I nuovi cardinali di Francesco (di M. Castellano)

Il Papa amplia il Collegio dei Cardinali, superando anche il limite stabilito da Paolo VI per il numero degli Elettori, che da centoventi passano a centoventisei.
Naturalmente, il raggiungimento dell’età di ottanta anni causa delle temporanee diminuzioni, cui fa seguito però un “turn over” determinato dalle nuove nomine.
Come sempre, i “vaticanisti” si sbizzarriscono nell’indagare i precedenti e i più vari aspetti della personalità dei nuovi Porporati, cercando di capire quale maggioranza si possa determinare in un futuro Conclave: che tutti dicono di non auspicare, ma ciò malgrado mettono al centro delle loro speculazioni.

L’altra “scienza” nella quale questi “studiosi” si cimentano è la medicina: applicata al Pontefice in carica per capire quanto gli rimane da vivere.
Imperversano dunque le interpretazioni delle plateali cadute che rendono simile il Papa Bergoglio ai calciatori: una dottoressa omeopatica di nostra conoscenza, che lo ha potuto osservare da vicino, gli ha precettato delle prugne salate, molto sgradevoli al palato, puntualmente recapitate in Vaticano.

L’assistenza dello Spirito Santo al consesso riunito nella Cappella Sistina costituisce materia di fede, ma una assemblea di uomini di profonda cultura, di grandissima esperienza, alieni dall’appagamento di ambizioni personali e perfettamente informati di ciò che avviene nel mondo e delle sue linee di tendenza economiche, politiche e culturali dominanti è certamente in grado di trovare il punto di incontro tra gli interessi della Chiesa e quelli di tutti gli altri soggetti con cui essa deve misurarsi: “in primis” gli Stati, ma anche le altre Chiese le altre religioni, nonchè tutte le istituzioni in cui risieda l’esercizio del potere.

Giovanni Paolo II si lanciò contro il sistema comunista con un ardimento che parve temerario, e comunque poco “politico”: l’abbandono della prudenza che aveva improntato l’approccio a quel mondo nel periodo precedente poteva far temere un inasprimento delle persecuzioni antireligiose, e in definitiva un rafforzamento dei regimi dell’Est.
La scelta compiuta dai Cardinali si rivelò invece azzeccata, per due ordini di motivi.
L’Arcivescovo di Cracovia era perfettamente in grado, in primo luogo, di valutare l’effettivo rapporto di forze: non era d’altronde necessario essere un esperto di politica internazionale, ed anzi bastava il più occasionale contatto con i sudditi del “Socialismo Realizzato” per capire che nessuno credeva nell’ideologia ufficiale, né nelle prospettive dell’economia, né nelle capacità dei dirigenti.

Che un regime possa mantenersi a lungo al potere in queste condizioni, è completamente da escludere.
C’era naturalmente il puntello costituito dalla forza militare dell’Unione Sovietica, come dimostravano i precedenti di Budapest e di Praga, ma quei fatti risalivano all’epoca in cui il Comunismo conservava ancora un residuo di quanto Berlinguer aveva definito la sua “spinta propulsiva”, benché fondamentalmente tale tendenza non avesse mai riguardato l’Europa Occidentale.
Neanche i Russi, di conseguenza, credevano ormai più nel sistema, benché si fossero incaricati di esserne i cani da guardia.

L’alternativa era dunque tra l’implosione e l’esplosione: qui l’abilità diplomatica ella Santa Sede diede senza dubbio un grande contributo affinchè la crisi del Comunismo non sfociasse in una apocalisse, determinata da una reazione inconsulta ai suoi esiti finali.
L’altro elemento di cui i Cardinali seppero tener conto nel secondo Conclave del 1978 fu la più generale crisi delle ideologie totalitarie, che per loro natura avevano teso a determinare una “reductio ad unum” del mondo, a livellare cioè le differenze tra le diverse identità: le quali invece davano già segno di riemergere, determinando una spinta verso la frammentazione non soltanto degli Imperi, ma anche degli Stati.
Questa tendenza, in realtà, non era mai venuta meno, ma piuttosto aveva convissuto con le diverse ideologie, a volte subendone la sopraffazione – come era accaduto precisamente nel caso dei Paesi finiti nell’orbita sovietica – e a volte invece servendosi delle ideologie come strumento per raggiungere i propri scopi.

Gli interventisti italiani del 1915 erano dei Liberali nemici dell’assolutismo e della teocrazia incarnati dagli “Imperi Centrali”, o erano viceversa dei nazionalisti?
Tra le loro fila erano rappresentati gli uni e gli altri, ma nella maggioranza dei casi le due diverse ispirazioni convivevano nelle stesse persone, sommandosi nel motivarne le rivendicazioni.
I Cinesi, i Coreani, i Vietnamiti, gli Algerini, i promotori delle varie guerriglie dell’America Latina, erano dei marxisti o dei nazionalisti?
In realtà, essi erano entrambe le cose.
Risulta comunque certo che costoro, una volta giunti al potere, si dimostrarono più coerenti con la loro radice nazionalistica piuttosto che con l’ispirazione marxista.
I Cinesi continuano a proclamarsi comunisti, e nella Scuola del Partito – che non a caso ospita nel cortile la tomba di Matteo Ricci, primo occidentalizzatore del loro Paese – si insegna ancora la teoria marxista – leninista.
Per quale motivo essi praticano il capitalismo?
Perché questo corrisponde all’interesse nazionale.

