Intervista a Mons. Gerardo Antonazzo, vescovo della diocesi di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo

 

Gerardo Antonazzo è nato in provincia di Lecce il 20 maggio 1956, ed è stato ordinato sacerdote nel suo paese natale il 12 settembre 1981. Ha conseguito la laurea in Sacra Teologia presso la Pontificia Università Gregoriana in Roma, e la specializzazione in Scienze Bibliche presso il Pontificio Istituto Biblico della capitale. Fin dalla fine degli anni Ottanta del secolo scorso ha ricoperto numerosi incarichi presso la diocesi di Ugento-Santa Maria di Leuca. Nominato vescovo di Sora-Aquino-Pontecorvo il 22 gennaio 2013, ha ricevuto l’ordinazione episcopale l’8 aprile sul piazzale della basilica Madonna de Finibus Terrae di Santa Maria di Leuca, prendendo poi possesso della diocesi pochi giorni più tardi. Il 23 ottobre 2014, motu proprio, papa Francesco ha aggregato alla diocesi le parrocchie fin ad allora appartenute all’abbazia territoriale di Montecassino, disponendo che la diocesi mutasse il proprio titolo in quello di Sora-Cassino-Aquino-Pontecorvo.

L’intervista che segue è stata raccolta il 12 settembre 2017 presso la residenza sorana del vescovo.

Esiste ancora il bene nella società di oggi?

Il bene è di gran lunga superiore al male nella nostra odierna società. La riprova è che, nonostante tutto, l’umanità avanza nel suo cammino di crescita e di sviluppo. Il bene è sempre più silenzioso. Diceva l’antico filosofo e scrittore cinese Lao Tsu: «Fa più rumore un albero che cade di un’intera foresta che cresce».

È un bene che nasce solo in un contesto cristiano, ma anche al di fuori dell’osservanza della fede cristiana?

Il desiderio del bene è scritto da Dio creatore nell’anima di ogni persona, creata a immagine e somiglianza del Bene assoluto. Basta essere pienamente umani per essere capaci di compiere il bene. Certo, l’uomo è una creatura ferita dal peccato: il desiderio del bene non sempre si compie; anzi, a volte compiamo il male che non vorremmo fare, come leggiamo nella Lettera ai Romani. La storia biblica annuncia questa verità antropologica, e la illumina in modo decisivo quando rivela la necessità della fede in Gesù Cristo, uomo perfetto e vero Dio, per essere sempre più liberi dalla schiavitù del peccato e capaci di operare il bene secondo Dio.

Queste manifestazioni di bene “cristiano” sono frutto di un’autentica adesione alla fede cristiana, o piuttosto forme solo apparenti?

Credo che l’operato di ciascuno riguardi soprattutto la sua coscienza, di cui è giudice solo Dio.

Cosa deve fare il “vero” cristiano per indicare la strada verso il bene?

Gesù dice: «Io sono la Via, la Verità e la Vita». Il bene si compie percorrendo la strada del Vangelo, imparando ad imitare Gesù, che è verità e dona la vita piena di vera felicità.

Il male, invece, viene da Satana o dagli uomini?

L’origine e la causa di ogni forma di male è Satana; ma la sua azione è favorita, a volte scatenata, dalla complicità della debolezza umana, esposta alla tentazione per tutto ciò che sembra allettare, ma che delude e distrugge la dignità propria e altrui. Questo getta molto spesso nella solitudine e nella disperazione. Per definizione Satana è colui che inganna.

Spesso si prega Dio quasi chiedendogli di sostituirsi all’uomo. Cioè, c’è una forma di preghiera che è quasi un modo di deresponsabilizzarsi, come a dire: “Sei onnipotente, pensaci tu”. È lecito pregare in questo modo?

La preghiera cristiana non corrisponde al meccanismo di un distributore di bevande. Nemmeno può pretendere da Dio. Mentre il cristiano crede nell’onnipotenza di Dio, sa anche riconoscere la propria responsabilità nell’agire quotidiano. Quando prega, chiede a Dio di essere sostenuto nel compimento del bene che è chiamato a compiere in prima persona. Il cristiano sa mettere in esercizio il senso autentico della libertà, che consiste proprio nella responsabilità con cui decide le sue scelte secondo il vero bene da raggiungere.

Si può conciliare l’idea di una Chiesa povera, come predica papa Francesco, con la circostanza che però la Chiesa è materialmente tutt’altro che povera?

La povertà deve essere prima di tutto di ogni cristiano, di ogni battezzato: «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli». La povertà materiale dipende da quella spirituale, cioè dal modo in cui viviamo il rapporto con le cose materiali. Povertà non significa non possedere, ma saper possedere, seguendo il principio della solidarietà e della fraternità. A nessun battezzato è lecito vivere nell’egoismo e nella bramosia delle ricchezze materiali, né laici né religiosi. Ciò che un cristiano possiede deve essere condiviso nel segno della solidarietà e della promozione sociale, e nei modi in cui questo può essere possibile, per sostenere chi è nell’indigenza dei beni materiali.

