Attualità
1 Ottobre 2017
A Internazionale a Ferrara un panel su sesso e libertà dopo il fallimento delle rivolte arabe

In punta di piedi nelle stanze da letto del Medio Oriente

di Redazione | 3 min

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Le rivoluzioni sono fallite e sulle primavere arabe è sceso l’inverno. È questo il tempo di entrare nelle stanze da letto, “per vedere le cose vere”. La sessualità è una lente importantissima per indagare una società: lo spiega nel prologo dell’incontro del primo pomeriggio di Internazionale a Ferrara la giornalista francese Catherine Cornet. Le danno ragione i suoi ospiti – lo scrittore Saleem Haddad, i registi egiziani Ayman El Amir e Nada Riyadh, la giornalista britannica Shereen El Feki – e il Teatro Comunale gremito.

“Il sesso è un fattore importantissimo, uno strumento di controllo sociale estremamente efficace. I regimi, non soltanto quelli arabi, l’hanno sempre saputo”, spiega El Feki. All’indomani delle primavere che hanno animato il mondo arabo – dall’Egitto allo Yemen, dalla Libia all’Iraq – la disoccupazione è altissima e la depressione dilagante. Oltre il 60% delle donne under 50 ha subito mutilazioni genitali: “Se la clitoride è la dinamo del piacere, controllarlo significa controllare il desiderio sessuale delle donne, e le donne stesse”, spiega El Faki. Ma è il popolo tutto che boccheggia. La crisi del modello di virilità, la pressione economica e quella sociale, hanno portato ad un aumento esponenziale del consumo di droga. Il tentativo è fallito “e la generazione che ha fatto la rivoluzione non riesce ad alzarsi dal letto”, spiega Riyadh.

Oggi l’arabo è una lingua che non conosce termini per indicare atti sessuali. Una lingua “stantia, che non è riuscita ad esprimere idee nuove da almeno un secolo: in arabo non ci sono nemmeno libri che descrivano la cinematografia”, fa sapere El Amir. Ma, più che di lingua, è un problema di parlanti. Perché sono arabi i più celebri trattati sulla sessualità, ed è l’Oriente ad essere rimasto per secoli libero dal tabù del sesso. Sono gli stessi film egiziani degli anni ’50 a restituire un’immagine della donna molto più progressista di quella conosciuta oggi. E allora, più che di sola religione, dovremmo parlare di contesto politico. E spiegare che la recessione politico-economica del Medio Oriente, questo “ritorno ad un sistema rigidamente gerarchico e patriarcale”, ha portato ad una involuzione anche sulla sessualità.

In quelle stesse camere da letto, però, lentamente, qualcosa si sta compiendo. C’è chi ha scelto di restare, come i registi – marito e moglie – del documentario Happily ever after. E c’è lo scrittore Saleem Haddad: giordano, libanese, palestinese, canadese, cristiano, arabo e gay. La sua ayb (parola araba traducibile con il nostro concetto di ‘poco consono secondo la società’, una vergogna causata dal mancato adattamento a sovrastrutture sociali, ndr) l’ha superata trovando il suo spazio; in Kuwait, in una macchina, come tutti i giovani che cercano di essere liberi almeno nella vita sessuale. “Mi domandavo quale sarebbe stato il mio ruolo nella società, quale il mio futuro economico – spiega – oggi mi sono reso conto che ci sono molte strade percorribili: qualcosa sta cambiando”. Ma dimentichiamoci una rivoluzione sessuale di stampo occidentale, parola di El Feki: “Abbiamo un altro linguaggio, qui la ayb è intrisa di religione e di apparenze”.

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