Pranzi della domenica. In 30 parrocchie almeno una volta al mese

Da un quarto di secolo, la domenica, le parrocchie di Padova ospitano chi, durante la settimana, pranza nelle cucine economiche popolari di suor Lia. Un'occasione preziosa non solo di servire, ma di incontrare il povero e di tessere relazioni, eliminando le distanze e le insicurezze.

Pranzi della domenica. In 30 parrocchie almeno una volta al mese

L’intuizione la ebbe suor Lia un quarto di secolo fa: far sì che le persone che per tutta la settimana frequentano le cucine economiche popolari abbiano modo la domenica di pranzare in una parrocchia, immersi, anche solo per poche ore, nel tessuto di una comunità. All’inizio queste parrocchie si contavano sulle dita di una mano, oggi sono più di trenta ad aprire le loro porte almeno una volta al mese.

Stefano Talamini, di Santissima Trinità, è tra i coordinatori di questo impegno: «Vediamo un po’ di tutto: ci sono persone con problemi familiari e di relazioni, dall’ex carcerato ai migranti, da alcune badanti in difficoltà fino a italiani che arrivano da altre regioni ma che qui sono in tutto e per tutto soli, senza reti amicali o familiari che possano sostenerli».

Il format è più o meno simile in tutte le parrocchie: i volontari, spesso parte di gruppi già attivi nelle comunità, accolgono gli ospiti ma non si limitano a servire loro da mangiare. Si siedono a tavola e condividono il pasto, riuscendo, dopo un po’, anche a catturare la fiducia di chi siede loro di fronte. Vittorio Zaggia, della parrocchia del Sacro Cuore, rivela:

«Nei primi incontri di formazione che noi volontari facevamo al Pio X, Suor Lia ci diceva che non dovevamo stupirci se molte persone in difficoltà, quando si rivolgono a noi, le prime volte non parlano e tengono soltanto la testa sul piatto. La realtà è che ogni tanto questa loro testa la alzano, e davanti si devono trovare sempre la stessa persona, in modo che dopo averla vista una volta, due volte, tre volte, alla quarta siano in grado di sbottonarsi e raccontare la loro vita».

E allora tutto cambia.

«Per noi di san Giuseppe – racconta il parroco don Enrico Luigi Piccolo – i pranzi di solidarietà sono un prolungamento naturale, la domenica mattina, della mensa eucaristica. Vogliamo coinvolgere prima di tutto i parrocchiani, perché gli ospiti non siano gli unici invitati a questa tavola. In questo modo, chi viene può beneficiare, in un contesto di fraternità, di diversi volti e parole, in uno scambio di conoscenze che possa continuare di mese in mese. Il rischio più grosso, come ho rivelato più volte al direttore di Caritas don Luca Facco, è ridurre queste occasioni a momento soltanto per gli ospiti, senza interazioni con la comunità».

E aggiunge: «Una volta ogni mese il pranzo veniva organizzato da un gruppo parrocchiale diverso, così i volti cambiavano sempre. Poi, però, si è capito che soltanto prestando servizio con le stesse persone si potevano creare conoscenze più stabili».

Il clima di fraternità è agevolato anche dal numero degli ospiti, che oscilla dai venti ai trentacinque in tutte le parrocchie: «Rispetto ai buoni che vengono distribuiti – aggiunge Vittorio Zaggia – gli ospiti che si presentano a pranzo sono dal 60% all’80%. Alcuni, infatti, trovano alternative in centro e scelgono di non spostarsi con i mezzi pubblici. C’è anche chi arriva senza buono, ma noi, da buoni cristiani, non mandiamo via nessuno».

I parrocchiani, invece, partecipano con un piccolo contributo: «Si fermano famiglie intere, genitori con figli, che poi danno una mano ad apparecchiare e sparecchiare. L’importante è mescolarsi. Con le facce nuove è difficile parlare, mentre con i “veterani” si è instaurato un buon rapporto di amicizia, se non di dialogo: esprimono i loro pensieri, i loro desideri, ci raccontano le loro storie. Spesso, più che un aiuto materiale, chiedono un supporto morale e spirituale, la classica “pacca sulla spalla” che può aiutare a ripartire».

I tempi sono lunghi, a volte ci si mette anni, e non sempre c’è un lieto fine. Ma quando c’è, è festa per tutti: «Chi raggiunge di nuovo la tranquillità non viene più a mangiare. Ricordo poi la storia di un uomo, uscito di prigione, che dopo aver mangiato nella nostra parrocchia è stato ospitato da un gruppo cooperativo. È riuscito a stabilizzarsi, ora ha una casa, si arrangia con quello che guadagna e conduce una vita dignitosa. Spesso, però, la quarta domenica del mese viene da noi per salutarci e ringraziarci».

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