Da una parte c’è la “democrazia rappresentativa”, e dall’altra chi vuole distruggerla (di M. Castellano)

Su “La Repubblica” di sabato scorso, il professor Alberto Asor Rosa afferma che ci troviamo coinvolti in un conflitto non “epocale, e nemmeno “ideologico – culturale”, bensì “epocale” (se il nostro illustre collega non fosse agnostico, lo definirebbe probabilmente “apocalittico”), nel quale si fronteggiano due “sistemi”; uno scontro mortale, tale che nessuno dei due contendenti può “vincere e sopravvivere senza la totale sconfitta e il deperimento più o meno rapido e sostanziale dell’altro”.
L’Autore non nutre alcun dubbio sul fatto che “non sono possibili mediazioni fra i due – di natura politica, ovviamente – né una reciproca comprensione intellettuale, cioè ideologico – culturale. O sopravvive l’uno, o sopravvive l’altro”.
A questo punto, i lettori si saranno certamente domandati chi siano mai – a giudizio del professor Asor Rosa – i contendenti.
Da una parte – questa è la risposta dell’illustre studioso – c’è la “democrazia rappresentativa”, e dall’altra chi vuole distruggerla.
La definizione della “democrazia rappresentativa” che propone il valente storico della Letteratura ci permette di identificarla “tout court” con il regime liberale, basato sulla tripartizione dei poteri teorizzata dal Barone di Montesquieu nella sua celebre opera intitolata “L’Esprit des Lois”, pubblicata nel 1748.
Il contendente deve essere viceversa identificato nel populismo, che si qualifica oggi come il nuovo nemico mortale del regime liberale, facendo le vece – nell’attuale congiuntura storica .- del fascismo, che nell’epoca successiva alla Prima Guerra Mondiale riuscì ad abbattere la “democrazia rappresentativa” nella gran parte degli Stati europei.
Infatti, il campo di battaglia su cui secondo l’Autore – ha luogo oggi come allora lo scontro tra lo Stato liberale e ci si propone di distruggerlo è di nuovo il Vecchio Continente.
“Come mai?”, si domanda Asor Rosa.
“Perché l’Europa – risponde egli steso –  è il luogo del mondo in cui il sistema democratico rappresentativo, nonostante enormi difficoltà, resiste e si oppone alla propria dissoluzione”, mentre “altrove, pressoché ovunque, con qualche rara eccezione, il sistema democratico rappresentativo è in crisi da anni, quando non già sommerso dai flutti”.
Tra i Paesi in cui tale esito si è ormai consumato, l’Autore cita naturalmente la Russia di Putin.
Fin qui, ci troviamo perfettamente d’accordo con le tesi sostenute dal Professore.
Continuando però nell’elenco delle Nazioni in cui ormai la partita tra lo Stato liberale ed i suoi nemici è ormai da considerare perduta, Asor Rosa inserisce anche gli Stati Uniti d’America del Presidente Trump.
Noi non ci annoveriamo certamente tra gli esperti della realtà politica statunitense, ma ci limitiamo a constatare come gli analisti più qualificati coincidano nel ritenere che la partita tra il modello populista, autoritario e volto ad affermare il suprematismo “bianco” incarnato dal “Comandante in Capo” e i difensori della tradizione democratica del grande Paese d’oltre Atlantico non sia ancora da considerare chiusa.
La possibilità che Trump perda le elezioni di “middle term”, e sia poi costretto ad abbandonare la Casa Bianca alla fine del suo primo mandato, risulta – per fortuna – ancora reale, se non probabile.
La democrazia americana possiede ancora gli anticorpi necessari per guarire dalla sua malattia populista ed autoritaria.
Asor Rosa pare invece ritenere che l’America Settentrionale sia ormai uscita definitivamente dal campo delle democrazie liberali.
L’Europa rima ormai dunque – secondo l’Autore – l’ultimo loro ridotto, assediato però da tutte le parti ed ormai in procinto di cadere.
