in fila.

«Vengo da una famiglia di 10 fratelli e sorelle. Mio padre non c’era e mia madre faceva il possibile. A scuola litigavo sempre e così a otto anni sono stato espulso da molti istituti. A 10 anni mi avevano cacciato almeno da 4 o 5 scuole. Così ho cominciato a girovagare con membri della banda locale: bambini più grandi che avevano problemi, spacciatori di droga. Per qualche motivo ero attratto da quel genere di cose e da quelle persone. Ero attratto dagli spacciatori di droga, dai soldi. Sono stato arrestato per la prima volta quando avevo 11 anni – dice mentre cerca di controllare la rabbia - hai sentito quello che sto dicendo? A 11 anni, sono stato arrestato per una rapina. Poi ce ne sono state altre e altri crimini: pestaggi, pugnalate, sequestri di persona. Dagli 11 ai 17 anni sono stato costantemente arrestato per crimini diversi e i crimini sono diventati via via sempre più gravi. Ho fatto del male alle persone e ho iniziato a frequentare giri più seri. Non semplicemente gang. Ormai lavoravo con la criminalità organizzata. Ha cominciato con membri di bande locali, nei quartieri popolari e poi sono passato a stare con persone che stavano facendo affari a livello internazionale. E la faccenda è diventata più seria, i crimini erano più gravi, per via dei soldi. La posta in gioco era molto alta. Non sto parlando di 50.000 sterline, ma di affari da 500.000 sterline».
Ogni volta che fa qualche riferimento specifico agli altri affiliati torna sui suoi passi perché dice che la situazione e pericolosa e non dovrei entrare troppo nei dettagli.
Qual è il nome della tua banda? «Non dovresti fare queste domande...», dice fissandomi negli occhi. Quando hai deciso che era troppo e dovevi smettere? «Quando sono morti degli amici, quando sono finito in ospedale, quando ho capito che non ne valeva la pena».
E oggi Jermaine prova a spiegare tutto questo a ragazzini che sono finiti negli stessi giri. La sua associazione «youth against the violence» ne ha tirati fuori tanti. «Li facciamo studiare, diamo delle opportunità di crescita, di lavoro, di svago. Realizziamo anche dei film che spiegano questa realtà perché conoscere e capire il fenomeno è importante per trovare i giusti rimedi. Queste bande somigliano molto a quelle latine o a quelle che avete voi in Italia, soprattutto a Napoli».

La pensa così anche il rappresentante di Libera contro le mafie a Londra Davide Palmesano, un’ingegnere che dopo l’assassinio in Somalia di suo padre, il giornalista e cineoperatore della Rai Marcello Palmesano, si è dedicato allo studio e all’osservazione dei fenomeni criminali per la sezione internazionale dell’associazione antimafia. «Guarda qua – mi dice mentre passeggiamo nel quartiere di Broadwater Farm feudo della gang dei Tottenham mandem, una delle bande più feroci - guarda se questo “estate” (il quartiere di edilizia popolare, ndr.) non sembra una dei nostri ghetti. Qui in particolare, già dalla fine degli anni 70 i Tottenham mandem hanno stabilito il loro quartier generale e nel 2015 qui è stata trovata una raffineria di eroina abbastanza importante. Nel 2011 le rivolte che hanno sconvolto l’Inghilterra sono partite non lontano da qui. E scoppiano perché la polizia in un scontro a fuoco uccide Marc Duggan (Jermaine Lawder ci ha confessato di essere stato un suo amico ndr). Duggan oltre ad essere un affiliato alle gang della zona, proveniva da una famiglia di malavitosi irlandesi attiva a Manchester, i Noonan. A me questo posto fa pensare alle tante periferie italiane e non solo, a Scampia, a Ponticelli. E come sui nostri territori avviene la parcellizzazione dei quartieri da parte di piccoli gruppi criminali così avviene anche qui. In questo quartiere ci sono i Tottenham mandem che fanno parte della galassia degli Jamaican Yardis (yardis è una parola dispregiativa e quindi tra di loro non la usano), tutti originari della Giamaica ma ormai inglesi a tutti gli effetti perché figli di immigrati di terza e quarta generazione. A loro si sono contrapposti, in una faida durata tanti anni, un gruppo turco, i Tottenham boys. A sud di Londra troviamo i Peckham boys che hanno una struttura molto particolare: sono divisi in due gruppi, una parte ha elementi senior e l’altra invece è formata da ragazzini. A Est London abbiamo invece gli Hoxton boys e i London fields boys. I nomi poi cambiano a seconda dell’”estate” da cui provengono».

