Attualità
6 Novembre 2017
Il tema trattato in un convegno a Giurisprudenza. L'assessore Corazzari: "Importante per la loro tutela è l'anonimato"

Minori strappati alla mafia e ‘protetti’ nelle scuole di Ferrara

di Redazione | 2 min

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Minori e mafie: questo il delicato tema che è stato trattato nel corso dell’incontro che si è svolto venerdì 3 novembre nella sala consiliare del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, dal titolo ‘Crescere sulla soglia del Mondo. Minori e mafie’, inserito nella serie di conferenze dell’ottava edizione della ‘Festa della legalità’. Hanno raccontato questa situazione Roberto Di Bella, presidente del Tribunale dei Minori di Reggio Calabria, Mario Schermi, formatore del centro giustizia minorile e Cristina Corazzari, insegnante e assessore all’istruzione del Comune di Ferrara.

“Nel 2017 – è la constatazione fatta da Di Bella – ci troviamo a processare i figli dei mafiosi che abbiamo processato negli anni Novanta. Questo ha indotto noi magistrati a cercare di interrompere la trasmissione di questo modello di vita da genitori a figli. Non interveniamo mai in maniera preventiva, solo quando è palese l’indottrinamento del minore”.

Dal 2012 sono stati attuati circa 50 programmi di protezione su minorenni che, come racconta il magistrato, stanno dando risultati incoraggianti: i ragazzi vanno a scuola, hanno relazioni con i coetanei, riescono a costruirsi una vita, “molti sono venuti a trovarci in Calabria – racconta Di Bella – non ci serbano rancore”.

“Bisogna vincere lo stereotipo che non dà nessuna possibilità di una vita diversa a questi ragazzi”, sottolinea Schermi. La mafia nonostante l’impegno dello Stato per debellarla continua a sopravvivere e a nutrire un certo modo di vita: perché? “Le mafie sopravvivono – spiega Schermi – perché hanno un sistema economico e di solidarietà ineccepibile, ma soprattutto per il loro ammirabile sistema pedagogico”. La mafia garantisce identità, un ruolo nella comunità ai suoi appartenenti. Agghiacciante l’esempio riportato da Schermi: un assistente sociale chiese a un ragazzo quanto costava uccidere un uomo. Il ragazzo rispose che costava cinquemila lire, ma non era quello il punto: l’importante era che la mattina dopo passeggiavi per la città a braccetto con il boss per cui avevi eseguito l’omicidio.

L’unica possibilità per far uscire i ragazzi da questo ‘circolo vizioso’ è creare per loro possibilità educative alternative, lontano dalla famiglia d’origine. Importantissimo e complesso è il ruolo della scuola, come racconta Cristina Corazzari: “Il provveditore ci affida questi ragazzi, non ci viene detto che sono in un programma di protezione, lo intuiamo noi docenti. Importante per la tutela dei ragazzi è l’anonimato, hanno generalità fittizie, devono comparire il meno possibile nei documenti, non sappiamo mai se inserirli nel tabellone delle valutazioni a fine anno, mai foto o video, le gite sono complicatissime da organizzare. La vera difficoltà è però ricucire le ferite emotive di questi ragazzi, che dobbiamo riportare al successo, dare loro un progetto di vita”.

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