La Brexit è uno scisma 2.0. Per questo comunque vada sarà un (in)successo

Quando l’UE ha iniziato i colloqui sulla Brexit, lo ha fatto senza con la consapevolezza che il sistema europeo è in comproprietà con il Regno Unito, ma piuttosto credendo che il Regno Unito stava disertando dall’unico ordine geo-legale legittimo. Ciò si rifletteva nelle sue “richieste” all’inizio della trattativa.

Innanzitutto, il Regno Unito doveva saldare il conto del “divorzio” e dei diritti dei cittadini dell’UE. Quindi doveva fornire garanzie sul confine irlandese, chiarendo che le uniche assicurazioni che l’UE avrebbe accettato comporterebbero un cosiddetto “backstop” che, se necessario, estrometterebbe l’Irlanda del Nord dall’ordine economico e legale del Regno Unito. (Theresa May sta ora cercando freneticamente di emendarlo per fornire un meccanismo di uscita per il Regno Unito). Solo allora l’UE potrà discutere le relazioni future, compresa l’importantissima questione del commercio. Ha trattato il Regno Unito, in effetti, come uno scismatico piuttosto che come un socio alla pari. Sorprendentemente, il governo del Regno Unito ed i suoi negoziatori non solo hanno accettato l’impostazione dell’UE, ma sembrano anche aver interiorizzato il suo modo di pensare.

Ciò non sorprende, in quanto la politica è stata formulata da un primo ministro favorvole al “Remain” e condotta da funzionari pubblici la cui intera formazione professionale e culturale si è svolta all’interno dell’UE. Questo non implica malafede da parte loro, ma solo il fatto che il loro pensiero corre ancora all’interno proprio di quel solco da cui Brexit vuole uscire. È stato come affidare la Riforma inglese ai vescovi inglesi fedeli a Roma. Persino i ministri favorevoli alla Bexit come David Davis si sono adeguati, almeno inizialmente.
Il conseguente “accordo” raggiunto dal Primo Ministro con l’UE nel novembre 2018 lo riflette. È l’opposto della Riforma di Enrico VIII.

Offre una chiara rottura dottrinale
l’UE, ad esempio attraverso la proposta di porre fine alla “libera circolazione”, ma molto probabilmente lascerà il Regno Unito sotto l’autorità di un ordine politico-legale straniero. Durante il periodo di transizione, il Regno Unito rimarrà parte dell’unione doganale, in ultima istanza arbitrata dalla Corte di giustizia europea.
L’Irlanda, in altre parole, è stata ancora una volta la “porta sul retro” per l’Inghilterra, o se si preferisce, per tornare in Europa per i favorevoli al “Remain” e le aziende britanniche.

Nel frattempo, l’intero Regno Unito sarà soggetto alle norme dell’UE in materia di commercio, legislazione ambientale attuale e futura, leggi sul lavoro e sociali e aiuti di Stato, senza avere voce in capitolo. Non sorprende quindi che un ex segretario di stato, Boris Johnson, sostenga che il piano del Primo Ministro di rimanere sotto alcune leggi dell’UE sia in violazione dello “Statuto del Praemunire“, ormai a lungo abrogato.

Non è un segreto del resto che l’Unione europea sia in grave crisi. Oltre alla sfida della Brexit, l’ordine stabilito è minacciato da una serie di scismatici e eretici a sud, a est ed in effetti nel nucleo franco-tedesco. Ciò che è meno compreso è che in molti sensi ci siamo già passati 500 anni fa, quando la Riforma spaccò l’Europa.

Intorno al 1500, la maggior parte del nostro continente era basato su un unico ordine geo-ideologico e geopolitico, o quantomeno un immaginario comune. Il cattolicesimo romano regnava sovrano dalla costa occidentale dell’Irlanda fino ai confini orientali della Polonia e della Lituania, dal Capo settentrionale della Norvegia fino al tacco dello stivale italiano. Una moglie offesa nello Yorkshire poteva fare appello al papa per ottenere giustizia se necessario. Dovevi allontanarti molto , a est o sud-est, per incontrare l’ordine cristiano rivale ortodosso nella allora Moscovia e in gran parte dei Balcani. Questo fu il risultato di uno scisma precedente nella chiesa, che aveva creato una seconda Roma a Costantinopoli, e, dopo la caduta di quella città, una terza Roma a Mosca.

