Attualità
30 Settembre 2017
Il giornalista turco Can Dündar riceve il premio Politkovskaja a Internazionale. "Il mio Paese è la più grande prigione di giornalisti al mondo"

Un ‘terrorista’ per il discorso sulla pace

di Elisa Fornasini | 5 min

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“Avete di fronte un candidato al premio Nobel per la pace su cui pende un mandato di cattura internazionale. Se sono considerato un terrorista è perché ho pronunciato un discorso a favore della pace e anche voi che date un premio a un presunto terrorista potete essere accusati a vostra volta di terrorismo. Se domani Erdogan chiedesse il vostro arresto non ci sarebbe da sorprendersi”.

È una verità tragicomica quella declamata da Can Dündar, star del giornalismo turco e di conseguenza figura scomoda al governo Erdogan, costretto a vivere in elisio in Germania per sfuggire a una condanna di 5 anni di carcere per spionaggio e divulgazione di segreti di Stato, accuse che gli sono costate 3 mesi di prigionia, un attentato alla sua vita e l’espatrio.

La verità costa cara ma viene riconosciuta con il premio Anna Politkovskaja assegnato ogni anno, in occasione dell’inaugurazione del festival di Internazionale, a reporter ‘simbolo’ della ricerca della verità, pagata con la vita o con la libertà. Come successo a Dündar.

“Questo premio è una risposta forte ai proiettili, alle denunce, alle minacce, ed è un robusto sostegno alla nostra lotta per la libertà di pensiero. Cercherò di esserne all’altezza” annuncia il vincitore dal palco del cinema Apollo che, “affinché possiate comprendere la vita del giornalista tra inferno e paradiso”, decide di “raccontarvi le mie ultime 24 ore”. Un racconto avvincente quanto drammatico.

“L’altro ieri ero all’Aquila per l’inaugurazione di un murales dedicato a me, un regalo meraviglioso su iniziativa di Amnesty International – ricorda Dündar -. La stessa notte ho ricevuto un messaggio dal Guardian che mi riferiva di essere stato scelto come uno dei cinque candidati al premio Nobel per la pace di quest’anno. È stato un grande orgoglio fino a ieri mattina, quando ho ricevuto la notizia che il governo turco ha emesso un mandato di cattura a livello internazionale nei miei confronti, per cui è stata richiesta l’estradizione”.

“Premi e punizioni si succedono di continuo e questo fa parte della lotta per la democrazia e la pace – riferisce il noto giornalista turco -. Il mio Paese non è mai stato così isolato dal mondo, non ha mai vissuto una repressione così grave. Oggi la Turchia è la più grande prigione di giornalisti al mondo, attualmente ci sono 150 colleghi in arresto, compresi quattro dirigenti del mio giornale” (il Cumhuriyet, principale quotidiano turco di opposizione, di cui Dündar è stato direttore fino allo scorso anno, quando è stato arrestato e incarcerato per aver documentato la fornitura di armi da parte dei servizi segreti turchi ai gruppi jihadisti in Siria).

“Un organo di stampa oppositore che è stato bombardato, minacciato e sequestrato decine di volte, ha perso sei dei suoi giornalisti in attentati politici nell’ultimo anno – spiega Dündar -. Quando ho saputo che mi era stato assegnato questo premio ho pensato proprio ai nostri eroi, giornalisti scomparsi che hanno pagato il prezzo più alto in nome della libertà di espressione. In qualità di giornalista e scrittore scappato per caso dalle armi (ha subito un tentativo di omicidio di fronte al tribunale nel giorno del processo, ndr), prometto di rimanere fedele alla strada aperta da Anna Politkovskaja e alla memoria dei giornalisti scomparsi, di non scendere mai a compromessi e di difendere fino alla fine l’onore della penna, della notizia e della scrittura”.

Con la consapevolezza che “la nostra determinazione troverà una via per sormontare qualunque ostacolo, perché come la paura, anche il coraggio è contagioso“, come ha scritto Dündar di recente, il sindaco Tiziano Tagliani ha consegnato il premio nelle mani della figura “simbolica del processo di involuzione turco – si legge nella motivazione -, di come la svolta autoritaria si è accompagnata a un giro di vite contro l’informazione e contro i giornalisti, e di come la libertà di stampa è sempre la prima vittima dei regimi di ogni colore“.

Tra i saluti di benvenuto dei protagonisti di Internazionale – il direttore Giovanni De Mauro e la direttrice del festival Chiara Nielsen – il sindaco Tagliani vive questo evento “atteso da una parte della città con desiderio e ansia” come una occasione per “accantonare le gravità della nostra città, come i cassonetti a calotta e l’attesa partita della Spal contro il Crotone, per prendere in mano il cannocchiale (simbolo dell’undicesima edizione) con cui alzare lo sguardo su tematiche più importanti e cariche di dignità“.

Gli altri ospiti hanno approfittato dell’inaugurazione per presentare gli appuntamenti in palinsesto fino a domenica. Medici Senza Frontiere comincia questa sera (ore 21, teatro Comunale) con la presentazione delle “storie di naufragi e salvataggi nel Mediterraneo” con il presidente Loris De Filippi e Erri De Luca, per poi spostare lo sguardo sulla situazione in Nigeria, Iraq e Libia.

“Ma bisogna sottolineare l’importanza del premio Politkovskaja – riprende Gabriele Eminente, direttore generale Msf – nella situazione drammatica di chi fa informazione e si occupa di diritti umani in Turchia (dove è stato arrestato anche il presidente di Amnesty International), frutto di una piega pericolosissima dal punto di vista della criminalizzazione della solidarietà e della libertà di informazione. Anche qui in Italia si sono fatti pericolosi passi indietro, per cui è importante che l’opinione pubblica alimenti degli anticorpi”.

 Se Unipolis, come anticipato dal direttore Walter Dondi, “spalancherà la finestra sull’Europa con Romano Prodi” (ore 19, teatro Nuovo), “scrutare cosa succede in Europa” è l’obiettivo anche della Commissione europea che discuterà la ricerca di regole comuni per affrontare la questione dei migranti (ore 15.30, Giurisprudenza). “Sostanzialmente parleremo di noi perché noi siamo Europa – avverte Roberto Santaniello, consigliere media e comunicazione -: anche se non ci vogliamo più bene come un tempo, in questa tre giorni l’Europa tornerà a essere fondamentale nell’immaginario collettivo perché l’Europa siamo noi”.

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