Il Cardinale Tettamanzi, quando i Leghisti lo chiamavano “Ayatollah”, rispondeva semplicemente che predicava il Vangelo (di M. Castellano)

La cerimonia nunziale, celebrata da un vescovo in Vaticano, vede riunito quanto rimane a Roma (cioè ben poco) della vecchia borghesia cattolica liberale: una borghesia certamente grande, non più per censo, ma per realzioni sociali e per livello intellettuale.
Riconosciamo uno ad uno, tra i convitati, quanti combattono insieme con noi in difesa del Papa e contro i suoi nemici e detrattori.

Non mancano purtroppo i segni, che fanno pensare al regime, della presenza di questa gente: c’è la fotografa che sceglie con cura, in mezzo al pubblico, le persone da ritrarre a fini di schedatura, come se la frequenza del culto costituisse un grave atto di sovversione, e c’è il giornalista tradizionalista che esibisce la sua tracotanza.
Carlo Arturo Jemolo, nel suo fondamentale libro sui rapporti tra Stato e Chiesa in Italia, racconta i funerali – cui egli stesso fu tra i pochi a partecipare – del grande giurista Giovanni Ruffini, ed afferma che in quella circostanza sembrava di assistere alla sepoltura della bandiera legittimista inseme con il Conte di Chambord.

Se quel vessillo non meritava – a nostro modesto avviso – di essere rimpianto, lo merita invece quello del Cattolicesimo liberale.
Quando morì Ruffini, il fascismo sembrava trionfante, ed il sostegno offerto dalla Chiesa al regime aveva ormai trasformato la Comunità dei Credenti – per sua natura profetica ed anticonformista – in un suo strumento di propaganda.
Oggi assistiamo con infinita tristezza al ritorno di quei tempi.
La nostra fiaccola, purtroppo, non si è mantenuta sempre accesa; a volte si è spenta, ed ha continuato a risplendere solo dentro di noi: “In interiore homine habitat veritas”.

Al nostro paese, una bandiera rossa vene nascosta all’avento del fascismo dentro una damigiana d’olio di oliva, da cui fu estratta soltanto nel giorno della Liberazione: questo vessillo veniva portato dai vecchi compagni ai funerali di chi l’aveva salvata.
Quegli uomini, quei testimoni oscuri ma convinti e coerenti di una fede politica, sono ormai tutti morti, per loro fortuna prima di rivedere tempi simili a quelli che avevano dovuto affrontare.
Nelle case degli antifasciti, il ritratto di Matteotti si trovava spesso sul rovescio delle immagini sacre.

Quanto a noi Cattolici liberali, che non abbiamo simboli visibili di riferimento, ma ci manteniamo ugualmente fedeli al nostro ideale, siamo stati e saremo emarginati due volte: dal Potere civile, ma anche da una certa Chiesa ufficiale i cui adepti rifiutano di considerarci loro correligionari.
A ben guardare, abbiamo potuto uscire alla luce del sole solo in rari momenti felici.

Dopo l’Unità, chi aderiva alla causa nazionale veniva considerato un apostata.
Celebrato il Conclave del 1903, quando la Chiesa vene chiamata a scegliere tra il conciliazionimo e la perpetuazione del “non expedit”, conseguenza a sua volta del “non possumus” di Pio IX, ci fu la persecuzione del vero o presunto “Modernismo”: una etichetta molto generica, che segnava chiunque si rendesse sospetto, o venisse tacciato, di qualche tendenza od atteggiamento eterodosso.

Anche Don Angelo Giuseppe Roncalli venne colpito da una delle infinite delazioni recate fino al soglio di Pio X.
Se il ritardo determinato dalla crociata contro il “Modernismo” fu soprattutto di ordine culturale, quello causato dalla discriminazione dei Cattolici antifascisti produsse le sue conseguenze nell’ambito politico.
Il rapporto tra le due situazioni risulta tuttavia ben più diretto di quanto possa apparire a prima vista.
Il carattere elitario e magnatizio proprio dello Stato liberale era conseguenza della mancata partecipazione del popolo al movimento risorgimentale.

