Don Gallo. Il prete del popolo (di M. Castellano)

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Il principale merito ma non l’unico di Don Andrea Gallo è consistito nell’interpretare a Genova il Cattolicesimo sociale, declinandolo in una espressione consona alla tradizione, alla cultura e all’identità della nostra Città.
Questa tendenza si origina dalla una scuola di pensiero iniziata in Francia – e più precisamente a Parigi – alla metà dell’Ottocento, quando gli entusiasmi della Rivoluzione del 1848 si spegnevano nella restaurazione operata da Napoleone “il Piccolo”, in apparenza dedito a rivendicare le glorie del Primo Impero, ma in realtà dedito a governate in contubernio con la parte più reazionaria del Cattolicesimo d’Oltralpe: la politica di Napoleone Gerolamo Bonaparte lo condusse a difendere quanto rimaneva dello Stato Pontificio.
Se anche l’Imperatore aveva consigliato a Pio IX di cedere a Vittorio Emanuele II Bologna e la Romagna, ricevendo come risposta il famoso “non possumus”, erano stati gli Zuavi francesi a contrastare i patrioti italiani dapprima al Vascello nel 1849, e poi a Mentana e a Monterotondo nel 1867.
Il connubio tra trono e altare indusse un gruppo di giovani intellettuali cattolici a ripensare la loro fede in riferimento con la nascita di un nuovo soggetto sociale: la classe operaia.
I nomi di Federico Ozanam, la Lamennais, di Lacordaire, di Montalembert segnano una pagina fondamentale nella storia della Chiesa.

Ozanam, che promosse la Società intitolata a San Vincenzo de Paoli, sarebbe stato in seguito beatificato proprio a Parigi da Giovanni Paolo II, escogitò fu un metodo di azine pastorale, basato sul contatto personale e diretto coi poveri: a suo modo, egli pensava ad una Chiesa che andasse verso le periferie, che non temesse di sporcarsi le mani e l’abito contattando, in modo non episodico ma sistematico e costante, la realtà costituita dalle “nuove povertà” del suo tempo, quelle causate dall’urbanesimo proprio della civiltà industriale, dalla condizione degli operai costantemente dalla disoccupazione in relazione con l’andamento del mercato.

Lamennais fondò un giornale, intitolato “L’Avenir”, prototipo dei quotidiani cattolici, cui si sarebbe richiamato in seguito – anche nel nome – “L’Avvenire d’Italia” di Piero Bargellini e di Raniero La Valle.
Larcordaire, che era un Padre domenicano, e Montalembert scelsero l’impegno politico, il chi li portò – come spesso accade in questi casi – a dissentire radicalmente, l’uno accettando la carica di Ministro dell’Istruzione di Napoleone III per orientare in senso religioso l’educazione pubblica francese, l’altro schierandosi con l’opposizione repubblicana.
Essendo però il Cattolicesimo francese dedito ad agire come fermento nella vita intellettuale della Nazione, prescindendo però da una presenza diretta nell’azione sociale, il denominatore comune di tutti questi grandi personaggi consisteva nel non promuovere alcuna istituzione ecclesiale o laica permeante: vi era tra loro chi si dedicava all’attività pastorale, chi all’editoria, chi alla politica, ma non si contava nessun Fondatore di un Ordine Religioso, né di un movimento sindacale o politico di orientamento cattolico.
In Italia, dove la fede era – ed è ancora – un fenomeno di aggregazione sociale, non si sviluppò una corrente di pensiero analoga a quella conosciuta dalla Francia.

Avemmo però Don Giovanni Bosco, il Santo per eccellenza dell’età industriale. Il Sacerdote di Castelnuovo seppe da un lato radicare la sua nuova Congregazione, e di conseguenza la Chiesa, in una condizione sociale nuova, ma le sue scelte civili risentirono del “non expedit”.
È risaputo che don Bosco non credesse nell’Unità Nazionale, e questo atteggiamento inquadra perfettamente la sua figura nell’ambito di un Cattolicesimo estraneo per propria scelta alla vicenda politica italiana, dal 1870 fino a dopo la Prima Guerra Mondiale.