L’elezione di Giovanni Paoli II fu dunque causa o conseguenza delle tendenze in atto nel mondo?
Essenzialmente, fu conseguenza, ma l’essersi schierata per tempo dalla parte dei vincitori recò alla Chiesa un vantaggio enorme, in termini tanto di prestigio quanto di influenza.
Che questo avvenisse anche per le altre religioni, soprattutto gli Ortodossi e i Musulmani, era da mettere nel conto.
La solidarietà che si stabilì in quel frangente non è tuttavia venuta meno, ed anzi ha beneficiato la causa dell’ecumenismo.

Il Conclave del 2013 era davanti ad una evidenza ancor maggiore di quella del 1978: se la crisi del Comunismo risultava evidente, ma bisognava passare i confini per osservarla, quella dell’Occidente la si poteva constatare intorno a noi, ed anzi dentro noi stessi, più con l’introspezione che con l’osservazione.
Le nostre Città erano già piene di “extracomunitari”, lo “scontro delle Civiltà” aveva già trovato il suo teorizzatore, l’eurocentrismo non era più di moda, ed anzi aveva lasciato il posto ad una esterofilia a volte perfino grottesca: i cortei di giovani dei decenni anteriori inneggiavano ad eroi e modelli esotici, da Che Guevara a Ho Chi Minh a Mao Tse Tung.

Lo scontro tra il Nord e il Sud del mondo aveva già sostituito quello tra l’Ovest e l’Est.
In entrambi i casi, tanto nel 1978 come nel 2013, si poteva prevedere chi avrebbe vinto, ma nel secondo conveniva applicare la regola per cui quando il nemico è troppo forte, mi alleo con lui.
Gli analisti della geo politica affermano unanimemente che la scelta compiuta dalla Chiesa nel 1978 è irreversibile.
Noi, modestamente, osserviamo che non si è trattato di una decisione improvvisa, di una virata brusca: se vogliamo andare indietro nel tempo, il più eurocentrico – ed anzi il più romanocentrico – dei Papi del Novecento, cioè Pio XII, cominciò ad “indigenizzare” gli Episcopati extreuropei prima che le colonie accedessero all’Indipendenza.

Il vero punto di svolta fu toccato però probabilmente con la “Mater et Magistra” di Roncalli, poi ribadita dalla “Populorum progressio”, di Montini, con cui la Chiesa benediceva il movimento di liberazione dei popoli, inserendolo nel disegno teleologico del riscatto dell’umanità.
Eravamo partiti, però, dalla nomina de nuovi Cardinali.
I vaticanisti, intenti ad indagare la loro vita, non si rendono conto che il cambiamento più significativo, nella struttura di governo della Chiesa, non è costituito dal numero e dalla provenienza ei Porporati, ma dalla stessa funzione del Sacro Collegio.
All’origine, esso comprendeva soltanto i Diaconi, detti appunto “Cardinali”, preposti alle Chiese dell’Urbe.

In seguito, si cominciò a conferire il titolo a dei Vescovi preposti ad altre Chiese; ovvero – formalmente – a considerarli parte del Clero romano, subordinandoli dunque doppiamente al Vescovo locale, in quanto incardinati in essa ed in quanto si tratta del Capo della Chiesa Universale.
Ricordiamo, al riguardo, che il Papa è tale in quanto Vescovo di Roma, e non viceversa: il Laterano – e non San Pietro – fu il primo luogo di culto “en plein air” costruito dopo l’uscita dalle Catacombe, ed è tuttora la Cattedrale di Roma.
Con l’attuale Pontefice, però, il rapporto tra centro e periferia si è sostanzialmente invertito: i Cardinali cessano di essere una sorta di inviati della Sede di Pietro nelle Chiese locali, ed anzi ora rappresentano queste Chiese nell’Urbe.

E’ un poco – “mutatis mutandis” – quanto avviene con i Parlamentari, che sono inviati dalle provincie nella Capitale, ma non derivano la propria rappresentatività da una investitura dell’Autorità centrale, bensì dal consenso conferito loro dai concittadini.
E’ in atto un processo che porterà inevitabilmente al ripristino del criterio elettivo per l’investitura dei Vescovi.
Questo criterio è rimasto vigente soltanto a Roma, che lo ha però progressivamente abolito nelle altre Chiese.
Ora la Sede di Pietro tende a ripristinarlo, riconoscendo loro i propri stessi poteri.

Mario Castellano