Francesco alla Fao. Una rivoluzione nei rapporti economici mondiali (di M. Castellano)

Due aspetti del discorso pronunciato oggi dal Papa davanti alla FAO meritano di essere ricordati, l’uno riguardante la cronaca, l’altro relativo alla storia: ascoltando Bergoglio attraverso la televisione del Vaticano, si è potuto cogliere il brusio dei delegati quando si è rammaricato perché la comunità internazionale ha elaborato gli strumenti necessari tanto per la preservazione della natura “come, per esempio, l’Accordo di Parigi”, ma da essi “disgraziatamente, alcuni si stanno già dissociando”.
A questo punto, la platea ha avuto come un moto non certo di disapprovazione – la gran parte dei delegati, provenienti dai Paesi del Meridione del globo, sentiva anzi di avere trovato nel Papa il massimo difensore della propria causa – e che anzi esprimeva certamente la sensazione di avere udito qualcosa di importante, di storico, di decisivo.
In realtà, l’avere reso pubblico davanti a tutto il mondo, i cui rappresentanti erano riuniti a Roma, il proprio dissenso da Trump, già emerso con assoluta evidenza durante il recente incontro in Vaticano con il Presidente, costituisce l’evento.
Il fatto, a sua volta, non ha coinciso con la visita a Roma del “tycoon”, bensì con la scelta, maturata da lungo tempo nell’ambito della Chiesa e sfociata nell’elezione di Bergoglio, di schierarsi con la parte dell’umanità assoggettata alle ingiustizie che il Papa va denunziando.

Di queste ingiustizie, Trump ha decretato indubbiamente un aggravamento: l’avvento alla Presidenza del portabandiera della destra economica e politica americana più radicale, costituisce d’altronde a sua volta la manifestazione visibile di una linea di tendenza del tutto opposta a quella su si è indirizzata la Chiesa.
Qui veniamo all’altro aspetto del discorso davanti alla FAO, quello che lo colloca in una prospettiva storica: se l’Enciclica “Laudato si’” costituisce il grande testo ideologico espresso da Papa, un manifesto non soltanto proposto alla comunità cristiana, bensì all’umanità intera, l’indicazione cioè di una strategia globale, l’appello pronunziato a Roma il 16 ottobre contiene viceversa la formulazione di una azione politica concreta che intende perseguirne la realizzazione.
Certamente, i giornali di domani diranno che il Papa ha criticato apertamente il Presidente degli Stati Uniti, non condividendo la sua denuncia dell’Accordo di Parigi, e questo è senza dubbio vero.

L’incidente diplomatico non è però dovuto ad un dissenso occasionale, né tanto meno a problemi di ordine personale, bensì allo scontro tra la logica del profitto e la preoccupazione per l’effettiva condizione umana.
Se dovessimo riassumere in una formula il contenuto, estremamente ampio ed articolato, della grande Enciclica pubblicata dal Papa, diremmo che il Vescovo di Roma, sintetizzando i contribuiti da un lato degli scienziati e dall’altro dei teologi, ha postulato la “crescita zero”, indicandola come una scelta al contempo doverosa dal punto di vista morale e necessaria al punto di vista economico.
Partendo da questo presupposto, che l’Enciclica sottolinea con dovizia di dati scientifici, debordando dai consueti contenuti religiosi di simili documenti, la scelta compiuta da Trump non risulta soltanto iniqua dal punto di vista etico, bensì anche suicida.
Il Papa, a questo punto, poteva usare la tribuna della FAO, dove – come in tutti i contesti mondiali – egli gioca in casa, data l’assoluta prevalenza numerica dei rappresentanti del Sud del mondo, che già alle Nazioni Unite gli hanno tributato grandi ovazioni a scena aperta, per pronunziare una sorta di comizio.

Bergoglio se ne è naturalmente astenuto, preferendo conferire alla sua allocuzione un contenuto eminentemente programmatico.
Il discorso riferito alla alimentazione – il nome stesso della FAO fa espresso riferimento al cibo (“food”, in inglese) – viene inserito in primo luogo nell’auspicio di una democratizzazione dei rapporti mondiali: bisogna infatti “garantire il diritto di ogni essere umano ad alimentarsi secondo le sue proprie necessità, pendendo parte inoltre alle decisioni che lo riguardano”.
Si rinfaccerà certamente al Papa – attendiamo a questo riguardo un “pezzo di colore” a firma del solito Sandro Magister – la sua presunta utopia, se non addirittura una demagogia di tipico stampo latino americano.
Occorre invece piuttosto domandarsi se la politica agraria mondiale sia oggi conforme o meno con i bisogni dell’umanità.
La risposta è certamente negativa, per due ragioni: in primo luogo, perché si indirizzano alla produzione di armi le risorse che sopperirebbero alle necessità del genere umano qualora fossero destinate alla produzione di alimenti.
In secondo luogo, gli investimenti nell’agricoltura non vengono decisi ed indirizzati in relazione al fabbisogno della gente: essi – dice il Papa – sono viceversa “frequentemente soggetti alla speculazione, che li misura solo in funzione del beneficio economico dei grandi produttori o in relazione alle stime del consumo, e non alle reali esigenze delle persone”.
Le scelte sono determinate dal reddito, per cui un bene alimentare richiesto dal mercato dei Paesi ricchi viene preferito ad un altro, che potrebbe invece sfamare le popolazioni con minore capacità di spesa.

