Francesco: in Congo la Chiesa vuole solo la pace. Preti anti-Kabila: 16 rapiti o arrestati. Appello Cei

“Purtroppo continuano a giungere notizie preoccupanti dalla Repubblica Democratica del Congo. Pertanto, rinnovo il mio appello perché tutti si impegnino ad evitare ogni forma di violenza”. Lo ha detto Papa Francesco a conclusione dell’Udienza Generale di oggi. “Da parte sua, la Chiesa non vuole altro che contribuire alla pace e al bene comune della società”, ha assicurato Francesco. Come è noto gli incidenti di piazza sono iniziate in seguito a iniziative di protesta promosse da laici cattolici di organismi ecclesiali delle diverse diocesi. Intanto la Cei ha diffuso un appello per la liberazione di padre Robert Masinda – del clero della diocesi di Butembo-Beni – e di un suo collaboratore, rapiti il 22 gennaio. Un fatto, affermano i vescovi italiani, “sintomatico del malessere che da molto tempo attanaglia la Repubblica Democratica del Congo. Si tratta del sesto sacerdote rapito dal 2012, insieme a religiose e laici, in un contesto, quello del Kivu settentrionale, dove la stremata popolazione civile è sottoposta, quotidianamente, ad ogni genere di vessazioni da parte di innumerevoli formazioni armate. A ciò si aggiunga la delicatissima situazione politica nazionale, segnata dalla repressione nei confronti di quei cattolici che, lo scorso 31 dicembre, hanno protestato, e continuano a farlo pacificamente, nei confronti di coloro che nel paese africano impediscono lo svolgimento delle elezioni”. Chiedendo l’immediata liberazione dei prigionieri, la Conferenza Episcopale Italiana esprime “la propria solidarietà alla Chiesa e al popolo congolese e si stringe attorno all’Episcopato locale, implorando da Dio i doni della giustizia, della riconciliazione e della pace”.

La Chiesa nel paese africano è proprio nell’occhio del ciclone. Scrive Avvenire che “il braccio di ferro tra il governo e le gerarchie della Chiesa locale è ormai sempre di più duro”. “Le forze di sicurezza congolesi hanno ucciso almeno sei civili e ne hanno feriti 65”, aggiunge il quotidiano della Cei citando Florence Marchal, portavoce della missione dell’Onu nel Paese (Monusco). “A partire dalle dieci di mattina la polizia ha violentemente disperso migliaia di manifestanti. Secondo le nostre informazioni – ha continuato Marchal –, ci sono stati 111 arresti in tutto il Paese. La popolazione sta protestando affinché il presidente, Joseph Kabila, lasci il potere”. Le autorità hanno confermato invece la morte di due persone”. Altre organizzazioni della società civile affermano invece che “gli arresti indiscriminati di cittadini sono almeno 247”, ha sottolineato Georges Kapiamba, presidente dell’Associazione congolese per l’accesso alla giustizia (Acaj).

Tra i detenuti ci sono anche 24 giovani membri del movimento “Lotta per il cambiamento” (Lucha) nella città di Beni, a nord-est del Paese. Inoltre, molti preti e suore sono stati bastonati e arrestati dai poliziotti. Almeno dieci sacerdoti e due suore sono stati sequestrati dalla forze dell’ordine negli scontri di domenica – hanno rivelato ieri mattina fonti della Chiesa locale all’agenzia Fides –. Tra i preti c’è don Dieudonné Mukinayi, della parrocchia di Saint Christophe de Binza-Ozone a Kinshasa, imprigionato insieme a otto parrocchiani. Fin da sabato scorso, le forze dell’ordine avevano allestito blocchi stradali vicino alle varie chiese della capitale Kinshasa, come in molte altre città della Repubblica democratica del Congo.

“La gente ha protestato a Kisangani, Beni, Goma, Bukavu, Mbuji-Mayi e altre località del Paese – riferiva Radio Okapi, un’emittente radiofonica finanziata dalla missione dell’Onu –. Le forze di sicurezza sono però riuscite a fermare alcune manifestazioni prima che la gente si riunisse”. I vari comandanti di polizia, esortati dal governo a bloccare ogni raggruppamento, avevano fatto sapere che «ogni tentativo di protesta non sarà tollerato”. I leder religiosi, tra cui l’arcivescovo di Kinshasa, il cardinale Laurent Monsengwo Pasinya, hanno dimostrato che, nonostante le minacce, hanno intenzione di protestare ogni domenica in modo pacifico fino alle dimissioni di Kabila, al potere dal 2001.

Le missioni diplomatiche straniere, soprattutto quelle di Francia, Stati Uniti, Svizzera e Inghilterra, hanno inoltre espresso il loro “pieno sostegno alla popolazione congolese che esige il rispetto della democrazia». Secondo l’accordo di San Silvestro del 2016, il presidente Joseph Kabila nella foto) avrebbe dovuto organizzare le elezioni entro il 2017 rinunciando a ricandidarsi. Durante l’anno, però, i lavori per il processo elettorale hanno subito continui posticipi provocando frequenti proteste e ribellioni armate in varie zone del territorio congolese. “Kabila non ha alcuna intenzione di dimettersi – ha confermato ad Avvenire, sotto anonimato, un diplomatico occidentale –, continuerà quindi a fomentare disordini nel Paese per ritardare il più possibile le elezioni”.