A Palermo Papa Francesco incontrerà gli ultimi da Biagio Conte

Senzatetto, disoccupati, immigrati, disabili, ragazze madri, ex detenuti, ex alcolisti. Il 15 settembre, saranno loro a pranzare con il Papa. È uno dei momenti culminanti del viaggio del Papa a Palermo. “Sono emozionato e felice per l’arrivo di Papa Francesco”, dice Biagio Conte, missionario laico che ha lasciato tutto per stare accanto agli ultimi e ha fondato 27 anni fa la Missione Speranza e Carità.

“È un momento di comunione forte con il Santo Padre in cui insieme lanciamo un messaggio di accoglienza verso tutte le persone in difficoltà, sia italiane, sia straniere. La Chiesa deve camminare unita e diventare esempio di carità per tutta la società. Bisogna essere attenti a tutti, i papà che hanno perso il lavoro, le famiglie che hanno figli disabili, le donne con figli rimaste sole, gli immigrati, i carcerati, tutti quelli che hanno perso la speranza”.

Poco più di un’ora in tutto. Divisa tra il pranzo nella mensa, dove troveranno posto più di 1.500 persone – 150 all’interno con il Papa, le altre nel grande piazzale esterno allestito per l’occasione – e la sosta in preghiera nella “Casa di preghiera di tutti i popoli”, uno dei cuori pulsanti della Missione “Speranza e carità”. Nella Cittadella del Povero e della Speranza, ex Caserma dell’aeronautica oggi divenuta tetto per 1.100 persone, Papa Francesco si fermerà anche per un momento di riposo, in uno spazio a lui riservato nella canonica.

“Ero in Francia, dalle parti di Lourdes. Sono arrivati i ragazzi della Missione, praticamente a prendermi per i capelli. ‘Biagio, Biagio… viene il Papa, devi tornare’. L’ho saputo due mesi fa”, racconta Biagio Conte, accanto a lui c’è Rosario Vullo che sta rifinendo una statua di gesso con le sembianze di don Pino Puglisi, sorretto da due ragazzi. “Ero vicino di don Pino a Brancaccio – racconta il bambino di ieri che è diventato lo scultore di oggi – e rammento la sua dolcezza. Sono tornato nel mio quartiere dopo anni. Sì, ricordo a tutto: quel passaggio a livello che era un confine proibito. Oltre non si poteva andare, era pericoloso. Ricordo la forza di don Pino, nel chiacchierare con noi, ragazzini selvatici, e la sua mitezza”.

C’è Francesco, Ciccio, Russo, medico della Missione da quasi trent’anni: “Ero uno studente di Medicina. Mi dissero: c’è un certo Biagio Conte che parla in aula magna. Lo ascoltai. Poi mi recai ai suoi momenti di preghiera alla stazione, tra mille pericoli. C’era una pace… E sono qui da trent’anni”. Ciccio ha in mano il parco menù per ristorare sua santità: pane con l’olio, caponata, insalata di riso, pollo panato, sorbetto e dessert. Nel cuore della Cittadella è stata approntata una stanza spartana per il riposino che è sempre sacro; una poltroncina bianca, il resto è in divenire. Nella saletta attigua capeggiano due pupi con le sembianze del pontefice e del missionario.

Sono tutti qui. Pure gli operai del Coime che hanno lavorato sodo e adesso posano, orgogliosi, davanti al manifesto di Papa Bergoglio, come una squadra che ha vinto il campionato. Ci sono le suppellettili di una dignitosa povertà, guardando in giro. I vestiti degli ospiti della Missione, stesi sui muri ad asciugare, tenuti fermi dalle pietre, scarpe, magliettine e quanto ammonta delle esistenze raccolte qui al termine di mille tempeste.

C’è Riccardo Rossi, giornalista, che coordina la comunicazione: “Sono arrivato dopo qualche anno difficile di ricerca, di depressione, di smarrimento. Vengo da Napoli, originariamente. Io e mia moglie ci siamo stabiliti a Palermo. Ora viviamo accanto a Biagio e per la Missione”. Riccardo c’era nelle settimane in cui Fratel Biagio inscenò una protesta per gli ultimi, dormendo sotto i portici delle Poste in via Roma; lo vegliava e dormiva di fianco. C’è don Pino Vitrano, braccio destro storico, che si impegna pure da vigile per districare il traffico. Non c’è Filippo che doveva esserci – papà senza lavoro che ha trovato riparo con la famiglia -: un malore improvviso lo ha tenuto lontano.

Biagio sistema le ultime cose, ancora un colpo di scopa, ancora un incitamento. “E’ un segno, l’ennesimo segno di speranza”, dice l’uomo che era ragazzo, quando abbandonò la casa del padre, e affrontò la strada, inizialmente con un cane e uno zaino come unici compagni. E la senti, la annusi la speranza, quasi la tocchi. E la vedi, la speranza, come un miraggio, come una carezza, anche tra i vestiti della miseria messi ad asciugare al sole.

Fonti: Sir e Live Sicilia