Francesco sulle orme del vescovo scomodo Tonino Bello. Per la prima volta un Papa a Molfetta, e non è un caso (di S. Izzo)

“Costruttore di pace, fratello degli ultimi. Don Tonino Santo”. Questa scritta campeggia davanti alla Cattedrale di Molfetta, la bella città della Murgia barese che domani per la prima volta riceverà la visita di un Papa. Nonostante infatti nel suo lungo Pontificato Giovanni Paolo II si sia recato ben 5 volte in Puglia e Benedetto XVI due volte (la partecipazione al Congresso Eucaristico Nazionale di Bari nel 2005 fu la sua prima visita in Italia), fin qui non era mai arrivato nessun Pontefice. Ed è probabile che su questi mancati viaggi abbiano giocato le posizioni scomode di monsignor Tonino Bello, il grande piccolissimo vescovo di questa diocesi, del quale è in corso (lentissimo) il processo di beatificazione. Don Tonino, invece, è uno che dovrebbe essere beatificato al più presto anche senza miracolo. Il suo ideale era descritto dal versetto del Salmo 32 scelto come motto episcopale: “Ascoltino gli umili e si rallegrino”. E davvero don Tonino Bello è stato sempre dalla parte dei poveri, dei senza-casa, degli immigrati, degli ultimi. Campione del dialogo e costruttore infaticabile di pace, nel 1985 (all’epoca del cardinale Anastasio Ballestrero, cioè prima della “svolta di Loreto”) è stato indicato dalla Cei come presidente nazionale di Pax Christi.

In tale veste ha girato il mondo, proclamando la Parola di Dio e compiendo gesti di riconciliazione, come l’ingresso in Sarajevo ancora in guerra, dove ha profetizzato la nascita di un’Onu dei popoli capace di affiancare quella degli Stati nel promuovere esiti di pace. Nel 1992 gli era stata conferita la cittadinanza onoraria delle città di Molfetta e di Reggio Emilia, e nel 1993 quella di Tricase. Numerosissime le sue opere raccolte in volume ma più ancora ne ha compiute, testimoniando la carità di Cristo. E’ morto a Molfetta, il 20 aprile 1993, “in odore di santità”.

“Coraggio! Vogliate bene a Gesù Cristo, amatelo con tutto il cuore, prendete il Vangelo tra le mani, cercate di tradurre in pratica quello che Gesù vi dice con semplicità di spirito. Poi, amate i poveri. Amate i poveri perchè è da loro che viene la salvezza, ma amate anche la povertà. Non arricchitevi”.
Sono state le sue ultime, parole dette nella cattedrale di Molfetta il giovedì santo del 1993, come estremo saluto. Morirà 12 giorni più tardi. Nel testamento, che dettò due giorni prima di morire, cioè la domenica in albis, ci sono queste altre frasi: “Ho voluto bene a tutti e sempre”. “E’ il giorno del Signore. Ed è bellissimo”. “Dio che diventa uomo vi faccia sentire dei vermi ogni volta che la vostra carriera diventa idolo della vostra vita; il sorpasso, il progetto dei vostri giorni; la schiena del prossimo, strumento delle vostre scalate”.

Una delle sue espressioni più note è la “Chiesa del grembiule”. L’immagine nasce dall’icona evangelica di Gesù che si fa servo; “vivere la Chiesa del grembiule significa vivere la Chiesa del servizio”, spiegava il vescovo di Molfetta e nelle parole di Papa Francesco sulla chiesa in uscita ci sono molte assonanze con la “Chiesa col grembiule” di don Tonino. C’è un’assonanza molto forte tra i due che viene da lontano, dal Concilio. Verso la fine del Vaticano II, un gruppo di vescovi (principalmente latinoamericani ma c’era anche Lercaro) si radunò per siglare il patto delle catacombe che invocava “una Chiesa dei poveri, una Chiesa povera in cui i vescovi erano con il popolo e oggi Bergoglio vive questo stile. Don Tonino aveva assimilato questa idea del Concilio: un episcopio aperto, uno stile sobrio, uno stare con la gente.

Ai funerali nel 1993 hanno partecipato decine di migliaia di persone accorse dall’Italia e dall’estero. Il cimitero di Alessano, dove oggi riposano le sue spoglie e domani si recherà Francesco, è costante meta di pellegrinaggio. Non si contano le persone, i gruppi, le comunità che si ispirano al suo messaggio; così come le scuole, le strade, le piazze, le realtà aggregative che si intitolano al suo nome. Tutto questo si chiama “fama di santità” .

E domani Papa Bergoglio impugnerà il pastorale in legno di ulivo che fu di don Tonino Bello nella messa che celebrerà in occasione del 25/mo anniversario della morte del vescovo pugliese, come ha fatto sapere il vescovo di Molfetta, monsignor Domenico Cornacchia. “E’ il pastorale che don Tonino ha usato, su cui è scolpito un ramoscello d’ulivo, e su cui c’è lo stemma di don Tonino: una croce alata”. “E il messaggio che noi vogliamo cogliere da questa circostanza del 25/o anniversario della morte del servo di Dio – ha spiegato il vescovo – è proprio questo: la croce non è mai pesante se noi mettiamo delle ali si suoi piedi, le ali della speranza, della fiducia e della gioia”.

Qui a Molfetta il ricordo di don Tonino è vivissimo in tutta la popolazione, tramandato anche ai giovani che per ragioni anagrafiche non l’hanno conosciuto. Chiunque l’abbia incontrato, del resto, sa benissimo che uomo era: un vero santo. Per la sua umiltà, mitezza, generosità. Per la sua pietà mariana (bisogna andarsi a rileggere le pagine che ha scritto su “Maria, la donna del Sabato Santo”, se si vuol capire quanto sia rivoluzionario guardare alla Vergine come ispiratrice dell’amore per i poveri e gli ultimi). Alcuni giornalisti vaticanisti ricordano un episodio singolare che lo ebbe protagonista quando, da presidente di Pax Christi, avrebbe dovuto tenere una conferenza stampa promossa dalla Cei, ma il cardinale Ruini decise che non era opportuna e l’appuntamento in via della Conciliazione, nella saletta dell’Ave, fu annullato. Senza nemmeno avvertire il presule che, per arrivare al mattino in Vaticano, aveva viaggiato tutta la notte. Per un’intuizione fortunata (o provvidenziale) qualche collega più giovane andò lo stesso all’appuntamento, pensando che forse don Tonino sarebbe comunque arrivato. E fu premiato perché in effetti il vescovo arrivò dopo una notte di treno, senza letto, in seconda classe. E invece di lamentarsi della decisione cardinalizia con un sorriso mite disse: “bene, ho potuto pregare tutta la notte, e ora ho la possibilità di andare a messa a San Pietro”.

Salvatore Izzo per Agi