Fondi della Lega Nord: ecco dove sono finiti i soldi del partito di Matteo Salvini

Novecentocinquanta euro all’ora più Iva, cassa forense e rimborso spese i compensi dell’avvocato Domenico Aiello che, lo scorso 18 aprile del 2012, firmò un contratto con la Lega Nord. I numeri sono emersi da un’inchiesta portata avanti da Il Fatto Quotidiano che ha indagato sui fondi del Carroccio: all’epoca Umberto Bossi si era dimesso da segretario e il partito era stato affidato al trio formato da Manuela Dal Lago, Roberto Maroni e Roberto Calderoli che firmò il contratto dell’avvocato, nonostante Aiello fosse molto vicino a Maroni che si stava preparando a scalare il partito: venne infatti nominato leader proprio nel luglio dello stesso anno per rimanere in carica fino alla fine del 2013.

Il quotidiano diretto da Marco Travaglio ha sottolineato che proprio in quello stesso periodo, in quei soli quindici mesi, il famoso e tanto nominato tesoretto del Carroccio comincia a smaterializzarsi, ad evaporare a colpi di bonifici. Nel lontano 2011 nel bilancio vi erano quasi 48 milioni di euro: un patrimonio di circa 46 milioni, titoli pari a 20,3 milioni di euro e 12,8 milioni di liquidi. Poi vi è stato un calo drastico con la perdita di 41 milioni di euro in soli sei anni e con la scomparsa di tutti i titoli. Analizzando anno per anno, nel 2012 scesero a 7,8 milioni, nel 2014 a 3,2 , per poi scomparire definitivamente nel 2015. Una risposta su questa misteriosa sparizione non è mai arrivata: quello che si sa è che ha ragione Matteo Salvini quando sostiene che i tanto famosi 49 milioni di euro, oggetto delle ricerche delle Procure di Genova e Milano, non ci sono più: sono andati perduti. Il problema legato a questa evaporazione, come ha segnalato l’ex revisore Stefano Aldovisi in un suo esposto alla Procura che è stato depositato alla fine dello scorso anno, è capire come siano stati spesi. I bilanci che sono stati presentati evidenziano che proprio durante la stagione di Maroni alla guida della Lega, la cassa del partito è stata praticamente sbriciolata.

Il Fatto Quotidiano ha continuato la sua disamina riportando le parole di un ex dipendente del Carroccio: “Sembrava che Maroni volesse chiudere la Lega: per questo ne ha svuotato le casse. Prima ha esternalizzato tutti i servizi interni, poi ha usato ogni energia e risorsa per vincere le elezioni regionali”. Il primo duro e pesante sconvolgimento ai conti del partito arriva proprio nel lontano 2012, nel primo anno di Maroni da segretario: l’attivo scende da 47 a 40 milioni , il patrimonio da 46 a 35 e già lì si registra una sorta di giallo. L’anno dopo, nel 2013, l’ultimo periodo di Maroni leader, gli oneri diversi di gestione pesano sulle casse del Carroccio per una cifra che si aggira su quasi nove milioni di euro, mentre i contributi ad associazioni sono due milioni.
Un anno, sempre il 2013, definito come l’annus horribilis per i conti partito: i liquidi passano dai 23 milioni dell’anno prima ad appena sei milioni, il patrimonio scende da 35 a 21 milioni. Durante lo stesso periodo aumenta la voce delle spese legali: nel lontano 2011 erano 305.953 euro, l’anno dopo salgono fino a 538.288 euro per arrivare nel 2013 a 3 milioni e 102 mila euro. Altre dichiarazioni rilevate da altri ex dipendenti della Lega al FattoQuotidiano.it riportano che “Bobo ha messo dentro il suo avvocato con un contratto da alcune centinaia di euro all’ora”. Il quotidiano on line diretto da Peter Gomez ha potuto prendere visione di quell’accordo che legava l’avvocato calabrese al partito di Via Bellerio: per sé Aiello pattuisce una paga da 450 euro, per il suo associato Lorenzo Bertacco di 300, per altri da individuare caso per caso di 200. Tutto questo all’ora, più il 22% di Iva e il 4% di cassa di previdenza forense, come è verbalizzato su carta intestata dello studio associato Aiello Brandstatter: si tratta di Gerhard Brandstätter, ex socio dell’uomo di Maroni.

