L’erede

(di Paolo Palumbo)
21/12/17

La sconfitta militare del sedicente Stato Islamico ha mutato nuovamente gli equilibri di potere all’interno dello scenario jihadista, riportando in superficie gruppi terroristici dapprima fagocitati da insolite alleanze. In questo contesto, al-Qaeda, più di altri, ha dimostrato un’incredibile capacità di adattarsi rapidamente ai cambiamenti imposti dalle contingenze belliche. Dal 2014 l’organizzazione capeggiata da Ayman al-Zawahiri si è posta come un interlocutore alternativo alla brutalità dell’ISIS scongiurando, in modo intelligente, inutili prove di forza con il “califfo” al-Baghdadi. Durante la guerra in Siria, al-Qaeda ha manifestato doti camaleontiche che ne hanno assicurato la sopravvivenza e la possibilità di riconquistare nuovamente quella credibilità perduta il giorno in cui lo sceicco egiziano aveva biasimato la nascita del Califfato. Oggi al-Zawahiri ha 66 anni e se dovessimo tracciare un bilancio della sua dirigenza assodiamo una indubbia lungimiranza, soprattutto nelle scelte riguardanti le alleanze e le opportunità da inseguire. La leadership del medico egiziano – che vige incontrastata dal 2011 – ha oggi un possibile nuovo successore, il cui nome emerge dal gotha dello jihadismo: Hamza bin-Laden.

Il favorito

Osama bin-Laden – all'opposto di molti suoi correligionari integralisti – ha sempre nutrito un profondo rispetto nei confronti delle sue consorti anche se, fra tutte, solo una diventò la favorita: Khairia Sabar, una psicologa, figlia di una eminente famiglia dell’Arabia Saudita. Nel 1989, Khairia diede alla luce il piccolo Hamza, lo stesso giorno in cui la quarta moglie di Osama, Siham Sabar, partorì un altro erede chiamato Khalid. Lo stile di vita dei bin Laden rifletteva le esigenze del capo famiglia: quasi sempre nascosti, costretti ad abitudini spartane e pronti a fuggire all’approssimarsi di pericoli imminenti. Quando il leader di al-Qaeda fu obbligato a lasciare il rifugio in Sudan, il piccolo Hamza aveva solo sette anni e – senza troppe spiegazioni – si trovò a vivere in Afghanistan tra scomode caverne e cupi rifugi sotterranei1. Gli anni trascorsi tra le montagne forgiarono lo spirito del giovane Hamza il quale mostrò subito un attaccamento morboso nei confronti del padre: “he appeared in propaganda videos alongside his father, underwent assault training with al-Qa’ida fighters, and preached fiery sermons in a young boy’s helium voice2. Padre e figlio condivisero le giornate fino alla fatidica vigilia dell’attentato alle Torri Gemelle quando, per sicurezza, Osama trasferì moglie e figli in un rifugio sicuro in Pakistan, a Jalalabad. In Afghanistan, Hamza idealizzò l’immagine paterna da lui percepita come quella di un guerriero coraggioso; dal canto suo lo sceicco si comportò da padre premuroso e molto attento affinché l’educazione del figlio non sfociasse in un mero addestramento militare: “Hamzah could become a great mujahid but first needed time to mature3.

L’esperienza iraniana

L’attentato dell’11 settembre sconvolse gli equilibri mondiali, compresi quelli della famiglia bin-Laden la quale abbandonò le roccaforti afghane per riparare prima temporaneamente in Pakistan e poi in Iran.

Per il capo di un’organizzazione sunnita chiedere protezione ad un paese dominato dagli sciiti fu davvero una scelta azzardata, ciò nondimeno l’Iran era l’unica nazione mussulmana dove l’America non avrebbe mai osato mandare i suoi vendicatori. Inoltre, dal 1992, quando Osama risiedeva ancora in Sudan, Hezbollah e i capi di al-Qaeda sottoscrissero una sorta di tacito accordo in nome della lotta comune contro l’impero del male americano4. Le relazioni tra la famiglia bin-Laden e gli iraniani si mantennero comunque sul filo di una reciproca diffidenza, malgrado i patti e la frenetica mediazione di Atiyya Abdul Rahman, un Ayatollah libico noto con il nome di Mahmud. Dal 2003 il servizio segreto iraniano iniziò a marcare stretto le mosse dei bin Laden mettendoli sotto osservazione; per la famiglia saudita gli anni a seguire trascorsero all’interno di una struttura militare delle Quds Force nei pressi della capitale Teheran e sebbene non mancassero i generi di comfort, erano impossibilitati a comunicare con il resto del mondo5.