Per cui – tale è la sconsolata conclusione cui perviene l’illustre studioso – “difendere l’Europa e difendere la democrazia rappresentativa (…) sono oggi la stessa cosa”.
Se siamo arrivati a questo punto, è perché il “sovranismo” ed il “populismo” sono riusciti a rovesciare “contro il sistema democratico rappresentativo la “massa” che il sistema democratico rappresentativo, negli ultimi decenni, non si è curato di allevare, educare, promuovere… e anche accontentare e soddisfare”.
Esso “si è invece uso, autoprotettivamente, nel cerchio delle sue certezze elementari – neoliberismo, autonomia estrema, anche rissosa e prepotente, del proprio ceto politico, chiusura elitaria nei confronti dei bisogni elementari della gente – e ha deciso in un certo senso, più che di essere sconfitto, di suicidarsi”.
Asor Rosa sembra tracciare, con poche ma essenziali battute, l’apologo di quanto è accaduto nel Partito Democratico, e ci fa piacere che egli condivida, dall’alto della sua autorevolezza, le critiche da noi modestamente rivolte all’involuzione seguita da questa forza politica.
Risulta tuttavia inutile ogni autocompiacimento per avere avuto ragione.
Tuttavia, se da un lato ci fa piacere constatare che il Professor Asor Rosa sui schiera oggi in difesa della democrazia liberale, dobbiamo anche ricordare dall’altro lato – non certo per sterile polemica – come non sempre la sua adesione a tale modello sia risultata tanto piena ed assoluta quale risulta oggi.
Il Professor Asor Rosa, in passato, ha apertamente avversato il processo di revisione promosso dal Partito Comunista, che ha portato questa forza politica dalla originaria adesione acritica ai principi del marxismo – leninismo fino alla piena adesione a quelli – completamente antitetici – della “democrazia rappresentativa”, che oggi con tanta passione l’illustre studioso difende.
Non siamo in grado di indicare – e chiediamo scusa per questo – in quale preciso momento Asor Rosa si sia distaccato dal Partito non condividendo la sua evoluzione; tuttavia, la sua dissociazione ha certamente preceduto l’ultima ed estrema fase di questo processo di revisione: la fese in cui – per impulso di Veltroni – si decise di saltare a pie’ pari l’opzione socialdemocratica per costituire una forza politica slegata tanto dalla sua tradizione quanto dalla sua base, contrassegnato da quei vizi che giustamente l’illustre studioso chiama per nome “neoliberismo, autonomia estrema, anche rissosa e prepotente, del proprio ceto politico, chiusura elitaria nei confronti dei bisogni elementari della gente”: un Partito, insomma, che già anticipava le caratteristiche portate in seguito fino al parossismo dalle “Leopolde”.
Prima di giungere a tale esito estremo di irreversibile degenerazione, vi è stato tuttavia un lasso di tempo, si è aperta una finestra di opportunità, che avrebbe permesso di valorizzare in funzione riformista il patrimonio costituito dalla militanza di base, purché fosse liberata naturalmente dalla sua vecchia sudditanza ad un inquadramento ideologico obsoleto e totalitario.
Se dunque va dato atto ad Asor Rosa di non essersi reso complice dell’attuale degenerazione, gli si deve tuttavia attribuire la responsabilità di essersi opposto al necessario processo di revisione.
Il professore non ha gettato via il bambino, ma non ha capito la necessità di gettare via l’acqua sporca.
Quanto alla sua critica della Russia di Putin come di uno dei peggiori nemici attuali della “democrazia rappresentativa”, la nostra condivisione risulta naturalmente ovvia e scontata.
Tuttavia, ai bei tempi dell’Unione Sovietica già c’erano – nella stessa Sinistra – i “Grilli parlanti” (come, per esempio, Alberto Ronchey) che denunziavano la sostanza imperialistica, sciovinistica, “grande russa” e nazionalistica nascosta dietro gli slogan marxisti – leninisti, della sua politica di potenza.
