Il palazzo del vicerè, la recensione

A 70 anni dalla 'partizione' esce il 12 ottobre in sala il film di Gurinder Chadha
Il palazzo del vicerè, la recensione© AP
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ROMA - Un film pieno di storia recente dell'India con dentro una storia d'amore. E con protagonista, proprio come dice il titolo 'Il palazzo del viceré', ovvero quell'enorme imponente struttura che l'Impero britannico volle a Nuova Delhi, quasi a monito del suo immenso potere. Il film della regista Gurinder Chadha ('Sognando Beckham'), già fuori concorso al Festival di Berlino e ora in sala dal 12 ottobre con Cinema, racconta i tumultuosi anni della fine dell'impero britannico in India con sullo sfondo la difficile storia d'amore tra due giovani, la musulmana Aalia (Huma Qureshi) e l'induista Jeet (Manish Dayal).

Ma al centro di tutto c'è la storia dell'ultimo vicerè, Louis Mountbatten (Hugh Bonneville) che insieme alla moglie Edwina (Gillian Anderson) ha l'ingrato compito di mettere mano alla partizione dell'India con le sue molte anime, ovvero alla sua liberazione dall'impero inglese, ma anche alla sua dolorosa divisione con la nascita del Pakistan. A 70 anni dall'indipendenza (15 agosto 1947), la regista anglo-indiana Chadha racconta così, con precisione e zelo, come nel 1947, dopo 300 anni di dominio britannico, il nipote della Regina Vittoria, Lord Mountbatten, con moglie e figlia, si trasferisce per sei mesi nel Palazzo del Viceré a Delhi. Il suo delicato compito, come ultimo viceré , è quello di accompagnare l'India nella transizione verso l'indipendenza.

Presto, però, nonostante gli insegnamenti di Gandhi, la violenza esplode tra musulmani, induisti e sikh e sfocia nella cosiddetta 'partition' fra India e Pakistan, coinvolgendo anche gli oltre 500 membri dello staff che lavorano al palazzo, compresi i due giovani indiani innamorati, entrambi al servizio del vicere', divisi dal conflitto delle rispettive comunità religiose. E quando la situazione precipita i due si troveranno a dover prendere una decisione epocale.


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