Questo processo non aveva coinvolto le cosiddette “plebi”: in particolare, quelle rurali del Meridione
si erano addirittura opposte attivamente alla conquista piemontese.
Si può paradossalmente affermare che l’unica guerra di popolo combattuta nell’Ottocento in Italia sia stata il cosiddetto “brigantaggio”, cioè l’insurrezione dei seguaci dei Borboni.
C’era stata, indubbiamente, l’adesione del ceto intellettuale alla causa dell’Unità, ma ciò che sempre venne osteggiato dai Savoia, ed insieme con la Casa Reale da quanti erano stati beneficati dall’annessione al loro Regno fu lo sviluppo della democrazia nel nuovo Stato.

Il Socialismo, il mazzinianesimo, la Sinistra radicale guidata da Felice Cavallotti, il “Bardo della Democrazia”, furono tutte quante delle sopravvivenze o delle metamorfosi delle correnti risorgimentali di Sinistra.
Il Partito Socialista Italiano venne fondato nel 1892 a Genova nel Salone dei “Carabinieri Genovesi”: i quali non avevano nulla a che fare con l’Arma Benemerita, trattandosi invece dell’unità militare di “élite” dei Mille, composta – come dice il nome – da volontari provenienti da questa Città.
I Repubblicani “Storici” erano guidati da Aurelio Saffi, protagonista con Mazzini e Armellini della Repubblica Romana, e lo stesso Cavallotti aveva seguito Garibaldi in Sicilia.

Tutte queste correnti erano accomunate dal fatto di considerare incompiuto il Risorgimento.
Per trovare un pensatore di Sinistra dotato dell’acume e dell’anticonformismo necessari ad affermare che il movimento unitario era stato in realtà imposto al popolo, e non da esso voluto e partecipato, fu necessario attendere l’elaborazione compiuta da Gramsci.
Il pensatore di Ghilarza uscì non a caso dal Partito Socialista non solo e non tanto proponendosi l’obiettivo di “fare come in Russia” – nessuno meglio di lui percepiva quanto diversa fosse la condizione dell’Italia – bensì mosso dalla coscienza che il processo di trasformazione democratica del nostro Paese non poteva essere ristretto nell’ambito dello Statuto Albertino: la cui continua esaltazione ed invocazione, anche in opposizione al sorgere del fascismo, costituì sempre la bandiera dell’intero movimento democratico e di Sinistra, tanto nelle sue componenti radicali e borghesi quanto di quelle socialiste e riformiste.

Se Mussolini fu in grado di instaurare un regime totalitario senza abrogare o emendare una sola virgola della Carta ottriata da Carlo Alberto nel 1848, ciò significa che essa non era – nè poteva in alcun modo diventare – un argne contro la reazione, e tanto meno uno strumento atto ad implementare la democrazia in Italia.
Oggi la storia si ripete, e purtroppo entrambe le volte come tragedia: dopo che per decenni si è manifestato nelle piazze in difesa della Costituzione Repubblicana, la reazione dilaga e accinge a fondare un nuovo regime autoritario, anche questa volta senza abrogare nè emendare la Costituzione formale.

Il Diritto non può supplire alla mancanza di un autentico consenso, nè al venir meno di un movimento di popolo.
Che cosa c’entra tutto questo, si domanderanno i nostri lettori, con il “Modernismo” e con la sua persecuzione da parte di Pio X?
C’entra eccome, in quanto il prevalere delle correnti “conciliazioniste” nel Cattolicesimo italiano – non si dimentichi che le preoccupazioni di Giuseppe Sarto erano in realtà di ordine politico, ben più che dottrinale – avrebbe portato le masse cattoliche ad entrare nello Stato non già per affermare delle nostalgie papaline, bensì per farlo evolvere in senso democratico.
In questa direzione spingevano le leghe contadine e le cooperative “bianche”, ma soprattutto l’elaborazione ideologica di Don Luigi Sturzo, che preparava la fine del “non expedit” appuntandosi contro il centralismo dello Stato sabaudo ed individuando nelle Autonomie locali lo strumento che avrebbe reso possibille la partecipazione popolare alla vita politica.