Gli europei si riferivano al loro continente come “Cristianità”.
Questo ordine era già sotto pressione. La Chiesa romana era generalmente percepita come in crisi. L’ignoranza clericale e la corruzione, ad esempio la vendita di “indulgenze”, erano sempre più ritenute intollerabili. Le richieste di riforma erano assai diffuse. In Inghilterra, uno dei grandi regni dell’Europa, la gente comune era insofferente agli abusi clericali, e la monarchia ai vincoli papali sulla sua autorità. Già sin dal Medioevo, lo statuto parlamentare di “praemunire” aveva reso illegittimo rivolgersi ad un tribunale straniero per avere giustizia, almeno per tutto ciò che riguardasse le questioni di stato. Ma, comunque, il senso di abitare un “Commonwealth” politico era profondamente radicato in gran parte del continente.
Questa unità fu frantumata dalla crisi della Riforma, che travolse l’Europa a partire dal secondo decennio del XVI secolo.

Le istanze del frate tedesco Martin Lutero erano in gran parte dottrinali, non ultima la sua insistenza sulla giustificazione per sola fede. La Chiesa corse ai ripari, in una certa misura, con la Controriforma, ma tentò anche di riaffermare la vera fede e l’autorità papale attraverso la forza delle armi. Nel corso dei seguenti 200 anni, il nostro continente fu tormentato da disordini. Queste erano guerre di religione, ma anche lotte di potere politico sia tra Stati che al loro interno.
In nessun luogo questa lotta fu così serrata come nel Sacro Romano Impero (in effetti, la Germania), il cuore dell’Europa. Fu travolto dalle guerre del XVI secolo dei principi protestanti contro l’imperatore Carlo V, fedele a Roma, e poi traumaticamente dalla Guerra dei Trent’anni dal 1618 fino al 1648. Protestanti e cattolici si sfidarono a vicenda; poteri esterni come la Francia, Svezia e Spagna intervennero a proprio piacimento. Città come Magdeburgo furono saccheggiate tra scene di straordinaria brutalità.

L’esperienza si insinuò così profondamente nella coscienza nazionale tedesca che, perfino a metà del XX secolo, poco dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la Guerra dei Trent’anni era ancora considerata il periodo più traumatico della sua storia.
In Inghilterra la Riforma non fu una disputa dottrinale sulla verità teologica che in seguito divenne scontro politico. Fu esattamente al contrario. Nata come una sfida di Enrico VIII contro l’autorità della chiesa – ossia, il suo desiderio di annullare il suo matrimonio con sua moglie Katherine, nonostante il rifiuto del Papa, e sposare un’altra donna per produrre un erede maschio. Questo fatto degenerò in una più ampia affermazione della sovranità inglese, espressa in modo molto evidente nell’atto di ricorso del Parlamento nel 1533, che stabiliva “che questo regno dell’Inghilterra è un impero”.

In altre parole, l’Inghilterra era un sistema legale a sé stante. Non poteva esserci alcun appello a un’autorità superiore. La dottrina del “praemunire”, che in precedenza si applicava solo alle questioni di stato, divenne ora la legge dello stato. Una donna offesa dello Yorkshire non poteva più fare appello a Roma. L’Inghilterra era sempre più separata dall’ordinamento giuridico europeo. Allo stesso tempo, Enrico VIII attaccò senza sosta le istituzioni della Chiesa, in particolare attraverso la dissoluzione dei monasteri.

Al centro della visione di Henry c’era il suo senso della grandezza inglese. Finanziato dalla vendita di beni ecclesiastici, cercò di ristabilire l’impero di Enrico V in Francia e di rivendicare la cristianità con una crociata contro i turchi. Sperava persino di diventare Imperatore del Sacro Romano Impero aspirando alla corona che finalmente fu appannaggio di Carlo V.

