Il tradimento che si insinua nella Chiesa. Per trenta denari (in dollari). La denuncia di Francesco nel discorso alla Curia Romana (di M. Castellano)

Quanti, tra i Cristiani, avevano concepito una speranza rivoluzionaria, avevano sentito la necessità di combattere il peccato sociale e di realizzare in questo mondo una maggiore giustizia, si erano sempre ispirati all’idea e all’immagine – come pure alla certezza fideistica – della Parusia, del ritorno di Cristo, di una sua nuova apparizione nella storia per concluderla gloriosamente. Se la prima venuta aveva redento gli uomini dal Peccato Originale, la seconda avrebbe purificato il mondo dall’ingiustizia.
Questa concezione della storia, questa attesa di una teofania, ha ripreso diffusione e vigore con l’elezione a Vescovo di Roma di un uomo proveniente dall’America Latina, dove la lettura in chiave sociale del Vangelo è sempre rimasta attuale.

L’averla ricordata alla Curia Romana in occasione della tradizionale cerimonia degli auguri natalizi costituisce per il Papa un merito ulteriore.
C’era un tempo chi (qualche volta confessiamo di averlo fatto anche noi) si concedeva la piccola vanità consistente nello “épater les bourgeois”.
Se da un lato vi era in questo comportamento una sfumatura peccaminosa, esso rispondeva d’altronde all’imperativo evangelico per cui “oportet ut eveniant scandala”.
Ci voleva un Papa gesuita per scandalizzare la Curia annunziando l’arrivo della Rivoluzione, ma al contempo ammantando tale ammonizione con impeccabili citazioni bibliche, ed inserendola nella più perfetta ortodossia magisteriale.

Dice Bergoglio ad una platea di Cardinali, Vescovi e Monsignori che “la Chiesa “prosegue il suo pellegrinaggio fra le persecuzioni del mondo e le consolazioni di Dio”, annunciando la passione e la morte del Signore fino a che Egli venga”.
Fin qui la citazione è da San Paolo.

Aggiunge il Papa che la Chiesa “dalla virtù del Signore resuscitato trae la forza per vincere con pazienza e amore le afflizioni e le difficoltà che le vengono sia dal di dentro che dal di fuori, e per svelare in mezzo al mondo, con fedeltà, anche se non perfettamente, il mistero di Lui, fino a che alla fine dei tempi esso sarà manifestato nella pienezza della luce”.
Questo secondo brano appartiene ai documenti del Concilio, ed è stato scelto dal Papa con lo scopo evidente di sottolineare che il compimento del disegno di Dio nella storia, la sua teofania, la Parusia di Cristo, non deve essere inteso in termini meramente miracolistici, bensì come risultato dell’agire umano.

E’ infatti proprio dei rivoluzionari il confidare nelle proprie azioni, proiettandole in una dimensione storica.
Il mondo – ricorda il Papa – cambia per opera degli uomini, che i credenti considerano comunque assistiti da Dio: “Ogni anno, dice Bergoglio, il Natale ci ricorda (…) che la salvezza di Dio, donata gratuitamente all’umanità intera, alla Chiesa e in particolare a noi, persone consacrate, non agisce senza la nostra volontà”.
Il rivoluzionario Bergoglio vive la dialettica tra volontarismo e determinismo: se il suo essere credente lo induce al primo di questi due termini, l’esperienza di combattente maturata sul campo lo porta a non sottovalutare l’importanza del secondo.
Le difficoltà determinate dalla situazione in cui si deve agire non devono scoraggiare, ed infatti anche “Gesù, in realtà, nasce in una situazione sociopolitica e religiosa carica di tensione, di agitazioni e di oscurità”: proprio come quella attuale.

Naturalmente, l’uomo ha dei limiti, quelli che i credenti identificano nella nostra fallacia, nell’essere tutti quanti dei peccatori.
Alcuni, nelle difficoltà, abbandonano la causa; altri addirittura la tradiscono, commettono apostasia contro la Chiesa e cercano “di percuotere il suo corpo aumentandone le ferite”; altri ancora giungono addirittura ad esibire la loro soddisfazione “nel vederla scossa”.
Qui il Papa ricorda, dilungandosi nella citazione biblica, la storia del Re Davide, che diserta la guerra abbandonando il suo popolo nel momento della prova, poi commette adulterio con Betsabea, ed infine ordina al capo dell’esercito di esporre il di lei marito a morte certa in battaglia.
Malgrado tanta corruzione, “l’unto (del Signore, n.d.r.) continuava a esercitare la sua missione come se niente fosse”.

