Il decreto Di Maio ferma lo sport

Il divieto di pubblicità sulle scommesse rilancia il “clandestino”
Il decreto Di Maio ferma lo sport© LAPRESSE
Giancarlo Dotto
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L’astratto furore dei moralisti. Più letale di qualunque piaga biblica, tenebre e cavallette incluse. Quando manca la grazia del pensiero, non resta che l’uso della mannaia. Che in questo caso prova a imbellettarsi con un effetto travestì tra il sinistro e il grottesco, dotandosi del vezzoso nome di “decreto dignità” (Alexandre Dumas aveva una qualche ragione nel preferire i cattivi agli imbecilli, con la scusa che i cattivi qualche volta riposano). Mentre Luigi Di Maio sembra impegnatissimo, da non si sa quale magistero kantiano, a restituirci la dignità perduta, a noi italiani brava e inguaribile gente di ludopatici e di viziosi, conviene fare due conti. Il divieto assoluto della pubblicità sull’azzardo, prima ancora che uno spiegabilissimo orrore concettuale ai confini della demenza, sarebbe una catastrofe per l’intera economia nazionale. Miliardi di euro di mancato gettito, tra fonti dirette e derivate. Denaro sottratto alle già pericolanti casse di comparti strategici pubblici e privati, quali le entrate fiscali, i media, lo sport.

A cominciare dal sistema calcio (tra le prime dieci industrie del Paese, con un giro d’affari di 13,7 miliardi), in cui l’allarme rosso è scattato già da anni, molto prima che i cecchini pentastellati si presentassero alle porte in assetto da plotone d’esecuzione. Per capire il danno, per niente collaterale, basti pensare che dei 200 milioni di euro investiti ogni anno dalla galassia ludica in pubblicità, la quota più rilevante, 120 milioni, è assegnata alle sponsorizzazioni. E che almeno dieci club titolati, mezza Serie A, hanno un partner legato al mondo delle scommesse. Contratti in essere per Inter, Juventus, Roma, Milan, Napoli, Cagliari, Lazio, Sampdoria, Genoa e Udinese. Senza contare i marchi presenti negli stadi, tra tabelloni luminosi, insegne pubblicitarie e backdrop delle interviste.

Capitolo fondamentale quello dei diritti tv, come dire il vincolo di sopravvivenza per il calcio italiano. Anche qui, soprattutto qui, l’effetto sarebbe letale in termini di budget decapitati. Azzerata la raccolta pubblicitaria televisiva legata alle scommesse (un affare da 70 milioni l’anno, di cui 35 solo a Mediaset), di quanto sarebbe svalutato e dunque impoverito il prodotto calcio? Vogliamo parlare di quanti posti di lavoro a rischio e del probabile massiccio ritorno del mai estinto del tutto fenomeno delle scommesse clandestine?

Quesiti evidentemente irrilevanti per Di Maio e compari. L’aberrazione, se possibile ancora più sinistra, nello sfondo di questo turpe decreto, è un’altra. L’idea di uno Stato che s’incarica di decidere cosa sia buono e giusto per le nostre vite. Se questa è la premessa, prepariamoci al peggio. Esattamente il presentimento di qualunque onesto e libero suino prima di diventare un’onesta e commestibile salsiccia. La sparo grossa. Piuttosto che lasciare a Di Maio il diritto di stabilire per me cosa sia salute e cosa sia malattia, preferisco riabilitare Al Capone, che da gangster sapeva almeno teatralizzare davanti ai giudici la sua attitudine al crimine (“ho sempre pensato che sia un’opera di bene dare alla gente liquori decenti e giochi d’azzardo onesti”).


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