La crociata contro il “Modernismo” tendeva in realtà a reprimere il conciliazionismo.
Non si dimentichi che nel Conclave del 1903, in realtà, era stato eletto Papa il Cardinale Rampolla del Tindaro, capofila di questa tendenza.
Il veto opposto dall’Impero Austriaco al suo accesso al Soglio di Pietro si era basato sul pretesto di una fantomatica sollevazione delle popolazioni cattoliche slave sottomesse agli Asburgo, ma in realtà era motivato dal duplice timore di un rafforzamento dell’Italia e di una sua evoluzione in senso democratico.
Se la Conciliazione avvenne con Mussolini, lo si dovette ad altri due ordini di motivi: da una parte lo Stato liberale non avrebbe mai accettato una trasformazione in Stato confessionale, quale il Duce concesse invece spregiudicatamente, ma soprattutto – dall’altra parte – la Chiesa gerarchica vedeva nell’uomo non a caso definito “della Provvidenza” chi si sarebbe fatto carico di perseguitare, agendo quale suo “braccio secolare”, il settore democratico del laicato cattolico.

A stroncare la carriera dei preti antifascisti avrebbe provveduto direttamente la Santa Sede.
Anche questa volta, come già sotto Pio X, avvalendosi di un capillare meccanismo di raccolta delle delazioni.
Il nostro Parroco non divenne mai Vescovo perchè aveva criticato il regime nelle sue prediche.
Abbiamo conosciuto di persona chi lo aveva deferito alla Curia.
Questo stesso individuo si riciclò dopo la Liberazione segnalando i preti sospetti di “comunismo”, termine che comprendeva ogni orientamento progressista ed eterodosso, detto poi “conciliare” od “ecumenico”.
Siamo dunque arrivati a considerare la quarta “caccia alle streghe”: dopo quelle contro i Cattolici liberali, i Cattolici “modernisti” ed i Cattolici antifascisti, venne quella contro i Cattolici di Sinistra.
Adesso si tenta di intraprendere la quinta (tante sono d’altronde le generazioni succedutesi dopo l’Unità d’Italia) che si propone di colpire i Cattolici detti “musulmani”perchè tolleranti con gli immigrati.

Questa volta si cade addirittura nella contraddizione in termini, ma non è certo la logica la miglior dote dei tradizionalisti.
Harnwell, scelto da Bannon quale suo preposito a Trisulti, dice che bisogna prepararsi ad una crociata contro l’Islam.
A parte qualche episodio di caccia all’immigrato, in cui si distinguono le “Guardie Padane”, insieme con “Casa Pound”, con “Forza Nuova” e simili congreghe di violenti, non vediamo dove possano essere indirizzati i furori dei seguaci del nuovo Gualtieri Senza Denari: il quale, al contrario di colui che intende emulare, di denari ne ha invece moltissimi.
Bergoglio, da parte sua, rifiuta di vestire i panni di Urbano II, ma gli Stati Unitidi Trump sono pronti ad assumere il ruolo che fu a suo tempo dei Veneziani e dei Genovesi, consistente nel mettere a disposizione dei Crociati la (Sesta) flotta.

Questa scelta strategica di Washington permette di qualificare in termini ideologici “religiosi” il “sovranismo” di Salvini, e certamente rafforza suo potere, coferendogli una connotazione totalitaria.
Ciò comporta l’emarginazione e la persecuzione dei diversamente credenti, intesi tanto in senso politico quanto in senso religioso.
E’ vero che questa tendenza non otterrà mai l’avallo del Papa, da cui potremo anzi attenderci la protezione necessaria per una resilienza: sulle possibilità di organizzare una resistenza nutriamo invece seri dubbi.
Tuttavia, dalla parte opposta, non si registra soltanto lo scisma di fatto che abbiamo già tante volte denunziato, ma anche l’aggressività di chi occupa ogni più piccolo spazio di potere.

Sandro Magister scrive su di un giornale “di Sinistra”, ma la tendenza ad infiltrare gli organi di informazione si manifesta ogni giorno di più.
Ecco perchè ci preoccupa la tracotanza ostentata dal collega tradizionalista.
Già si profila un conflitto tra l’Italia “bipopulista” ed il Vaticano, con la conseguente tendenza ad indicarci quali agenti di una potenza straniera, in altri termini come traditori.
Il Cardinale Tettamanzi, quando i Leghisti lo chiamavano “Ayatollah”, rispondeva semplicemente che predicava il Vangelo.
Al Vangelo restiamo fedeli anche noi.