Pastori sardi & Co

La realtà dei pastori sardi è fatta da 12.000 piccole e piccolissime aziende il cui prodotto è destinato per i due terzi alla trasformazione in pecorino romano, questo stretto legame espone i pastori ai capricci del mercato che, seppur in crescita per i formaggi in generale, sta registrando una flessione consistente dei prezzi del pecorino, in parte dovuta a sovrapproduzione. Le proteste di questi giorni con copiosi spargimenti di latte per le strade di tutta la Sardegna, riflettono una crisi che tende a ripresentarsi da almeno un ventennio, affrontata quando va bene, con misure efficaci solo nel breve termine e consistite perlopiù in stanziamenti straordinari elargiti secondo le convenienze del momento.
Lo scorso anno, ad esempio, la Regione è intervenuta concedendo 13 euro per ogni capo ovi-caprino; nel 2010 invece una delegazione di 200 pastori, compresi donne e bambini, che volevano manifestare le proprie ragioni a Roma, sotto la sede del Ministero dell’Agricoltura, furono bloccati e malmenati sul porto di Civitavecchia e rispediti la sera stessa a Olbia. Insomma, ben che vada, i pastori riescono ad ottenere compiacenti elargizioni, in special modo in prossimità di elezioni. È il tipo di disattenzione riservato alle istanze che provengono dalla Sardegna, ex (ma non tanto) fattoria del Piemonte, e più in generale dal Sud. Ne sanno qualcosa i pescatori siciliani e calabresi che fronteggiano insostenibili aumenti di costi, tasse e vincoli troppo ferrei; gli agrumicultori messi in concorrenza “differenziata” con i produttori del Marocco; gli ulivicoltori della Puglia inascoltati per la problematica xylella e per gli oli di incerta tracciabilità; i braccianti del pomodoro delle varie Rosarno; i produttori di grano in guerra per la massiccia importazione di prodotto straniero.
Per contro si fanno le barricate per difendere gli allevatori padani che hanno sforato le quote latte, si paga per loro un salatissimo conto miliardario, e si continuerà a pagare visto che la Corte di Giustizia Europea continua a condannarci per il mancato pagamento; si scippa a Foggia la sede dell’Autority europea per l’alimentazione per portarla a Parma; si interviene tempestivamente stanziando parecchi milioni per salvare il parmigiano reggiano; si impongono dazi per tutelare il riso piemontese; si fanno accordi internazionali per tutelare l’olio, ma solo quello veneto; si promuove il panino McItaly con prodotti esclusivamente del nord; si istituiscono società fallimentari controllate dal Ministero delle Politiche Agricole (al tempo era Luca Zaia) per sostenere e valorizzare il patrimonio agroalimentare italiano (buonitalia spa) e poi si scopre che tutelano esclusivamente idee, prodotti, iniziative, progetti concepiti al di sopra dell’Arno; si fa l’expo a Milano per nutrire il Pianeta chiedendo l’appoggio di tutto il Paese e poi si varano regole per impedire ai terroni di partecipare agli appalti per le forniture.
A Sud il potere è la ramificazione periferica con il cuore altrove, e nelle sue dinamiche finisce per vincere sempre la minoranza più forte. Chi decide per il Sud? Decenni di immutato contesto imporrebbero un cambio di visione per i pastori sardi e per tutti quelli che hanno il Sud nel cuore.

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