Che figuraccia ha fatto Muller sul Lago Maggiore, dimostrando che non sa nemmeno di cosa parla (di M. Castellano)

Esiste una costante nell’atteggiamento teutonico nei confronti dell’Italia, che consiste nella perenne tentazioni di calare dal Brennero: c’è chi viene a compiere una sorta di pellegrinaggio spirituale alle fonti della cultura classica, come il grande Volfango Goethe, e chi viceversa è motivati da istinti ancestrali di conquista; nel qual caso – per il nostro Paese – sono dolori.
Si può risalire indietro nella storia fino a Federico I di Hohenstaufen, detto il Barbarossa (che preferì attraversare l’Engadina).
L’insuccesso di Legnano non trattenne i suoi discendenti dal ritentare l’impresa.
Manfredi venne però ucciso nella battaglia di Benevento, e l’ultimo rampollo della famiglia, Corradino, catturato a Tagliacozzo dai Baroni meridionali, fedeli a Carlo d’Angiò, venne decapitato a Napoli davanti alla Chiesa del Carmine, dove ancora si celebra in suo suffragio una Messa quotidiana.
In tempi più recenti, dilagarono al di qua delle Alpi il Generale Konrad dopo Caporetto, ed il Generale Kesserling dopo l’otto settembre.
Quest’ultimo ebbe addirittura l’impudenza di affermare che gli Italiani avrebbero dovuto costruirgli un monumento.
Egli riteneva evidentemente che l’esercito tedesco fosse incaricato di una missione civilizzatrice.
Lo stesso preconcetto razzistico si riscontra ora in un personaggio che per la sua missione sacerdotale dovrebbe collocarsi agli antipodi dei gerarchi nazisti: alludiamo al Cardinale Muller, il quale ha dapprima valicato Brennero con una intervista dai toni polemici nei confronti del Papa, ed ora lo fa di persona raggiungendo la ridente località turistica di Stresa, sulle rive sul Verbano (i laghi subalpini sono simbolici dell’Italia nell’immaginario collettivo delle genti germaniche).

Giunto dunque sul Lago Maggiore, anziché dedicarsi al meritato riposo, il Porporato concede una intervista al collega Massimo Franco del “Corriere della Sera”, un professionista più uso a redigere il cosiddetto “pastone” politico che a occuparsi di questioni religiose.
Poiché però i “pastonisti”, che svolgono sulla riva sinistra del Tevere la stessa funzione riservata ai “vaticanisti” sull’opposta sponda, sono usi a raccogliere gli sfoghi dei politicanti, ed anche a provocarli adeguatamente se c’è bisogno di “fare notizia”, Franco stimola il Cardinale tedesco a parlar male di Bergoglio: il che costituisce notoriamente il sport preferito dal polemico Cardinale tedesco.
Accolta dunque la sollecitazione dell’interlocutore come il classico invito a nozze, il prelato – cui evidentemente è già venuto a noia il ritiro in un monastero benedettino della Baviera – parte in quarta ricordando al Papa il compito che deve svolgere (noi italiani diciamo volgarmente che è pagato per questo): dovrebbe “occuparsi della dottrina, della verità cattolica”.
Noi non lo sapevamo ancora, e ringraziamo Muller per avercelo ricordato.
Non sappiamo se Bergoglio fosse informato: se non lo era, chieda l’arretrato del “Corriere della Sera”.
Massimo Franco afferma sibillinamente che il cardinale guarda all’attuale Pontificato da una posizione “sia interna che esterna”: questo parrebbe significare che siamo al cospetto di un mezzo scismatico, figura simile all’ircocervo della donna “mezza incinta”.
Gli Italiani, con la loro consueta volgarità, parlano di colui che tiene il piede in due staffe: omettiamo il resto, dato il contesto religioso del nostro modesto scritto.
“In Vaticano – è scritto nell’articolo – l’opinione diffusa è che il porporato tedesco sia stato allontanato per le divergenze con il Papa”: non certamente per essere stato troppo d’accordo col suo Superiore.

E’ comunque certo che Muller reagisce come un qualunque impiegato della mutua o del catasto allontanato dall’incarico per contrasti col suo capo ufficio: nel linguaggio burocratico si dice di costoro che si sono “rotti le corna”.
Tuttavia, prevale nel Cardinale un atteggiamento di benevola e apparente commiserazione: il Papa “viene dall’America Latina, una zona con una mentalità molto diversa dalla nostra europea”; bisogna capirli, sono dei selvaggi bisognosi di imparare le buone maniere (manca solo che Muller accusi il Pontefice di mangiare con le mani, ma sicuramente provvederanno alla bisogna Demattei e Lanzetta).
“Per il magistero – sentenzia il tedesco – è importante la collaborazione con la teologia scientifica”: il Papa non solo è un dilettante, ma pretende di fare a meno di consiglieri qualificati, in grado di correggere i suoi strafalcioni in materia di Dottrina.
Pazienza per le accuse di Ferrara, che fa le bucce a Bergoglio sulla scienza economica, ma ora c’è chi insinua che anche la sua laurea in Teologia è dovuta alle raccomandazioni: dalle nostre parti risuona spesso l’invettiva “Ma chi te l’ha data la patente?!”
“Alcuni documenti avrebbero bisogno di una maggiore preparazione”, come nel caso della “Amoris Letiatiae”, redatta da persone non all’altezza del compito: il che è come dire che il Papa copia i compiti da qualcuno ancora più asino di lui.
Si tratta di persone – l’allusione è all’Arcivescovo Victor Manuel Fernandez, consulente del Papa – della cui competenza Muller “non è molto convinto”, avendo costui affermato “che si può trasferire la Chiesa di Roma e il papato in un’altra città”.

Il Cardinale non ha mai sentito parlare del Papato Avignonese, o del motto “Ubi Petrus, ibi Ecclesia”?
Si conclude con una recriminazione per le maldicenze di alcuni “amici” del Papa, incapaci di “rispondere con argomenti teologici”, i quali agiscono dunque con “mezzi sporchi”.
Pare di capire che opera in Vaticano una sorta di servizio segreto, incaricato di controllare i Dicasteri e di riferire direttamente al Papa.
C’è un illustre precedente: negli anni Cinquanta una simile polizia politica venne istituita dal Cardinale Canali, che non si accontentava di collocare un gendarme letteralmente ad ogni metro del territorio vaticano (beneficiando in tal modo più l’occupazione che la sicurezza della Santa Sede).
Il Cardinale pare in conclusione afflitto da un complesso eurocentrico di superiorità, che lo induce a guardare dall’alto in basso i “terzomondisti”.
I quali, a nostro modesto avviso, hanno dimostrato un grande amore verso la Chiesa essendosi lasciati governare a lungo da gente simile senza mai essere tentati di consumare uno scisma.
Forse il Cardinale non sa che la maggioranza dei Cristiani (non solo dei Cattolici) vive nel Terzo Mondo, ed in particolare in America Latina.
Se è vero che nella Chiesa non vige il suffragio universale, bisogna però anche tenere conto delle altre culture “Ecclesia ex gentibus”.
Forse il Muller ritiene che l’origine dei guai da lui lamentati risalga alla indigenizzazione del Clero, avviata niente meno che da Pio XII: anche Pacelli, però, era notoriamente un cripto comunista.

Mario Castellano