Se il voto si gioca
a mosca cieca

È normale che l’appuntamento elettorale sia accompagnato da un alone di incertezza. Ci sono stati tempi però (anni Cinquanta e Sessanta) in cui l’imprevedibile era assai limitato. L’1-2% in più o in meno decretava in qualche misura la vittoria o la sconfitta di un partito ma non influiva sul quadro politico. La Dc era e restava il centro di gravità del sistema: contornata dai partiti laici minori, con a destra il Msi e a sinistra il Pci rigorosamente emarginati. Il voto influiva solo sugli equilibri internialla maggioranza e, marginalmente, sulla composizione del nuovo governo, non sul quadro politico. In definitiva, gli esecutivi erano fragili ma il quadro politico era saldo.

Guardando al passato, ci possiamo rendere conto dell’enorme allargamento dei margini di incertezza che regna sulla presente campagna elettorale. Un 2-3% in più o in meno ad un partito non è più solamente un piccolo premio o una lieve punizione. È destinato ad avere una rilevanza ben maggiore. Assegnerà la maggioranza relativa e quindi deciderà su chi avrà titolo per ricevere dal capo dello Stato l’incarico di formare il nuovo governo.

Poco male, si dirà. È il bello della competizione aperta in cui sono i cittadini, e non le segreterie dei partiti, a scegliere i governanti. Sarebbe vero ma a due condizioni che, purtroppo per noi, ora mancano: un sistema elettorale maggioritario e un sistema politico bipartitico. Abbiamo infatti il proporzionale e il tripartitismo.

Conseguenza? Non possiamo far conto sul fatto che il vincente sia in grado di formare il governo. Non sappiamo nemmeno quale programma vorrà e, soprattutto, sarà in grado di attuare. Tanto meno, possiamo prevedere chi ne sarà la guida.

I Cinquestelle ostentano il loro candidato premier, Luigi Di Maio, come se avessero a portata di mano la maggioranza assoluta quando sanno che, negandosi ad ogni alleanza, non saranno in grado non solo di imporre il loro candidato ma nemmeno di formare una maggioranza autonoma e stabile. Il Pd, amputato della sinistra, per governare dovrà per forza allearsi. Ma con chi? Il centrodestra è l’unico con buone probabilità di prevalere, ma solo se conferma il patto di coalizione. Una coalizione - si badi bene - strettamente elettorale, non un’alleanza politica: una sorta di treno su cui a tutti conviene salire per arrivare in stazione, ma con tutti pronti poi a scendere per raggiungere la propria meta, non certo la stessa degli altri compagni di viaggio. È legittimo perciò nutrire un certo scetticismo sulla sua possibilità di dar vita a un governo stabile.

Se c’è buio pesto sulla coalizione di governo, buio nero c’è parimenti sul programma di governo. Tutti promettono l’impossibile: al contempo meno tasse e più spese. Ma chi ci crede? Sarebbe il default. È troppo facile, comunque, scaricare l’intera responsabilità del gioco a mosca cieca della prossima prova elettorale sulle spalle dei partiti. Sarebbe bene che anche noi elettori facessimo il nostro bravo esame di coscienza. Il presente sistema rigorosamente proporzionale, pur in presenza di tre poli non coalizzabili, non ci è caduto dal cielo. Ha avuto bensì il benestare, circa un anno fa, dai due terzi degli elettori.

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