In passato, ma anche nel presente, i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica sono sempre stato impostati in una maniera un po’ ambigua, con l’appoggio incondizionato a partiti che “predicavano bene e razzolavano molto male”. In realtà come ritiene che andrebbero impostati i rapporti tra Stato e Chiesa?

Non intendo fare una disamina storica su tale rapporto. Credo, in linea di principio, che bisogna fare riferimento allo spirito della reciproca collaborazione, così come è delineata nell’ordinamento pattizio che regola sapientemente il rapporto tra i due Stati.

La classe politica odierna, a qualsiasi livello, è fatta di uomini disposti a recepire certe istanze?

Dipende a quali istanze facciamo riferimento. In linea generale, è evidente lo scollamento tra l’azione politico-amministrativa e la percezione molto negativa da parte della gente comune di tale azione di governo. C’è un clima diffuso di sfiducia oltre la soglia fisiologica di malcontento. La gente dichiara di non sentirsi rappresentata da una classe politico-amministrativa eletta dagli stessi cittadini che si lamentano. Il che è un elemento che non va trascurato.

Una delle questioni più attuali è quella legata agli sbarchi degli immigrati. Su questo fronte, la Chiesa è probabilmente l’istituzione più all’avanguardia per quanto riguarda la capacità di rispondere all’emergenza. Cosa andrebbe fatto per aiutare concretamente queste persone?

Per rispondere alla sfida dell’immigrazione e aiutare concretamente queste persone bisogna andare alle radici, quindi alle ragioni, di tale fenomeno. E lì ci ritroviamo gli stessi europei che invece di sostenere lo sviluppo dei Paesi poveri, li hanno resi ancora più poveri soprattutto con lo sfruttamento delle risorse, con l’avvelenamento del clima, e con  il commercio delle armi. Per arginare l’immigrazione bisogna rimediare a questi danni.

Un’altra questione attuale, con risvolti spesso drammatici, è legata ai rapporti con il mondo islamico. Bisogna avere paura dell’Islam? Quali sono i rapporti tra Chiesa e Islam?

Quanto al rapporto con l’Islam, spesso pecchiamo di poca conoscenza di questa religione. L’Islam non deve essere omologato tout court con un’idea violenta della religione. Oltretutto, papa Francesco molto saggiamente ha dichiarato che ogni forma di guerra di religione è una guerra alla religione. In generale, nella storia ogni forma di conflitto religioso è sempre dipesa da forme di radicalizzazioni e di estremismi esasperati, dovuti spesso a perniciose interferenze di interessi politici ed economici. Al suo interno l’Islam è molto variegato in diverse correnti storiche di pensiero e di tradizioni. C’è da dire che è possibile la convivenza, l’integrazione e il reciproco rapporto con una larga maggioranza dell’Islam.

Crede che ci possa essere una riunificazione dei cristiani?

Papa Francesco sta dando un forte impulso al processo ecumenico, che però rimane lungo e faticoso. Si tratta di ripartire dalle esperienza condivise tra diverse chiese cristiane, ancor prima ancor di discutere sulla dottrina. Penso all’ecumenismo della preghiera, del martirio, della carità, che già trova riuniti i cristiani nel costruire insieme certe esperienze e progetti importanti.

È evidente che le nuove generazioni andrebbero educate alla fede. Tuttavia, i giovani, complice anche l’abuso delle nuove tecnologie, appaiono accidiosi e disinteressati rispetto alla spiritualità. Cosa può fare il buon cristiano almeno per incuriosirli?

Ognuno di noi è figlio della sua famiglia, non sono per ragioni biologiche, ma anche per motivi educativi. È impossibile interpretare la vita di ognuno, indipendentemente dal contesto familiare. La crisi giovanile, che si esprime in varie forme di contestazione e di trasgressione è una sonora bocciatura del mondo degli adulti. Le difficoltà, ancora prima di osservarle nella vita dei nostri ragazzi, dobbiamo studiarle negli stili di vita (dis)educativi delle famiglie. I giovani non sono la causa del disagio sociale, ma le vittime.

Uno dei motivi per cui ci si allontana dalla chiesa, è perché essa viene percepita come un’istituzione della proibizione, specie in riferimento ai temi della sessualità e della coppia. Come stanno effettivamente le cose?