Putin ha soltanto provveduto a cambiare astutamente i riferimenti ideologici, ma agisce sempre nel solco della tradizione pan ortodossa, richiamando espressamente la missione storica della “terza Roma”.
Il nuovo capo della Russia combatte anch’egli la “democrazia rappresentativa” nel nome di un modello autoritario risalente alla teocrazia bizantina.
Ci sarebbe però voluto poco per capire che la stessa avversione ai principi della “democrazia rappresentativa” e dello Stato liberale c’era già in Breznev.
Invece Asor Rosa – pur non essendo da annoverare tra i filo sovietici più stolidi ed ottusi alla Cossutta, si opponeva tuttavia alla revisione ideologica, con argomenti in buona sostanza non diversi da quelli che gli ideologi di Mosca usavano contro i dirigenti comunisti italiani.
Tutto questo – giova ripeterlo – non lo affermiamo per sterile polemica personale contro Aso Rosa, bensì per segnalare un limite che ravvisiamo nella sua analisi dell’attuale congiuntura internazionale.
Dipingere l’Europa come immune da ogni macchia, come una sorta di nuovo ”Impero del Bene”, contrapposto ad un “Impero del Male” coincidente con il campo populista e “sovranista”, purtroppo in costante espansione, porta a non cogliere quanto ci può far cadere – se già non ci ha fatto cadere, Salvini essendo già al potere – nel campo avverso.
Domandiamoci nel nome di quale pseudo ideale Trump tenta di annettere l’Italia.
Nel nome del suprematismo “bianco”, nel nome di un Occidente cristiano tradizionalista da contrapporre  ad un asserito pericoli islamico.
Qualora scegliessimo di allearci con i Musulmani fondamentalisti per sottrarci all’abbraccio mortale del tradizionalismo propagandato da Steve Bannon, finiremmo certamente per cadere dalla padella nella brace.
Anche noi, come Asor Rosa, siamo preoccupati per la possibilità che l’Italia, e l’intera Europa, divengano preda di un “sovranismo” e di un populismo antidemocratico e negatore dei principi dello Stato liberale.
Questa tendenza è incarnata però tanto dall’islamismo quanto dal tradizionalismo cristiano, che risultaben più radicato, aggressivo e pericoloso nelle nostre contrade.
La politica rimane l’arte del possibile.
Non si dimentichi – sarebbe strano che fosse proprio Asor Rosa a dimenticarsene – che il campo delle democrazie liberali non esitò ad allearsi con Stalin contro Hitler, avendo identificato nel nazismo il pericolo maggiore e più imminente per la propria sopravvivenza.
Dobbiamo domandarci dunque, in conclusione, da dove venga oggi il pericolo più grave ed imminente che incombe sulla “democrazia rappresentativa”.
E’ indubbio – su questo punto Asor Rosa ha certamente ragione – che questo modello, al di fuori del contesto specifico dell’Europa Occidentale, non conta molti seguaci.
Tuttavia, chi ci vorrebbe indurre ad abbandonarlo fa affidamento – per portare a compimento i suoi piani – soprattutto sulla cupidigia di un Occidente intenzionato a mantenere i proprio privilegi.
Costoro vogliono farci tradire i principi dello Stato liberale nel nome della difesa della “Civiltà Cristiana”, il che significa né più né meno che confessionalismo.
Il Papa è nel contempo il massimo rappresentante e campione del Sud del mondo, ma è anche il Pontefice di gran lunga più aperto verso le idee del Cristianesimo liberale; Bergoglio ripudia la teocrazia ed accetta il principio della laicità dello Stato; il Vescovo di Roma si oppone al dogmatismo nel nome della libertà di pensiero.
Asor Rosa è rimasto coerentemente marxista, e come tale dovrebbe ricordare che il “Profeta di Treviri”, suo Maestro ideale, si rivolse tanto ai “lavoratori di tutti i Paesi” quanto ai “popoli oppressi”.
Questa è ancora l’unica alleanza che ci può permettere di sconfiggere la reazione e di salvare la “democrazia rappresentativa”.
Oggi come nel 1945.
Mario Castellano