Blair incontra Salvini e recita opportunisticamente la retorica dell’ “aiutiamoli a casa loro”

Matteo Salvini e Tony Blair si sono incontrati, nello stesso giorno in cui “The New Yorker”, giornale “liberal” statunitense, escludeva da una sua iniziativa pubblica Steve Bannon, non volendo condividere nulla con un teorico del suprematismo bianco ed istigatore all’odio razziale.

L’ex Primo Ministro laburista della Gran Bretagna non conosce simili remore ideologiche, il suo pragmatismo inglese degenera nell’opportunismo e si mostra dunque disposto a dialogare con chiunque condivida con lui l’obiettivo concreto della “deregulation” economica.

Non per nulla, Margaret Thatcher – dando prova di eguale spregiudicatezza – lo considerò a suo tempo il proprio vero Delfino, preferendolo a quanti le erano subentrati nella conduzione del Partito Conservatore.

Si ripeté allora, con un rovesciamento dei ruoli, quanto era successo in una fase precedente della vicenda politica della Gran Bretagna.

Churchill, uscito vincitore dalla Seconda Guerra Mondiale ed assurto alla statura di eroe nazionale, perse clamorosamente le elezioni politiche celebrate nel 1945 contro l’opaco Clement Attlee, già Vice Premier nel “War Cabinet” da lui presieduto.

Che il rivale laburista fosse un personaggio mediocre, lo si desume dalla famosa battuta di “Winnie” su di lui: “Davanti al numero 10 di Downing Street è arrivata un’automobile vuota, e ne è uscito Ser Clement Attlee”.

Il rovescio sofferto dai Conservatori fu in parte motivato dal rifiuto opposto da Churchill alla decolonizzazione, da lui definita la “liquidazione dell’Impero Britannico”, che costituiva comunque il prezzo da pagare ai sudditi extra europei di Sua Maestà per avere contribuito con il sangue dei loro uomini e con le loro risorse economiche alla vittoria sul nazismo.

C’erano però anche delle ragioni inerenti alla politica interna: dopo i sacrifici sopportati durante la guerra, nello spirito favorevole al progresso ed alla giustizia sociale indotto dal confronto mortale con le dittature reazionarie, la gente reclamava migliori condizioni di vita.

I Laburisti promisero il “welfare”, pagato con una forte imposizione sui grandi patrimoni, e gli Inglesi lo ottennero.

Quando i Conservatori tornarono al Governo, sempre con Churchill come Primo Ministro, rispettarono scrupolosamente il principio del diritto acquisito, e di conseguenza non abrogarono nessuna delle misure su cui si fondava il nuovo sistema di sicurezza sociale.

Blair, riportando i Laburisti al potere dopo il lungo dominio della Signora Thatcher, propose espressamente di non restaurare i diritti che costei aveva tolto ai lavoratori, e una volta giunto al numero 10 di Downing Street mantenne il suo impegno.

Egli applicò dunque il principio del diritto acquisito alla rovescia, non restaurando le conquiste ottenute dalle “Trade Unions” in più di un secolo di lotte, quelle conquiste che il precedente Governo aveva cancellato.

Essendosi apparentemente e temporaneamente dimostrata vincente la linea di Blair, dal momento che un Paese ormai deindustrializzato ed un Partito Laburista privato della sua tradizionale base operaia gli avevano conferito e poi confermato la propria fiducia, la tendenza propria della “New Left” a rinnegare l’identità di classe e più in generale la stessa idea di giustizia sociale dilagò al di fuori della Gran Bretagna trovando i suoi alfieri nello spagnolo Felipe Gonzales, e soprattutto nell’italiano Matteo Renzi.

Il quale, in realtà, approdò al “blairismo” in ritardo, ispirandosi soprattutto alla immagine “glamour” dell’ex Premier, alla sua eleganza nel vestire come riflesso di un successo politico identificato con la personale ascesa sociale del “leader”.

Se poi gli iscritti al Partito ed i suoi elettori si trovavano disoccupati per via delle ristrutturazioni selvagge e della “deregulation” del mercato del lavoro, tanto peggio per loro.

Costoro avevano, non a caso, le stesse possibilità di accedere alle “Leopolde” di un pezzente che avesse tentato di entrare ad un ballo a Corte o ad un pranzo di gala.

Come la Thatcher aveva individuato il proprio erede politico proprio in Blair, così oggi questi scorge ora in Salvini l’uomo più adatto per mettere in pratica il suo progetto economico, che il “Rottamatore” non ha potuto realizzare a causa della solenne trombatura inflittagli dagli Italiani.

Qui però si apre una contraddizione nella “New Left”: Renzi, quantomeno, non era uno xenofobo dichiarato, anche se alcune sue scelte politiche, quali la diminuzione delle competenze legislative ed amministrative attribuite alle Regioni, inserita nella cosiddetta “Riforma Boschi” (fortunatamente abortita) rivelavano chiaramente una tendenza centralistica ed autoritaria.

Ora i superstiti della “nuova Sinistra” sembrano disposti ad ingoiare, ed anzi a sostenere questi indirizzi, incarnati dalla Destra, pur di salvaguardare quanto a loro più importa, cioè la compressione dei salari, la contrazione della spesa sociale e la riduzione dei diritti sindacali.

Il modello di Renzi era incarnato, non a caso, da Marchionne, e dunque non stupisce che Blair – in qualità di uomo del grande capitale finanziario – manifesti la propria simpatia nei riguardi del “Capitano”.

Se Angela Merkel, frettolosamente indicata dopo l’elezione di Trump quale campione della democrazia liberale, accetta senza fiatare la presenza di Orban nel Partito Popolare Europeo malgrado il dichiarato razzismo del “leader” magiaro, se la stessa Cancelliera Federale ripristina i controlli al confine con l’Austria per impedire ai migranti di entrare in Germania, se Berlusconi si dispone a far confluire quanto rimane del suo Partito in una “Grande Destra” guidata da Salvini, se tutti questi fatti dimostrano eloquentemente che i Conservatori cedono dinnanzi alle pretese dell’estrema Destra in tutta l’Europa Occidentale temendo una ulteriore perdita di voti, dobbiamo però anche constatare come da questa tendenza non siano immuni neanche tutte le forze originariamente schierate nella Sinistra.

Blair che omaggia Salvini, avallando la sua politica dello “aiutiamoli a casa loro” come “pendant” e come pretesto per imporre la chiusura dei confini non costituisce purtroppo l’unico esempio di tale tendenza.

Del Rio va a Rimini dai confessionalisti per dichiarare il proprio pieno accordo con il cosiddetto “principio di sussidiarietà”, una bella parola usata però come foglia di fico per giustificare la privatizzazione di funzioni pubbliche con cui si garantiva l’accesso all’istruzione ed alle cure mediche per i meno abbienti.

Escludere dalla scuola, affidata a soggetti privati, per giunta caratterizzati dalla loro ideologia reazionaria, i bambini poveri costituisce l’esatto contrario della solidarietà, che un tempo fu la bandiera del Cattolicesimo sociale, cui l’ex Ministro sostiene di appartenere.

Analogamente, affermare che la distruzione dei diritti dei lavoratori è “di Sinistra” significa trasferire la Rivoluzione dalla società e dallo Stato al vocabolario.

 

 

Mario Castellano