Se vi era estraneità rispetto alla vicenda politica, ciò tuttavia non limitava la presenza e l’azione dei Cattolici nell’ambito della società: quella di Don Bosco è soltanto una delle grandi figure di Sacerdoti torinesi attivi in questa dimensione, collocandosi per questo nella vicenda civile della loro Città.

Se Don Bosco si dedicava alla gioventù, il Cottolengo si occupava degli ammalati ed il Cafasso dei carcerati: ciascuno di loro aveva dunque scelto come proprio campo di azione una delle categorie di emarginati e di vittime della società industriale.
Genova, a differenza di Torino, pur costituendo l’altro grande polo dello sviluppo delle fabbriche nell’Italia unita, non espresse nessuna figura comparabile – nella sua epoca – a questi personaggi: il Cardinale Alimonda chiamò Don Bosco ad installare in Città la sua opera, e la Casa salesiana di Sampierdarena fu la terza in ordine di costituzione dopo le due torinesi di corso Valdocco e di viale Maria Ausiliatrice.

A sua volta, l’Arcivescovo Boetto avrebbe in seguito chiamato a Genova Don Orione. Il Cardinale Siri costituì nel dopoguerra l’Auxilium e l’Apostolato del Mare, ma si trattava di iniziative dalla Gerarchia.

Gli Ordini Religiosi sono invece promossi da un “quivis de populo” espresso da una realtà sociale.
Don Gallo può essere dunque considerato l’equivalente genovese di Don Bosco e del Cottolengo, e la sua opera – proprio in quanto riferita alla forte personalità dell’iniziatore, alle sue intuizioni ed al suo radicamento nella storia e nella cultura cittadina – era destinata a sopravvivergli.

La Comunità di San Teodoro, essendo stata concepita in ambito cattolico più tardi rispetto alle altre, ha mutuato una parte della loro ispirazione e del loro metodo di azione, aggiungendovi però una intuizione, un carisma del tutto nuovo.
L’accostamento più appropriato per spiegare la sua funzione è forse quello con la Comunità di Sant’Egidio, sorta e sviluppata più o meno contemporaneamente.
Anche Sant’Egidio opera nel sociale, con l’assistenza prestata ai poveri di Roma e di tanti altri luoghi.

Nel suo caso, però, si tratta di una estrinsecazione dell’originale impegno missionario, inteso non più in termini eurocentrici, bensì volto a valorizzare le esperienze culturali, spirituali e politiche dei cosiddetti “Paesi Nuovi”.
Sant’Egidio è nato guardando oltre le mura di Roma; San Teodoro è sorto riferendosi alla realtà specifica di Genova.
Quella di Don Gallo era però – ed è ancor più ora – una Genova in decadenza.

Le “nuove povertà” su cui il prete dei vicoli, dei “caruggi” come si dice da noi, volse il suo sguardo erano quelle proprie di una Città che si andava deindustrializzando senza riuscire a trovare una vocazione alternativa.
Il Fondatore della Comunità di San Teodoro era partito da una scelta politica netta e decisa: quella in favore della Sinistra.
Un suo fratello maggiore, cui egli era molto legato, era stato un famoso comandante partigiano.
Di questa eredità, Don Gallo era certamente orgoglioso, ma capì ben presto che non si poteva vivere di rendita, con lo sguardo volto al passato.

La stessa grande esperienza del Movimento dei Lavoratori stava divenendo inservibile quando la chiusura delle manifatture rendeva inefficaci gli strumenti escogitati in altri tempi per le lotte operaie.
Anche nei tempi migliori, gli angiporti erano sempre stati un ricettacolo di emarginati, e non erano mancati i Sacerdoti che si dedicavano a questa umanità derelitta.
Tra loro, la plebe genovese conservava la memoria del nostro concittadino Francesco Maria da Camporosso, detto il “Padre Santo”, che spese la vita testimoniando il Vangelo in Darsena e nel Porto Franco.