Occorre dunque opporsi alle scelte delle multi nazionali del cibo.
La battaglia, però, deve essere intrapresa motivando quanti debbono sostenerla.
Qui, ancora una volta, il Papa enuncia una apparente utopia, che però costituisce semplicemente il rovesciamento dei postulati economici attuali, di cui abbiamo già potuto constatare gli effetti disastrosi.
“Sarebbe esagerato – suggerisce il Papa – introdurre nella cooperazione internazionale la categoria dell’amore, coniugata come gratuità, uguaglianza di trattamento, solidarietà, cultura del dono, fraternità, misericordia?”
Il Pontefice qui postula una rivoluzione nei rapporti economici internazionali e come sempre si troverà di fronte a chi la ritiene impossibile.
La rivoluzione esce però dall’utopia quando sono in campo le forze necessarie per attuarla.
L’obiettivo che Bergoglio propone, cioè la “crescita zero”, non significa naturalmente fine del progresso, bensì fine di uno sviluppo distorto, misurato cioè secondo i profitti che procura a pochi anziché in base alla diffusione dei suoi benefici.
“Non è lecito – dice il Papa – sottrarre le terre coltivabili alla popolazione, lasciando che il “land grabbing” (accaparramento di terre) continui a realizzare i suoi interessi, a volte con la complicità di chi dovrebbe difendere gli interessi del popolo.
Le realtà in cui viene invece realizzato il modello di sviluppo proposto da Bergoglio, così come le forze interessate ad estenderlo, stanno crescendo: ed è su queste realtà e su queste forze che il Pontefice fa affidamento per porre in essere in tutto il mondo quanto egli propone.

Proprio per questo il Papa si dimostra capace di uscire dall’utopia, in quanto egli è in grado di coalizzare, di coordinare, di animare chi si riconosce nelle sue idee: si tratta di entità pubbliche e private, religiose e laiche, sindacali ed imprenditoriali, sociali e culturali, che già esistono in molte realtà diverse.
Un’occasione importante, anche se non certo l’unica, per contare e mettere a confronto questi soggetti è indubbiamente offerta dal Sinodo sull’Amazzonia.
Lo scontro che questa assise susciterà risulterà certamente durissimo, avvenendo tra due modelli di sviluppo, l’uno dei quali però mette in pericolo – in prospettiva – la stessa sopravvivenza del genere umano.
Quanto non può la generosità e l’idealismo, lo può certamente l’istinto di sopravvivenza.
Si tratta di far capire alla gente che tutti sono interessati all’esito della contesa.
Fino ad ora, la Chiesa si era limitata a sollecitare i buoni sentimenti: ora, invece, essa si fa promotrice di un programma politico concreto; mentre però nell’un caso tutti potevano dirsi d’accordo, dato che si faceva bella figura e non costava nulla, ora si è posti davanti a delle scelte ben precise e dirimenti.
Che l’orientamento della Santa Sede sia cambiato, lo dice chiaramente il Papa: “Non possiamo (…) limitarci ad avere pietà, perché la pietà si limita agli aiuti di emergenza, mentre l’amore ispira la giustizia ed è essenziale per realizzare un ordine sociale giusto tra realtà diverse che aspirano all’incontro reciproco”.

L’obiettivo è dunque la realizzazione di un nuovo ordine mondiale.
Anche i patti iniqui cui alcuni Governi sono stati costretti vengono criticati dal Papa: sembra di cogliere un riferimento al caso della Grecia quando egli si riferisce ad “accordi bilaterali che subordinano la cooperazione al compimento di agende” contrarie agli interessi dei popoli.
Rimane infine sullo sfondo la realtà irreversibile che già le politiche errate ed inique hanno determinato: coloro che si sono messi in viaggio “non potrebbero essere fermati da barriere fisiche, economiche, legislative, ideologiche”.
Risulta dunque irrealizzabile – oltre che immorale – è la pretesa di fermare le migrazioni, che costituisce oggi la base di tutti i programmi ispirati alla xenofobia.
E’ ora – dice Bergoglio – di elaborare il “Patto mondiale per una migrazione sicura, regolare e ordinata”.
Se la pretesa di fermare il fenomeno conduce inevitabilmente ad aggravare i conflitti, la causa della pace esige la sua regolazione a livello mondiale, basata però su di un nuovo diritto: il diritto delle persone a trasferirsi “dove vedono una luce o percepiscono una speranza di vita”.
Il Papa traccia dunque un programma di azione concreto che coinvolge tutto il mondo: si può consentire o dissentire dai suoi singoli termini concreti, ma l’impegno per raggiungere gli scopi che egli ha indicato costituisce un dovere per tutti gli uomini di buona volontà.

Mario Castellano