Giornata delle vittime delle migrazioni. Orecchie chiuse davanti al grido dei migranti

“Se uno lascia la propria tana per mettersi in viaggio e venire qui dove tutto intorno c’è fuoco, vuol dire che ha valutato che quello che c’è nella tana è peggiore di quello che troverà”. Franck Tayodjo cita un vecchio adagio del Camerun per ricordare che “tutti quelli che lasciano il proprio Paese non lo fanno con piacere”. Franck ha 41 anni e da 15 è in Italia: è arrivato nascosto nella stiva di un aereo. Un viaggio della speranza lungo e difficile, che gli ha danneggiato permanentemente un timpano. Oggi Franck ha il permesso di soggiorno, è stato raggiunto dalla moglie e dalla figlia adottiva, studia e lavora “a chiamata”. È stato accolto nel centro per rifugiati “San Saba”, gestito dal Centro Astalli, e oggi è stato lui a prestare la voce a Zaher Rezai, un bambino afghano trovato a Mestre l’11 dicembre 2008 schiacciato dal tir sotto il quale si era nascosto. Durante la cerimonia di inaugurazione di uno dei “Giardini della memoria e dell’accoglienza”, voluti dal Centro Astalli nelle città in cui opera come invito a non dimenticare le vittime dell’immigrazione e ad accogliere, Franck ha letto la poesia scritta sul taccuino del bimbo afghano. “Lui non ce l’ha fatta, come tanti. Quando senti storie come queste, ti chiedi perché tu sì e loro no e ti senti in colpa”, confida Franck. Che aggiunge: “Ma alla gente quante orecchie servono perché possa sentire il grido delle persone che piangono?”.

La manifestazione all’Aventino è stata organizzata in occasione dell’odierna Giornata delle vittime delle migrazioni che ricorda quanto accaduto il 3 ottobre di quattro anni fa, un giovedì, quando un’imbarcazione carica di migranti in maggioranza eritrei, affonda a mezzo miglio dalle coste di Lampedusa. Si tratta del naufragio più grave accertato in termini di perdite di vite umane: 368 morti accertati, altri venti presunti, 155 superstiti, di cui 41 bambini.

Il 16 marzo 2016 il Senato ha approvato in via definitiva la legge che istituisce la Giornata Nazionale in memoria delle vittime dell’immigrazione da celebrarsi il 3 ottobre.

La giornata, su proposta dal Comitato 3 ottobre, è stata voluta per conservare e rinnovare la memoria di quanti hanno perso la vita nel tentativo di emigrare verso il nostro Paese per sfuggire alle guerre, alle persecuzioni e alla miseria.

La giornata della memoria avrebbe dovuto essere uno spazio riservato al ricordo e alla commemorazione, di uomini, donne, bambini di cui non sappiamo il nome, di cui non conosciamo il passato, ma di cui sappiamo che hanno trovato la morte in quel viaggio che doveva consegnarli ad un futuro migliore.

Quest’anno, però, senza alcuna presa di posizione ufficiale, il Miur, il ministero della pubblica istruzione, si è smarcato e non ha offerto il proprio sostegno all’iniziativa del Comitato 3 ottobre come invece era successo nei due anni precedenti, da quando il Parlamento italiano ha istituito per legge questa giornata della memoria e dell’accoglienza.

A giugno scorso, così come era stato nei due anni precedenti, il Miur ha pubblicato il bando per la selezione dei partecipanti al progetto “Porte d’Europa” e alle iniziative concomitanti con la celebrazione del 3 ottobre. I ragazzi delle scuole di secondo grado sono stati chiamati a gemellarsi con un liceo europeo e a preparare elaborati e progetti destinati ad essere esposti in questi giorni nella sezione giovani del Museo della fiducia e del dialogo di Lampedusa.

Ciò nonostante questa giornata è, però, anche un momento importante di conoscenza per affrontare e discutere del fenomeno migratorio nei Comuni, nelle comunità locali, in modo capillare su tutto il territorio nazionale e soprattutto nelle scuole per diffondere la cultura dell’accoglienza.

“Mentre in Italia e in Europa soffiano venti di intolleranza, vogliamo sensibilizzare le persone ad un’assunzione di responsabilità: perché si accolga chi arriva e perché chi arriva viva a pieno la propria cittadinanza”, ha spiegato all’inaugurazione del Giardino della memoria e dell’accoglienza il presidente del Centro Astalli, padre Camillo Ripamonti evidenziando il valore dell’iniziativa che accomuna le sette città in cui il Centro Astalli opera. “Abbiamo pensato di dedicare una parte di un giardino pubblico e non fare un giardino nuovo perché la memoria è parte delle memorie di questa città”, ha spiegato il religioso. E, ha aggiunto, “abbiamo scelto un giardino nel cuore della città perché riteniamo importante che tutti i cittadini, compresi quelli di nuovo arrivo, possano assumersi la responsabilità di questa accoglienza e di questa memoria”.

“Un albero in un giardino è qualcosa di cui prendersi cura. Un albero, in un giardino che esiste e fa parte della storia città, è qualcosa in più che aumenta la diversità e rappresenta dunque – ha sottolineato – un invito all’accoglienza delle diversità ma anche ad un prendersi cura reciproco di chi arriva e di chi accoglie”.

“Il Vangelo non possiamo metterlo in secondo piano, l’esigenza dell’accoglienza non è rimandabile, non è procrastinabile”, ha affermato mons. Gianrico Ruzza, vescovo ausiliare del settore Centro di Roma e segretario generale del Vicariato, non usa mezzi termini per ricordare che “il Vangelo non possiamo viverlo a compartimenti stagni e nel Vangelo è chiaro l’invito di Gesù: ‘ero straniero e mi avete ospitato, ero forestiero e mi avete accolto’”. “Se vogliamo continuare ad annunciare il Vangelo, inculturandolo nel tempo in cui siamo, con tutta la complessità e le tensioni che ci sono – ha sottolineato – dobbiamo essere coraggiosi nel testimoniare il valore dell’accoglienza, dell’altro, dell’incontro e del dialogo”. Trovando, ovviamente, “le modalità per far sì che tutto questo sia compatibile con la serenità e la quotidianità delle persone che vivono nelle nostre città”, ha chiarito mons. Ruzza, a margine dell’inaugurazione del “Giardino della memoria e dell’accoglienza”, voluto dal Centro Astalli a piazza Bernini, nello storico quartiere romano di San Saba.

È importante, ha detto il vescovo, “invitare le persone della città, in un luogo significativo e molto bello, a fare memoria di quello che è stato: abbiamo il dovere morale e civile di non dimenticare gli eventi drammatici del passato”. “Come facciamo memoria della tragedia della Seconda guerra mondiale, delle altre guerre che ci sono state e di quella che papa Francesco chiama la terza guerra mondiale tuttora in atto, così dobbiamo fare memoria del grande fenomeno delle migrazioni”, ha spiegato mons. Ruzza evidenziando che si tratta di “un fenomeno che non dobbiamo vedere come preoccupante, ma come risorsa e opportunità”. “Fare memoria – ha concluso – vuol dire essere responsabili perché la città dovrebbe tornare ad essere sempre più un luogo di vita, accoglienza, speranza ed integrazione”.