Non so di quale Chiesa parliamo. Porto solo un esempio: la Caritas, diffusamente presente in tutto il territorio nazionale, esprime forse un’attività della proibizione? Chi si prende cura così assiduamente dei nostri ragazzi, se non la parrocchia con i suoi percorsi di catechesi? Chi accoglie e forma le migliaia di educatori e ragazzi per le attività di oratorio? È questa la Chiesa concreta di cui dobbiamo parlare. La Chiesa è l’unica istituzione rimasta a parlare, difendere, custodire, ed educare ai veri significati dell’amore, della coppia e del matrimonio. Inoltre, non credo che oggi ci siano motivi di proibizione o di inibizione da parte della Chiesa italiana, la quale sta facendo da decenni un enorme sforzo di accompagnamento educativo dei ragazzi, dei giovani e degli adulti. Direi anzi il contrario: che la Chiesa è l’ultimo baluardo rimasto per arginare la confusione e lo smarrimento diffuso tra le diverse istituzioni, da quella familiare a quelle civili.

Da più parti si invocano i cosiddetti “diritti civili”: per le coppie omosessuali, oppure su temi quali il testamento biologico, l’eutanasia, l’aborto, che hanno avuto grande presa sulla gente. Dall’incontro-scontro con lo Stato, sono venute risposte che richiamano un’immagine di una posizione della Chiesa particolarmente ostativa sul punto. Cosa c’è di giusto e cosa c’è di sbagliato nell’invocare questi “diritti civili”?

Ogni diritto che non rispetta la legge naturale, dettata dalla ragione umana e dalla sua coscienza retta e illuminata dalla verità, non è più un diritto ma una violazione e un abuso. Inoltre, ciò che viene rivendicato come “diritto civile” riguarda sempre un “diritto individuale”: non si considera più il “bene comune” come regola suprema di una sana convivenza civile. La pretesa dei diritti individuali persegue lo sgretolamento del tessuto sociale perché affossa, insieme con il bene comune, i  principi cardini del tessuto connettivo della società quali la solidarietà, la fraternità, la giustizia e la carità sociale.

Nel caso di un malato terminale che chiede di morire, quale conforto si può portare a persone ridotte a poco più di un organismo che respira?

Finché c’è un “organismo che respira” c’è un’anima che fa di quel soggetto una persona, di cui bisogna rispettare la dignità sino all’ultimo respiro. Per alcuni, la malattia fa perdere ogni dignità! Il problema è un altro: non vogliamo sentir parlare di malattia e di sofferenza, perché non comprendiamo più il significato e il valore di tutto ciò. Inseguiamo l’ideologia e l’idolo dell’uomo perfetto, che non ammette limiti e difetti. Ma questo è in stretta coerenza con lo smarrimento della fede cristiana, per la quale solo la Croce di Cristo è la vera soluzione al problema della sofferenza.

Un aspetto che crea molti malumori verso l’istituzione Chiesa è legato ai casi di pedofilia. Il papa sembra aver assunto una linea molto rigida e severa. Molti credono che eliminando il celibato, questi problemi si potrebbero attenuare. È così?

La Chiesa ha assunto la linea della verità e della trasparenza. Altri no! La pedofilia è ramificata in ogni settore della vita sociale: istituzioni educative, sportive, familiari… Mi chiedo: se per i preti il problema sarebbe il celibato, per un genitore o per un istruttore atletico la causa qual è? È evidente che si tratta di una patologia che affonda le proprie radici in situazioni di fragilità psichica dei soggetti.

Un altro problema di assoluta gravità è legato ai disastri ambientali perpetrati dall’uomo. Stiamo distruggendo il pianeta? E, se sì, è questo un peccato imperdonabile contro lo Spirito Santo?

Durante la conferenza stampa che il Papa ha svolto sull’aereo nel viaggio di ritorno dalla Colombia ha toccato di nuovo questo problema, addebitandolo alla testa dura dell’uomo che non vuol capire, anzi ammettere, la gravità delle proprie colpe e delitti contro la creazione, e continua a non prendersi cura per la “casa comune” del Creato.

Questa è un’intervista che verrà pubblica online, su un sito internet. Quanto la Chiesa può avvantaggiarsi di questi nuovi media per diffondere la parola di Dio?

La Pastorale Digitale della nostra Diocesi sta sviluppando un percorso interessante di servizio alla vita stessa della comunità ecclesiale. Se la Rete è connessione, la Vita cristiana è Comunione: la nostra Pastorale Digitale intende fare dei Social una Rete di Comunione per raccontare e condividere la vita reale dell’intera Chiesa particolare.

Se Paolo predicasse oggi userebbe la rete?

 

La prima Rete l’ha inventata proprio san Paolo, tramite una fitta corrispondenza epistolare pensata con intelligenza in forma di rete comunicativa tra le diverse comunità cristiane da lui fondate nel bacino mediterraneo, distanti tra loro ma in comunicazione e comunione grazie agli scritti dell’apostolo.

Vincenzo Ruggiero Perrino

 

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