Il discorso di Bagnasco alla città non riguarda solo Genova (di Mario Castellano)

Il Cardinale Bagnasco non è solito preparare con anticipo le sue omelie per poi leggerle durante la Messa, ma in occasione della Festa patronale della Città e dell’Arcidiocesi di Genova, la Natività di San Giovanni Battista, si è attenuto con evidente attenzione ad un testo predisposto per l’occasione.
La solennità del Patrono – che è anche nostro – costituisce l’occasione per ciascun Vescovo (a Milano lo asi fa per Sant’Ambrogio) in cui si riferisce alle vicende civili della sua comunità, lette naturalmente alla luce del Vangelo.
Bagnasco è uomo abituato a soppesare i termini che usa: lo fa perfino nelle conversazioni private, quando l’amicizia con gli interlocutori autorizzerebbe qualche licenza.
A maggior ragione, l’Arcivescovo si attiene a questa regola nelle prediche, e questo spiega probabilmente il ricorso ad un testo scritto.
Il Cardinale ha iniziato il suo discorso riferendosi ad una Grazie che egli dice “da soppesare”, e che permette di considerare l’alba del nuovo giorno come un modo nuovo di stare nel mondo vecchio.
Si tratta della più rivoluzionaria di tutte le Grazie, quella della Profezia.
Il fatto che una asserzione venga considerata acquisita – dice Bagnasco – non costituisce una prova della sua veridicità, né una garanzia della sua durata nel tempo.
Quando il Battista rimprovera Erode per il suo adulterio, il fatto di dire la verità gli costa la vita, ma tra il Re e San Giovanni chi è il modello, chi dei due risulta attuale?
Che cosa fornisce la prova di quanto è vecchio e di quanto è moderno?
Il consenso dell’opinione pubblica, oppure la rispondenza con la coscienza, anche quella di un solo uomo, di chi non a caso è definito “vox clamantis in deserto”?
E’ meglio morire nella verità o vivere nella menzogna, parlare fuori dal coro od unirsi con il pensiero dominante?
Quei la storia del Precursore si rivela nelle parole di Bagnasco come la metafora evidente della situazione di oggi.

E’ stato davvero un peccato che il Sindaco Bucci non fosse presente in San Lorenzo.
Le parole del suo Vescovo risuonavano sotto le navate della tempio, di cui in ottobre verranno ricordati i nove secoli dalla Consacrazione, come quelle di un altro presule in “Assassinio nella Cattedrale”, quale denunzia plateale dell’ingiustizia, che rimane tale anche quando è sostenuta dalla maggioranza del “consenso dominante”: dominante non soltanto in forza del numero di quanti lo esprimono.
Se consideriamo che oggi sempre più gente si allinea dietro i vessilli dell’intolleranza, vediamo chiaramente come valga quale esempio cui ispirarsi non soltanto l’atteggiamento di San Giovanni davanti ad Erode, ma soprattutto l’insegnamento di Gesù, che il Battista anticipa con il suo ammonimento: siete nel mondo, ma non siete del mondo, e se è vero che dobbiamo servire il mondo, non dobbiamo farlo appartenendogli, bensì offrendo il Vangelo senza sconti.
Quando Gesù va a Gerusalemme per essrvi ucciso, egli affronta quello che Bagnasco definisce “il mistero della libertà” umana: la volontà del popolo dice “Crucifige!”, ma Cristo si incammina – cosciente – verso questo mistero.
Giovanni ha cambiato la libertà, negando quella del potere, che si identifica con il peccato, per affermare quella che libera e salva.
Il nostro – dice il Cardinale – è tempo di “regime culturale” proprio in quanto tende ad affermare coercitivamente una libertà peccaminosa, risultato di una verità presunta, che però non è tale. Per compiere la scelta giusta, occorre domandarsi quale è lo scopo della vita.
Noi ci domandiamo sempre “come”: per esempio, come star bene.
Questo interrogativo può divenire però spasmodico, in quanto per liberarci dal male cadiamo in un male più radicale.
La domanda che dobbiamo porre non è dunque “come”, ma “perché”: perché stiamo al mondo?
Siamo il prodotto di una evoluzione della materia, siamo un incidente della storia?
Gesù ci ricorda che la nostra origine è in Dio, e dunque a Dio ritorniamo.
Dio è il nostro destino, in Dio è la nostra vita.

Senza il “perché”, il “come” perde respiro.
Senza una risposta al “perché”, nulla ha consistenza nella nostra vita.
Se attribuiamo importanza al “come”, cadiamo nell’egoismo; se invece diamo importanza al “perché”, pratichiamo – questa è la conclusione del Cardinale – l’altruismo.
Preoccupandosi del “come”, si finisce per buttar via la vita.
Dal nichilismo non sorge nessuna cultura.
La cultura è invece culto, ed il particolare il culto dell’Eucarestia, cuore della nostra Fede.
L’Eucarestia non è scuola di vita, essa è vita.
Il culto eucaristico genera la vita, genera – per l’appunto – la cultura, che a sua volta però è conoscenza dei doveri, senza i quali non c’è Fede, ma soltanto sentimento.
Nel culto siamo comunità e popolo, ma la coesione della comunità, la coesione del popolo dipende dal compimento dei doveri.
San Giovanni ha indicato questi doveri, e per tale motivo è stato il Precursore di colui che ha indicato come “l’Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”.
La conclusione cui è giunto il Cardinale nella sua omelia è questa: oggi vi è chi vuole negare i nostri doveri verso il prossimo: lo fa nel nome di una verità che non è tale, ma viene creduta con ciò che Bagnasco chiama “il pensiero dominante”, con il “regime culturale”, con una libertà che in quanto prescinde dai doveri morali produce l’ingiustizia, con l’ansia di migliorare egoisticamente le proprie condizioni materiali trascurando i bisogni degli altri, con il rifiuto della comunione, cioè dell’Eucarestia, centro della vita cristiana.
Ogni riferimento al nostro Governo è puramente casuale?

Mario Castellano