La banca altoatesina ha ospitato in passato un conto corrente del Carroccio per una cifra pari a 20 milioni di euro: a sottoscriverlo proprio lo stesso Aiello che, parlando con Peter Schedl, allora direttore generale della Sparkasse, cercava di ottenere un interesse vantaggioso. Tutte queste conversazioni sono state intercettate dalla Dia di Reggio Calabria e pubblicate dal giornalista Marco Lillo nel volume Il potere dei segreti (Paper First): anche se non hanno avuto alcuna ripercussione sul piano penale sono utili per capire cosa si muovesse sullo sfondo del Carroccio all’epoca. “Andiamo via in una situazione che è il 3 e mezzo. Lui indicava il 4, c’ero io quando ha chiamato”, sottolinea lo stesso Aiello intercettato riferendosi a Brandstatter. “Il 4 non è possibile – risponde il dg – facciamo così partiamo dal 3 e mezzo e poi da lì vediamo strada facendo”. Quando Matteo Salvini viene eletto segretario ordina di spostare quei soldi su un conto in Banca Intesa: il motivo di questa decisione è ben spiegato in una mail inviata da un dirigente Sparkasse allo stesso Aiello nel lontano febbraio del 2013: “Il tasso attualmente applicato si intendeva legato a una determinata operatività… si era prospettata la possibilità di investire in fondi, azioni, obbligazioni societarie. Successivamente siamo venuti a conoscenza del fatto che la legge vieta ai partiti politici di investire la propria liquidità in strumenti finanziari diversi dai titoli emessi da Stati membri della Ue”. Un’evidenza che lo stesso manager fa all’avvocato al telefono il 12 marzo del 2013: “Che pasticcio! Questa cosa spicca agli occhi di qualcuno, se vengono a fare dei controlli potrebbero chiedermi perché tutti gli altri clienti con patrimoni grossi hanno l’1,5 e questo ha il 3,5”.

La storia dei soldi della Lega s’interseca perfettamente con le lotte di potere interne al partito, dilaniato dall’estromissione di Bossi e dalla scalata di Maroni. Sempre secondo Il Fatto Quotidiano quest’ultimo, nel momento della sua ascesa al potere, sembrava avere un solo chiodo fisso: andare a costituire una sorta di fondazione blindata dove nascondere i beni del partito per metterli al riparo dalle rivendicazioni dei fedelissimi di Bossi. Come quando si parla di Matteo Brigandì, legale storico di Bossi, ex parlamentare e acerrimo “nemico” di Aiello: ad oggi è stato l’unico che è riuscito nell’impresa di togliere euro alla Lega. Lo ha fatto alla fine del 2012 quando ha chiesto e ottenuto dal Tribunale di Pinerolo il sequestro di 2 milioni e 600mila euro su un conto corrente aperto nella filiale vicentina di Unicredit. Brigandì è un uomo che conosce molto bene il partito di Via Bellerio, attacca chirurgicamente i conti periferici del partito, quelli dove arrivavano i finanziamenti pubblici. “Noi dobbiamo segregare un patrimonio esistente di 20 milioni e uno nascente”, confiderà nel lontano gennaio del 2013 Aiello al commercialista Massimo De Dominicis: “Anche perché loro prendono una vagonata di soldi a dicembre e una vagonata a luglio e adesso è arrivata una vagonata di soldi”, aggiunge il legale che risulterà essere fondamentale anche per la firma dell’accordo tra Bossi e Salvini per sancire la pace tra la Lega del passato e Lega del futuro.

