La parrocchia resisterà. Ma prepariamoci a cambiare

Le domande di partenza di questo pezzo possono essere diverse. Ma in realtà, la domanda vera, più atroce, è quella che forse nessuno ha il coraggio di esplicitare a voce alta: fra dieci o trenta o cinquant’anni, ci sarà ancora chi “farà” (cioè presiederà) la messa nella nostra comunità?

La parrocchia resisterà. Ma prepariamoci a cambiare

Le domande di partenza di questo pezzo possono essere diverse
Quella che fanno i “superiori” all’uno o all’altro prete: «Potresti per qualche tempo dare una mano in quella parrocchia?» (con esiti presumo vari, spero di solito positivi).
Quella che in questi mesi mi è stata fatta quasi ogni domenica: «Perché non si ferma qui nella nostra parrocchia?» (con risposta doppia: perché avete già un parroco; perché ho un altro incarico).
Quella più raffinata teologico-pastoralmente, incentrata sul rapporto tra chi presiede l’eucaristia e chi presiede la comunità, che banalmente potrebbe diventare anche «celebro come vorrebbe il parroco o come va a me?».

In realtà, la domanda vera, più atroce, è quella che forse nessuno ha il coraggio di esplicitare a voce alta: fra dieci o trenta o cinquant’anni, ci sarà ancora chi “farà” (cioè presiederà) la messa in questa comunità?

Domanda che può variamente tradursi: quante/quali comunità avranno sacerdoti in numero sufficiente per una decorosa vita e vivacità cristiana?
Quante parrocchie potranno (r)esistere senza un pastore che abbia tempo e modo di dedicarsi a loro?

Cosa fare dunque adesso?
Lungi da me il dubitare nella Provvidenza, ma i numeri del clero – anche nella “grande” diocesi di Padova – non lasciano margini alla fantasia o alle illusioni, e nemmeno all’ingenuo miracolismo:

ci saranno sempre più canoniche vuote, si dovrà ridurre il numero delle messe, ai preti si chiederà un impegno crescente, in più ambiti di servizio (parrocchie vicine, incarichi multipli ecc…), fino a età più avanzata.

È vero che, calando il numero dei praticanti, si ridurrà qualche richiesta, ma continueranno le molteplici domande della religione di scenario, quella “sullo sfondo”: matrimoni e battesimi dei figli (pure di non frequentanti), accompagnamento dei defunti, benedizioni e anniversari anche della società civile (25 aprile, 4 novembre, animali e trattori…), pellegrinaggi, cioè tutte occasioni che il bravo pastore tenta di far fruttare in chiave di (ri)evangelizzazione.
Per le abitudini orarie attuali, via via ci saranno meno fedeli da “messa prima” ma in ogni caso tra le 9.30 e le 11 mica ci potranno stare tutte le messe; e nemmeno a mezzogiorno.

Non ho risposte “finite” né teologico-pastorali né pratiche, ma qualche direzione la intravvedo:

◆ bisogna guardare avanti e non al passato («si è sempre fatto così»), immaginando “paesaggi” credibili al di là del proprio campanile e riducendo fin d’ora quello che non appare sostenibile;
◆ dire qualche no su aspetti secondari, in vista di sì più necessari (vale sempre, penso, l’antico aforisma: «Il chirurgo pietoso non guarisce la piaga»);
◆ per valorizzare la specificità dei preti, i fedeli vanno abituati a prendersi responsabilità e incarichi in prima persona, anche semplici (come guidare il rosario per il defunto) ma pure delicati (i conti della parrocchia), innovativi (la progettazione pastorale);
◆ senza cercare scorciatoie, come quella di “importare” preti da altre realtà ecclesiali, di solito più bisognose di Padova;
◆ la logica sarà quella dei piccoli numeri, di una chiesa “in uscita”, dei significati offerti prima che degli spazi occupati.

Se papa Francesco ci ricorda che: «la parrocchia non è una struttura caduca» ( EG 31 ), certamente la realtà attuale ne va ridisegnando il volto
La sfida è non subire i processi e le situazioni, ma guidarli o comunque cavalcarli, come l’onda nel surfing: con tentativi che uniscano dimensione popolare e innovazione, favoriscano l’esprimersi dei carismi diversi, superino campanilismi poco ecclesiali, puntino sul valore della domenica (“pasqua settimanale del popolo di Dio”) come momento essenziale d’identità cristiana personale e comunitaria.

Un cambiamento possibile, ma a due condizioni

La prima, è avere lo sguardo chiaro su traguardi e obiettivi futuri (per esempio: nelle unità pastorali si punta a un’unica parrocchia o no? A una sola celebrazione della Pasqua o a una per parrocchia? Con quali preti?) da condividere.
La seconda, è camminare nella logica della tradizione ecclesiale.
Quella che ci insegna un uomo sapiente e santo: «Cos’è la tradizione? È il progresso che è stato fatto ieri. Come il progresso che noi dobbiamo fare oggi costituirà la tradizione di domani» (papa Giovanni XXIII).

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