“Oggi la grande povertà è la disabilità mentale”. Don Arice: in Italia 22 sanità diverse

È “ascolto” la parola chiave del programma di don Carmine Arice, neoeletto superiore generale della Società dei sacerdoti di san Giuseppe Benedetto Cottolengo e padre della Piccola Casa della Divina Provvidenza. In un’intervista al Sir, il neosuperiore del Cottolengo – per cinque anni direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute della Cei – afferma: “Desidero mettermi in ascolto di una situazione che conosco meno rispetto a quando l’ho lasciata per venire a Roma. In ascolto dei miei predecessori, in ascolto dei tanti collaboratori della Piccola Casa. La sfida è impegnativa anche perché stanno venendo meno le forze religiose e si stanno inserendo molti laici con un onere economico non indifferente (tenendo conto dei turni e delle ferie giustamente dovuti)”. “Vogliamo mantenere l’attenzione privilegiata alle realtà più povere che connota la nostra identità – prosegue – . Un ulteriore elemento è l’importanza di fare rete. Tutte le realtà-sorelle che, pur con un’identità propria, svolgono un servizio ispirato al carisma della carità e dell’assistenza simile al nostro, dovrebbero parlarsi di più”. Il Cottolengo è famoso per avere accolto nel tempo e nella storia creature ritenute non degne di vita con disabilità molto gravi di tipo fisico-cognitivo associato. Oggi come è la sensibilità sociale verso la disabilità? “È cresciuta nei confronti delle disabilità motorie, ma non verso la disabilità cognitiva. Oggi la grande povertà è la disabilità mentale, emergenza che in qualità di superiore del Cottolengo – confida – mi interpella profondamente e con cui l’Italia dovrà confrontarsi”.

In un’Italia caratterizzata da 22 sanità diverse, le istituzioni cattoliche devono mettersi in gioco coniugando carisma del fondatore, sostenibilità del sistema, domanda di cura di poveri e indigenti. E la vera emergenza è la disabilità mentale, rileva il neoeletto superiore generale e presidente di tutta l’Opera diffusa nel mondo. “Abbiamo 22 sanità diverse, una per regione più le due province autonome”, denuncia don Arice. Per quanto riguarda la sanità cattolica, “il peso gestionale delle tante strutture è diventato così oneroso da far talvolta dimenticare la mission globale di realtà nate in gran parte per prendersi cura della povera gente ma spesso carenti per quel che riguarda la cura globale della persona malata”. Tuttavia, avverte, “senza un approccio globale nel percorso terapeutico, il paziente rischia di sentirsi inutile, di peso, e chiederà di morire prima del tempo. Bisogna creare le condizioni affinché nessuno chieda la morte, ma occorre inoltre sostenere la fatica, la stanchezza, a volte la disperazione, dei familiari che assistono i malati”. In qualità di presidente di tutta l’Opera del Cottolengo, oggi la sfida è “leggere la realtà e chiedersi, in quanto strutture cattoliche, cosa teniamo, perché lo teniamo e come lo teniamo”. Sulle indicazioni di Papa Francesco, conclude ll’ex direttore Cei, si tratta di mettersi in gioco coniugando carisma fondazionale, sostenibilità del sistema, domanda di cura di poveri e indigenti”.

Fonte: Sir

Nella foto: la visita di Papa Francesco al Cottolengo di Torino