Nonostante le difficoltà, Hamza proseguì con alacrità il suo percorso educativo, intensificando la lettura del Corano, e oltretutto convolando a nozze con la figlia di Abu Mohammed al-Masri, suo precettore e comandante militare di al-Qaeda. La mancanza del padre però angosciava l’animo del ragazzo: “How many times – scriveva nel 2009 – from the depths of my heart, I wished to be beside you. I remember every smile that you smiled at me, every word that you spoke to me, every look that you gave me6. Nelle missive inviate al padre, Hamza lasciava trasparire non soltanto l’ansia di rivederlo, ma soprattutto il desiderio irrefrenabile di unirsi a lui per affrontare le battaglie future. Osama scelse di non ascoltare le istanze del figlio, tuttavia era consapevole che la sua parentela non potesse restare a lungo nelle mani degli iraniani. A Teheran la situazione stava, infatti, evolvendo verso il peggio e il clima sembrava non essere più favorevole al leader sunnita. Alla fine del 2010 Osama bin-Laden reclamò agli iraniani la libertà per sua moglie e i figli in cambio della vita di un diplomatico sciita tenuto prigioniero in Pakistan. A scambio avvenuto Hamza e la madre fuggirono in Waziristan, insieme ai fratelli maggiori Uthman e Mohammed: da quel momento la famiglia bin-Laden intraprese strade diverse e per alcuni mortali.

Destino incerto

Osama bin Laden temeva che il figlio rimanesse in Pakistan, per lui aveva in serbo grandi progetti e forse trovargli un rifugio in Qatar sarebbe stata la scelta migliore. Secondo il libico Mahmud, il Qatar era però uno stato poco affidabile perché vicino agli Stati Uniti e capace di consegnare il prediletto nelle mani di Washington per un qualsivoglia tornaconto. Hamza (21 anni), insieme a Uthman (27 anni) e Mohammed (25 anni) rimasero così in Waziristan in balia delle scelte paterne7. Lo sceicco saudita era combattuto tra il desiderio di avere accanto il figlio e la paura di perderlo come era successo a Saad, ucciso nel 2009 da un missile americano. All’inizio di aprile 2011 Hamza, accompagnato dalla sua famiglia, intraprese un lungo e pericoloso viaggio verso il rifugio paterno di Abbottabad, attraversando il Baluchistan per poi valicare il passo del Khyber, ma per sua fortuna non era ancora giunto a destinazione quando il Team Six dei SEAL americani irruppe nel compound pakistano uccidendo il padre e suo fratello Khalid. La madre Khairia fu presa prigioniera e condotta in un carcere pakistano, mentre il resto dei bin-Laden restò recluso in Arabia Saudita nei dintorni di Jeddah. Da quel momento Hamza fece perdere le sue tracce fino a quando, Ayman al-Zawahiri divulgò un radiomessaggio nel quale, oltre la sua voce, si udì quella di “a lion from the den of al-Qa’ida”, il cui nome era Hamza Usama bin-Laden.

La tanto sospirata alba per affrontare a viso aperto i nemici del padre era finalmente arrivata; nella sua prima dichiarazione al mondo islamista il debuttante Hamza spese frasi di lode sul martirio dei suoi parenti, rivolgendosi a tutti i fratelli di al-Qaeda in Siria, Iraq, Yemen e Nord Africa.

I messaggi del novizio saudita non contenevano nulla di originale e riprendevano, a grandi linee, i testi usati da altri noti predicatori jihadisti. Ad esempio, nel suo recente proclama The Cause of al-Sham is the Cause of Islam egli spronava i musulmani di tutto il mondo a colpire senza pietà il nemico occidentale, ispirandosi agli insegnamenti di Abu Musab al-Suri circa la necessità di azioni spontanee e individuali. “So let us be proud of the anger of the West and its hatred for us. – enfatizzava Hamza – Let us be proud of the West’s profiling of us as ‘terrorists’, for this no allegation; it is a badge of honor”8.

In ogni discorso (accuratamente diffuso in lingua araba e inglese), Hamza rifugge dall’uso delle videocamere, soprattutto per proteggere la sua immagine, ciò nondimeno il tenore degli anatemi assomigliano molto a quelli del padre e – fa notare Ali Soufan – “frequently repeat, almost word-for-word, sentences uttered by the elder bin Ladin during al-Qaidas’s heyday in the late 1990s and early 200s9.