Per Anna Sergi, docente di criminologia e vice direttrice del centro di criminologia dell’università di Essex, alcune gang, in Inghilterra, hanno assunto la forma di vere e proprie piccole mafie, come per esempio nel caso degli Adams family, del quartiere di Islington. «Sono sistemi in cui la affectio societatis, quindi la creazione di un sistema di norme e valori sociali e culturali, viene mantenuta, creata e perpetuata fin dall’infanzia. Questi minori vengono armati dagli adulti e addestrati per le lotte di quartiere. Il tutto nel nome di una identità superiore che è quella della gang. Più la gang dura nel tempo. Più la sua reputazione cresce. E questo aspetto non le rende differenti dai nostri clan».

Palmisano sottolinea che in queste gang a 16 – 17 anni si hanno compiti importanti e a 22 si è gangster. Lo spiega mentre siamo ad Hoxton e mostra la scena di uno degli ultimi omicidi, quello di un affiliato ai London fields, assassinato con 15 colpi di machete. «Quando osservo queste faide mi viene in mente per esempio quello che succede a Napoli. Ci vedo grosse similitudini nei riti di affiliazione, nei simboli e nei modi in cui mostrano la loro appartenenza, come per esempio le scritte sui muri o i tatuaggi». Un esempio sono le scritte negli estate di Hoxton o Pecham e quelle per esempio del clan Sibillo nel centro antico di Napoli. Oppure i tatuaggi del clan Di Micco con le pistole e invece il pagliaccio che piange e che ride, tatuaggio simbolo dei Tottenham mandem.
Un altro elemento in comune è la musica. Come a napoli o in Sicilia ci sono alcuni musicisti neomelodici che cantano le gesta dei camorristi o dei mafiosi, così in Inghilterra ci sono dei rapper che fanno musica e cantano le «imprese» criminali delle gang e in qualche caso sono stati loro stessi implicati negli affari di queste bande. Basta fare un giro tra i videoclip di alcune canzoni dedicate alla camorra o alle mafie e quelli rap e hip hop delle gang per capire che ci sono molti elementi in comune. Per esempio nel video della canzone o capoclan c’erano espliciti riferimenti alla realtà criminale di Ercolano e il cantante fu processato per istigazione a delinquere. Palmisano ci racconta del caso di tre affiliati ad una gang di Peckham coinvolti, secondo le indagini, in un omicidio di un membro di una gang rivale. «C’è un video di una canzone rap in cui compare uno di loro e nella clip musicale si vedono droga e alcol. Si tratta di un video di bassissima qualità ma c’è tutto l’armamentario ideologico di questi personaggi».

Un’altra inquietante circostanza in comune riguarda la presenza delle radio dedicate a queste bande criminali. Ad Ercolano per esempio c’era una radio pirata attraverso la quale gli affiliati ai clan inviavano messaggi, decidevano appuntamenti, agguati e lo facevano utilizzando anche le canzoni neomelodiche (nella video inchiesta si ascoltano le intercettazioni, ndr.). Allo steso modo, nella parte a sud di Londra ci sono molte radio illegali gestite da personaggi che fanno parte di gang o che di fatto si mostrano parte di questa sottocultura e che fanno apologia della vita criminale. L’attivista di Libera contro le mafie, mostra un altro video musicale, stavolta fatto in maniera più professionale, dove ci sono auto di lusso e belle ragazze. «Questo video è stato realizzato dai membri della gang di Woolwich e questi ragazzi sono stati processati condannati perché detenevano un quantitativo di droga sufficiente a rifornire il sud di Londra per un paio di mesi. Stiamo parlando quindi di narcotrafficanti di un certo livello».
Scorrendo i commenti su YouTube ai vari video le storie criminalità vengono fuori: c’è chi ne è affascinato e chi li mette di fronte alla loro miseria. «In realtà il messaggio è lo stesso: noi facciamo una vita senza limiti, noi siamo gangster, siamo ricchi, siamo fighi. Evitano di dire però che poi finiscono in galera». Tutti giovanissimi come il rapper palermitano Daniele De Martino che nel video «Comando io», tra scene melodrammatiche, preparazioni di agguati e omicidi, racconta l’ascesa criminale di un predestinato piccolo boss. Un rapper che come spiega in alcuni articoli sul Corriere della Sera Felice Cavallaro, nella vita reale partecipa a eventi organizzati anche da personaggi vicini alla criminalità e che ha dedicato una canzone ad un violento rapinatore dal titolo decisamente eloquente: «O spara spara».

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