“Dio è padre ma si comporta da madre”. Francesco spiega il “Padre nostro” a partire dal rapporto madre-figlio, “una gestazione che dura tutta la vita”

Quarantuno anni dopo l’affermazione di Giovanni Paolo I “Dio è madre”, Papa Francesco rilancia questo concetto peraltro già fatto proprio da San Giovanni Paolo II nel 1999 e da lo stesso Bergoglio in altre occasioni. Ma questa volta Francesco, nella catechesi all’Udienza Generale interamente dedicata alla parola Abbà, che vuol dire Padre, cita la parabola del Figlio prodigo e descrive quel papà misericordioso come esempio di una sana dimensione femminile dell’animo umano che deve caratterizzare anche i maschi. “Il padre di quella parabola ha nei suoi modi di fare qualcosa che molto ricorda l’animo di una madre”, ga osservato citando ancora una volta la sua parabola preferita, narrata nel Vangelo di Luca, che ha come protagonista un padre misericordioso che per Francesco ha tratti materni. “Sono soprattutto le madri a scusare i figli, a coprirli, a non interrompere l’empatia nei loro confronti, a continuare a voler bene, anche quando questi non meriterebbero più niente”, ha fatto notare il Papa, secondo il quale “basta evocare questa sola espressione – Abbà – perché si sviluppi una preghiera cristiana”.

Secondo Papa Francesco, dunque, il Padre nostro “prende senso e colore se impariamo a pregarlo dopo aver letto la parabola del padre misericordioso”. “Immaginiamo – ha detto – questa preghiera pronunciata dal figlio prodigo, dopo aver sperimentato l’abbraccio di suo padre che lo aveva atteso a lungo, un padre che non ricorda le parole offensive che lui gli aveva detto, un padre che adesso gli fa capire semplicemente quanto gli sia mancato”, la proposta di Francesco: “Allora scopriamo come quelle parole prendono vita, prendono forza. E ci chiediamo: è mai possibile che Tu, o Dio, conosca solo l’amore? Ma tu non conosci l’odio? No, risponderebbe Dio: io conosco solo l’amore. Dov’è in Te la vendetta, la pretesa di giustizia, la rabbia per il tuo onore ferito? E Dio risponderebbe: io conosco solo amore”.

“Nella prima parola del Padre nostro troviamo subito la radicale novità della preghiera cristiana”, condensata in una parola: “Abbà, Padre, papà, babbo”, ha spiegato il Papa, che proseguendo le catechesi sul Padre nostro ha fatto notare che nel Nuovo Testamento “la preghiera sembra voler arrivare all’essenziale, fino a concentrarsi in una sola parola: Abbà, Padre”. E poi ha citato la lettera di san Paolo ai Romani: “Voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: ‘Abbà! Padre!”. In questa “invocazione”, che ritorna anche nella lettera ai Galati, “si condensa tutta la novità del Vangelo”. “Dopo aver conosciuto Gesù e ascoltato la sua predicazione – ha osservato il Papa – il cristiano non considera più Dio come un tiranno da temere, non ne ha più paura ma sente fiorire nel suo cuore la fiducia in Lui: può parlare con il Creatore chiamandolo ‘Padre’”. “L’espressione è talmente importante per i cristiani che spesso si è conservata intatta nella sua forma originaria”, ha sottolineato Francesco: “Paolo la conserva intatta: Abbà”. “È raro che nel Nuovo Testamento le espressioni aramaiche non vengano tradotte in greco”, ha commentato: “Dobbiamo immaginare che in queste parole aramaiche sia rimasta come ‘registrata’ la voce di Gesù stesso. Hanno rispettato l’idioma di Gesù”.

San Paolo, nelle sue lettere – ha aggiunto – segue questa stessa strada, e non potrebbe essere altrimenti, perché è la strada insegnata da Gesù: in questa invocazione c’è una forza che attira tutto il resto della preghiera”. “Dio ti cerca, anche se tu non lo cerchi”, ha commentato Francesco: “Dio ti ama, anche se tu ti sei dimenticato di Lui. Dio scorge in te una bellezza, anche se tu pensi di aver sperperato inutilmente tutti i tuoi talenti”. “Dio è non solo un padre, è come una madre che non smette mai di amare la sua creatura”, ha sintetizzato il Papa: “C’è una ‘gestazione’ che dura per sempre, ben oltre i nove mesi di quella fisica, è una gestazione che genera un circuito infinito d’amore”.
“Per pregare bene bisogna arrivare ad avere un cuore di bambino. Non basta un cuore sufficiente, così non si può pregare bene”, ha ammonito a braccio, spiegando che “pregare bene” significa pregare “come un bambino nelle braccia di suo padre, suo papà, il suo babbo”. “Non si tratta solo di usare un simbolo, in questo caso la figura del padre, da legare al mistero di Dio”, ha precisato ancora Francesco: “Si tratta invece di avere, per così dire, tutto il mondo di Gesù travasato nel proprio cuore. Se compiamo questa operazione, possiamo pregare con verità il Padre nostro”. Dire “Abbà”, per il Papa, è infatti “qualcosa di molto più intimo, più commovente che semplicemente chiamare Dio ‘Padre’. Ecco perché – ha poi concluso – qualcuno ha proposto di tradurre questa parola aramaica originaria con ‘papà’ o ‘babbo’: invece di dire Padre nostro dire papà, babbo”. “Noi continuiamo a dire Padre nostro, ma col cuore”, ha proseguito a braccio: “Siamo invitati a dire papà, ad avere un rapporto con Dio come il bambino con il suo papà. Chi dice papà dice babbo”. Queste espressioni, infatti, per Francesco, “evocano affetto, calore, qualcosa che ci proietta nel contesto dell’età infantile: l’immagine di un bambino completamente avvolto dall’abbraccio di un padre che prova infinita tenerezza per lui”.

All’udienza di oggi, Papa Bergoglio è apparso sorridente e rilassato, e ha anche accettato di buon grado di bere un mato che gli hanno offerto alcuni connazionali argentini ch ehanno portato anche una serie di cartoline colorate dipinte da loro. Non è mancato infine l’ormai tradizionale scambio dello zucchetto: ben due quelli che si è provato, offertigli da due delle coppie di sposi novelli presenti, in abito da cerimonia.