Si parla di una scrittura privata firmata da Salvini, Bossi, Brigandì e dall’allora segretario amministrativo Stefano Stefani. In queste pagine, Brigandì rinunciava a rivendicare una parcella milionaria per aver difeso il partito dal 2000 al 2013 e in cambio l’attuale segretario assicurava a Bossi una “quota” pari al 20% delle candidature in posizione di probabile elezione, più uno stipendio da presidente di partito pari a 450mila euro l’anno come “agibilità politica“. Nello stesso documento, Salvini sottoscrisse che la Lega non avrebbe dato ulteriori mandati all’avvocato Aiello e che avrebbe affermato, a mera richiesta, in ogni sede la correttezza del comportamento di Brigandì dal punto di vista morale e deontologico.

Questo è un patto che verrà in gran parte disatteso: a cominciare dalla presunta correttezza di Brigandì; il legale in questione ha visto la Lega costituirsi parte civile nel processo a suo carico a Milano per patrocinio infedele e autoriciclaggio. Sarà proprio per questo motivo che, all’udienza dell’8 novembre, Brigandì ha ricordato l’esistenza di quella scrittura privata, “quella sottoscrizione è ben antecedente alle accuse emerse dall’inchiesta”, ha sostenuto l’avvocato Lorenzo Bertacco, che rappresenta ancora oggi la Lega e fa sempre parte dello studio legale Aiello. Anche dopo il ritiro dalla politica di Maroni l’avvocato calabrese è rimasto vicino al Carroccio: via Bellerio, in pratica, ha continuato ad affidargli mandati difensivi. Se ai prezzi stabiliti nel 2012 o ad altri più economici non è dato sapere.

“Tu gli stai firmando che la Lega non si costituisce parte civile contro Belsito”, questo è quanto sosteneva l’avvocato intercettato a Stefani il 24 febbraio del 2014, cioè due giorni prima che quella scrittura privata venisse firmata. “Sì e ti spiego perché, perché lui (Brigandì, ndr) questa vuol trattarla come merce di scambio affinché Belsito non dica che ha dato i soldi a…su ordine di Bossi perché se no dovevamo costituirci anche contro Bossi e allora”, questa la risposta tesoriere. “Non è vero questo, non è vero – sbotta l’avvocato – guarda che ti assumi una responsabilità personale molto importante se fai una cosa del genere. Riflettici, eh”. “Non sono solo io!”, “Io ti do un consiglio da fratello, non la firmare perché questa clausola ti porterà solo dei guai a te e a chiunque la firma. Eh”. “Chiamo anche Giorgetti e glielo dico. Perché è una cosa troppo delicata”, “Sono soldi pubblici quelli del partito, non puoi rinunciare così perché stai negoziando una cosa. Perché tu hai l’obbligo di recuperare quello che è il patrimonio che il partito ha perso, non è che uno, solo per chiudere una transazione positiva perché, ripeto, questa transazione…altrimenti diventiamo noi anche compartecipi di questo reato cioè è questo qui che lui chiede”.

Con tutte queste intercettazioni lo stesso Aiello avverte Stefani: con la firma di quella scrittura privata anche la Lega di Salvini si rende compartecipe dei reati commessi da Bossi. L’allora tesoriere capisce che la situazione è molto delicata e annuncia l’intenzione di chiamare Giancarlo Giorgetti. A quel punto non si sa se Stefani abbia davvero chiamato l’attuale Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio: Aiello di sicuro chiama Maroni. “Ma chi la stava firmando: anche Salvini?”, chiede l’ex governatore della Lombardia. “Si – risponde l’avvocato – anche Salvini e poi Stefani me l’ha mandata e mi ha detto: io se tu non mi dai l’ok non firmo”. “Ok – spiega Maroni – ma Salvini non vuole rotture di coglioni, dice chiudiamo in fretta, però non esiste al mondo, tolgano il mio nome e facciano quello che vogliono”. “Il disegno è questo”. Quella scrittura privata sarà firmata 48 ore dopo.

Dario Caputo