Accanto alle tradizionali sacche di miseria di via Prè, si veniva però addensando un nuovo ceto di reietti: drogati, “homeless”, transessuali e prostitute originari del Terzo Mondo.
Questo fu l’ambiente in cui nacque la Comunità di San Teodoro.
Rispetto alle altre grandi opere assistenziali sorte in ambito cattolico, la nuova Comunità ebbe però fin dall’inizio una caratteristica specifica, consistente nell’unire all’impegno assistenziale l’espressione politica: essa poté così da un lato inserirsi nella grande tradizione civile della Città, e dall’altro rompere una consolidata tradizione di separatezza, propria della Chiesa locale.

Questo esito ha attratto molte critiche su Don Gallo, e qui radica la sua rottura con l’altro grande prete genovese della sua generazione, Don Gianni Baget Bozzo.
Il quale – pur esprimendosi sempre con libertà ed onestà intellettuale – non possedeva le stesse doti di organizzatore del Confratello, e rimase sempre attaccato al potere: dopo essere stato il braccio destro del Cardinale Siri, passò nell’orbita di Craxi, ed infine in quella di Berlusconi.

Don Gallo si munì di una organizzazione, che da un lato gli consentiva di operare per il bene del prossimo, ma dall’altro gli forniva il consenso, la popolarità, l’autorevolezza per dire la sua sulla vicenda civile della Città, e non soltanto.
La Sinistra genovese lo commemora, nell’anniversario della morte, con una buona dose di ipocrisia: se avesse ascoltato in vita il suo insegnamento, non sarebbe ridotta nelle condizioni in cui versa attualmente.

L’Ingegner Burlando si fece vedere piangente ai funerali, ma le sue erano lacrime di coccodrillo.
L’ex Presidente della Regione anticipò abbondantemente Renzi nel ritenere che la sua parte politica non dovesse rappresentare i poveri e i deboli, ma solo la bella gente, nel cui ambiente entrambi ambivano ad essere cooptati: con l’unico risultato di esserne visti come dei “parvenus”, e di essere trattati da parenti poveri, mentre i vecchi compagni di lotta si distanziavano da loro.

Don Gallo fu invece sempre, coerentemente, dalla parte degli ultimi, ed in questa scelta raccolse l’eredità delle grandi figure del clero italiano dedite alla loro causa: Don Mazzolari, Don Saltini, Don Milani, Don Benzi, Don Riboldi.
Questi uomini sono morti tutti, quando più ci sarebbe bisogno della loro testimonianza e del loro esempio.

I “nuovi poveri”, le masse crescenti di emarginati, sono sempre più attratti dalla demagogia dei “bipopulisti”, e forniscono loro una massa di manovra da lanciare contro altri poveri, essenzialmente gli immigrati.
A San Teodoro si praticava la regola per cui non ci sono stranieri nella Chiesa.
Don Gallo non avrebbe mai tollerato alcuna discriminazione nell’aiuto tra gli Italiani e la gente venuta da fuori.

Oggi è proprio nel nome di questa discriminazione che si combattono le lotte politiche.
C’era un’altra realtà in cui non si praticavano discriminazioni in base all’origine: il Movimento dei Lavoratori.
Don Gallo è stato l’ultimo esponente genovese di questo movimento. Benché portasse la tonaca, sapeva mettersi alla testa delle mobilitazioni civili, portandovi il contributo della sua ispirazione spirituale.
Quella ispirazione era costituita dal Vangelo.

Il migliore augurio che possiamo esprimere all’unico uomo ancora in grado di raccogliere la sua eredità morale, il Cardinale Bagnasco, è di non arretrare mai davanti all’impegno civile, accampando una separatezza della condizione sacerdotale che può trovare dei pretesti giuridici, ma non avrà mai una giustificazione etica.
La Chiesa è l’unico soggetto ancora in grado, nell’Italia di oggi, di resistere all’egoismo sociale.
Per questo, essa ha più che mai bisogno dell’esempio costituito dalla figura di Don Andrea Gallo.

  • Mario Castellano