Galantino dopo la nomina all’Apsa: “Bisogna avere chiare le finalità dei beni. E va interiorizzato il Concilio”

“Il compito di un credente, di un prete, di un vescovo è trattare i beni materiali come cose che servono e non dalle quali farsi asservire. Quindi, all’interno delle competenze specifiche dell’Apsa, bisogna aver chiare le finalità che devono essere servite attraverso questi beni”. Sono le parole pronunciate da Mons. Nunzio Galantino riguardo al suo nuovo incarico come presidente dell’Apsa, l’amministrazione del patrimonio apostolico della Santa Sede, al quotidiano Avvenire.

L’ormai ex segretario della Conferenza Episcopale Italiana ha raccontato le sue impressioni alla conoscenza della nomina operata dal Papa che lo porterà alla guida di una struttura di fondamentale rilevanza nella vita della Chiesa cattolica, come lo è di fatto la tesoreria vaticana.

“Di per sé il denaro non è cattivo. Lo diventa quando viene utilizzato male, senza trasparenza o per scopi che portano all’asservimento e all’esclusione di singole persone o di intere categorie. A volte anche dei popoli, come purtroppo la cronaca dimostra”, ha affermato Galantino nell’intervista.

Il prelato infatti nel suo nuovo ruolo dovrà occuparsi quindi di economia, e di una struttura che gestisce tutto il denaro destinato alle azioni della Santa Sede, nonostante nella sua vita di religioso si sia sempre in realtà interessato di compiti prevalentemente pastorali. Riguardo a questo, il prelato ha spiegato che “molto dipende dallo spirito con cui si fanno le cose”.

“Ringrazio il Padreterno e inizio con fiducia una nuova avventura. Mi fa piacere tra l’altro che tra i tanti attestati di affetto ricevuti oggi, nessuno mi abbia parlato di promozione. È evidente che stia crescendo un diverso sentire di Chiesa. E non è poco”, ha affermato ancora Galantino, che si è detto “sorpresa da una parte, ma grande fiducia nella Provvidenza e gratitudine nei confronti del Papa dall’altra”.

A proposito invece degli anni trascorsi alla Cei, ha confidato al giornalista che “momenti belli ce ne sono stati veramente tanti, soprattutto quelli legati all’incontro con tutti i vescovi, al sentire la loro vicinanza e condividere con loro la fatica di metterci in cammino sulle strade che ci indica papa Francesco”.

“Credo che la Cei abbia continuato un cammino già iniziato. Evidentemente ognuno di noi porta la sua capacità, la sua passione, il suo linguaggio e il suo modo di relazionarsi con le persone”, ha proseguito. “Ho fatto un’esperienza di famiglia, accresciuta anche dal dono straordinario di aver condiviso l’abitazione con i direttori e gli aiutanti di studio della Cei”.

A chi in questi anni sosteneva invece che la Chiesa italiana non fosse abbastanza in sintonia con le parole e le richieste di Papa Francesco, il prelato si è infine tolto i suoi sassolini dalle scarpe, affermando che “chi fa queste affermazioni, applica alla Chiesa schemi che non esistono più neanche in politica. Papa Francesco in continuità con Benedetto XVI e Giovanni Paolo II ha chiesto alla Chiesa in Italia ancora più coraggio, per adottare comportamenti che fossero trasparenza di Vangelo”.

“È evidente che non tutto è stato subito recepito, ma non per cattiva volontà”, ha concluso l’ex vescovo di Cassano all’Ionio. “La verità è che deve essere ancora interiorizzato interamente il lascito del Concilio Vaticano II, cioè una Chiesa che non è fatta per sé ma per gli altri e che se invece è autoreferenziale, non è la Chiesa di Gesù Cristo. Insomma, avevamo bisogno di una buona scossa da parte dello Spirito Santo. E questa scossa ce l’hanno data gli ultimi Papi. E papa Francesco in maniera abbastanza decisa”.

 

Francesco Gnagni