A chi allude il Papa citando l’esempio del Re d’Israele?
Immaginiamo la curiosità del pubblico curiale.
Dopo una digressione dedicata alla pedofilia, in cui Bergoglio avverte che “la Chiesa non si risparmierà nel compiere tutto il necessario per consegnare alla giustizia CHIUNQUE abbia commesso tali delitti” e poi deplora quanti “anche all’interno della Chiesa, si infervorano contro certi OPERATORI DELLA COMUNICAZIONE, accusandoli di ignorare la stragrande maggioranza dei casi di abusi, che non sono commessi dai chierici della Chiesa, e di voler intenzionalmente dare una falsa immagine, come se questo male avesse colpito solo la Chiesa Cattolica”, il Papa svela infine a chi alludeva parlando del Re Davide.

Il riferimento era “all’INFEDELTA’ di coloro che tradiscono la loro vocazione, il loro giuramento, la loro missione, la loro consacrazione a Dio e alla Chiesa”.
Trattandosi di soggetti che hanno ricevuto l’unzione (ecco spiegato il riferimento biblico), si tratta verosimilmente di Vescovi.
Per dissipare i residui possibili dubbi, il Papa cita Sant’Agostino d’Ippona: “Credete forse, fratelli miei, che la zizzania non possa salire fino alle cattedre episcopali?”
Ed infatti “anche sulle cattedre episcopali c’è il frumento e c’è la zizzania”; come pure “tra le varie comunità di fedeli c’è il frumento e c’è la zizzania”.

A questo punto, il Vescovo di Roma – evidentemente indignato per il tradimento perpetrato da certi suoi Confratelli – rincara la dose, giungendo a citare il caso iperbolico di Giuda: “In realtà dietro questi seminatori di zizzania si trovano quasi sempre le trenta monete d’argento. Ecco allora che la figura di Davide ci porta a quella di Giuda Iscariota, un altro scelto dal Signore che vende e consegna alla morte il suo Maestro”.

A questo punto, non c’era più Cardinale, Vescovo o Monsignore accolto dalla Sala Clementina che potesse ancora ignorare a chi alludesse il Papa.

Bergoglio si riferiva a quanti, colti dalla stessa “ubris” o – per dirla in francese – dalla stessa “suranchère” che aveva contaminato il Re Davide e Giuda Iscariota, tradiscono il Papa, mettendosi al servizio dei promotori di uno scisma e cadendo nella “CORRUZIONE SPIRITUALE”: un vizio che “è peggiore della caduta di un peccatore, perché si tratta di una cecità comoda e autosufficiente dove alla fine tutto sembra lecito: l’inganno, la calunnia, l’egoismo e tante sottili forme di AUTOREFERENZIALITA’”; tutte quante degenerazioni tipiche, ci permettiamo di aggiungere, dei tradizionalisti.

Ogni riferimento a costoro NON E’ dunque puramente casuale.
Risulta anche trasparente l’allusione del Papa al tentativo di scisma che costoro stanno promuovendo, coinvolgendo i Vescovi infedeli nel tradimento ai danni della Sede di Pietro.
Se Bergoglio è così forte nella sua denunzia, si arguisce che siamo ormai molto vicini al momento in cui l’opera di divisione della Chiesa risalterà alla luce del giorno.

Quale compito hanno i fedeli, nel senso di persone leali alla Chiesa?
Il Papa dice di aver “voluto mettere in risalto il valore della consapevolezza, che si deve trasformare in un dovere di vigilanza e custodia da parte di chi, nelle strutture della vita ecclesiastica e consacrata, esercita il servizio del governo”.
I Rivoluzionari sono soliti richiamare alla vigilanza contro le provocazioni.
Quella che sta arrivando risulta particolarmente grave.

Mario Castellano