Il tentativo di al-Zawahiri d’imporre il diretto discendente di bin-Laden avviene proprio nel momento in cui lo Stato Islamico sembra aver esaurito uomini e risorse nella disperata lotta per la sua stessa sopravvivenza. Può dunque Hamza rappresentare effettivamente il nuovo volto di al-Qaeda? Certamente il fatto di essere diretto discendente dello sceicco saudita esercita un indubbio fascino su tutti gli jihadisti ormai orfani del sogno di un Califfato. Non è un caso che proprio il già citato proclama The Cause of al-Sham is the Cause of Islam sia stato rivolto a tutti i mujahideen combattenti in Siria, richiamandoli all’unità e alla strenua lotta contro i tiranni. Thomas Joscelyn solleva però una questione molto importante che tocca proprio i destinatari del suo discorso: Hamza cita, infatti, molte volte la comunità dei mujahid, ma senza menzionarne il gruppo di appartenenza. Tale dimenticanza rispecchia la complessa situazione vissuta dai qaedisti in Siria: la fine del fronte di Al Nusra, la trasformazione in Jabhat Fath al Sham ed infine la fusione in Hay’at Tahrir al Sham10. È, infatti, di fondamentale importanza che Hamza bin Laden divulghi un messaggio di unione, proponendosi come il simbolo attorno al quale ricompattare i ranghi per una nuova Jihad.

Malgrado i nobili natali per l’erede di Osama, la strada per acquisire a pieno titolo la leadership di al-Qaeda è ancora in salita: i riferimenti ossessivi alla figura paterna comprovano una non piena maturità, faticosa da conseguire nelle attuali contingenze. Diversamente dal padre, Hamza non enumera nel suo curriculum esperienze belliche e neppure alcuna forma di militanza politica o religiosa. Il percorso intrapreso da Osama bin-Laden per creare dal nulla l’organizzazione islamista più potente del mondo è difficilmente replicabile, ma soprattutto non dobbiamo dimenticare come attualmente le forze occidentali mantengano il massimo livello di attenzione rispetto al velato disinteresse dimostrato negli anni Ottanta. Hamza è già ricercato dai servizi d’intelligence di tutto il pianeta e recentemente la CIA ha diffuso un video che lo immortala durante la celebrazione del suo matrimonio11. Ad oggi non sappiamo quale siano effettivamente le potenzialità di Hamza come possibile capo di al-Qaeda, anche perché complessivamente l’offensiva jihadista sembra aver accusato il colpo inflittogli dagli alleati occidentali. L’unica cosa plausibile è che la fine dello Stato Islamico sia stata effettivamente funzionale alle ambizioni di al-Qaeda per riproporsi al mondo come guida o “avanguardia rivoluzionaria” di tutti i movimenti islamisti12.

 

1 Nel frattempo la seconda moglie di Osama, Khadija Sharif, divorziò da lui mentre era in Sudan e la prima, Najwa, lo lasciò poco prima del 9/11. Ali Soufan, Hamza bin Laden: From Steadfast Son to Al-Qa’ida’s Leader in Waiting, in “CTC Sentinel”, September 2017, p. 2.

2 Ibidem.

3 Cathy Scott-Clark-Adrian Levy, The Exile. The Stunning inside Story of Osama bin Laden and al-Qaeda in Flight, New York-London, 2017, p. 370.

4 Hamza bin Laden. How Iran is Trying to Revive al-Qaeda, SAPRAC Saudi American Public relation Affairs Committee, URL: https://www.saprac.org/uploads/2/4/0/6/24062436/hamza_bin_laden_-_how_ir...

5 Il responsabile per la sicurezza della famiglia bin-Laden era l’ufficiale comandante delle Quds Force Qassem Suleimani. Tutto il periodo iraniano è ben documentato nell’opera citata The Exile.

6 Soufan, cit., p. 2.

7 L’unico figlio ad essere rimasto con il padre Osama era Khalid, figlio della sua quarta moglie Siham, nato lo stesso giorno di Hamza.

8 Hamza bin-Laden, The Cause of al-Sham is the Cause of Islam, del 14 settembre 2017. URL: https://www.longwarjournal.org/wp-content/uploads/2017/09/17-09-14-Hamza...

9 Soufan, cit., p. 5.

10 Thomas Joscelyn, Hamza bin Laden tries to rally jihadists in Syria, in “FDD’s Long War Journal”, September 14, 2017, URL: https://www.longwarjournal.org/archives/2017/09/hamza-bin-laden-tries-to...

11 Thomas Joscelyn, CIA releases video of Hamza bin Laden’s wedding, in “FDD’s Long War Journal”, November 1, 2017, URL: https://www.longwarjournal.org/archives/2017/11/cia-releases-video-of-ha...

12 Anne Stenersen, Thirty Years after its Foundation - Where is al-Qaida Going?, in “Prespectives on Terrorism”, Vol. 11, Issue 6, December 2017, p. 8, URL: http://www.terrorismanalysts.com/pt/index.php/pot/article/view/653/1300