L’attuazione della Riforma inglese non fu affatto un processo lineare, né per quanto riguarda la dottrina né l’autorità. Henry oscillò dottrinalmente, ma per quanto riguarda la fede morì in effetti cattolico. I cambiamenti liturgici più radicali – come l’introduzione del Libro delle Preghiere nel 1549 – ebbero luogo durante il regno del suo erede Edoardo VI. Questo fu seguita da una reazione sotto la Regina cattolica Maria, la figlia di Henry dal suo primo matrimonio, e che fu uno dei più sanguinosi periodi di persecuzioni religiose in Europa fino allora. Solo all’inizio del diciottesimo secolo, con l’assestamento della successione di Hannover, il protestantesimo e la supremazia parlamentare si consolidarono saldamente in Inghilterra.
Sono stati tre i fattori al centro di questo processo di emancipazione dal continente. In primo luogo, la creazione di una circoscrizione pro-Riforma. Ciò fu in parte acquistato – l’emergere di una classe completamente nuova che aveva beneficiato della distribuzione del bottino dai monasteri secolarizzati. Ma era anche affettivo – il senso diffuso che la lealtà nei confronti di una chiesa inglese indipendente rappresentava una parte fondamentale di ciò che significava essere inglese, e che la Chiesa antica, la Chiesa di Roma, era la fede degli stranieri e dei traditori. I cattolici che resistevano, o “recusants”, vennero visti come una quinta colonna. In secondo luogo, il nuovo regime stabili il predominio non solo sull’Inghilterra, ma su tutte le isole britanniche. In terzo luogo, l’Inghilterra fu in grado di superare vari tentativi di interferenza esterna e di intervenire in modo decisivo sul continente europeo.

Giustamente o ingiustamente, i monarchi cattolici o cripto-cattolici inglesi acquisirono una reputazione di incompetenza strategica o, peggio ancora, collusione con potenze straniere. Maria I d’Inghilterra non si riprese più dopo sconfitta di Calais nel 1558, né Carlo II dopo il trattato di Dover del 1670, con la quale vendette effettivamente il paese alla Francia in cambio del sostegno di Luigi XIV per il ripristino del cattolicesimo e dell’autorità monarchica in Inghilterra .

Quando il grande scisma si concluse all’inizio del XVIII secolo, un ordine europeo molto diverso prese forma. In Inghilterra, l’anglicanismo divenne dominante e nelle isole britanniche lo stesso fece il protestantesimo più in generale. Le quattro nazioni furono progressivamente saldate in un’unica unità geopolitica. Questo per impedire alla Scozia e all’Irlanda di servire, come spesso era successo, come “la porta sul retro” per l’Inghilterra.
Il nuovo sistema realizzò anche l’ambizione principale di Henry, che era quella di rendere l’Inghilterra – o il Regno Unito come lo stato espanso venne chiamato – il principale ago della bilancia in Europa. Dall’inizio del XVIII secolo fino ai giorni nostri, Londra è stata al centro di quasi tutti i maggiori accordi europei, a cominciare dal trattato di Utrecht del 1713, che ha sancito il principio del “equilibrio del potere”. Seguì il trattato di Vienna del 1815, in cui il ministro degli esteri britannico Lord Castlereagh ebbe un ruolo centrale nella ricostruzione dell’Europa dopo le guerre rivoluzionarie e napoleoniche.

Lloyd George fu coinvolto nello stesso accordo di Versailles che stabilì un nuovo ordine dopo la prima guerra mondiale. Churchill ed i suoi successori furono tra i “tre grandi” negli accordi di Yalta e di Potsdam che posero fine alla Seconda Guerra Mondiale. La Gran Bretagna fu meno centrale durante la Guerra Fredda, ma era ancora il più importante attore dell’Europa occidentale. La grande eccezione è stata il progetto di integrazione europea, a cui la Gran Bretagna aderì in ritardo e, come tutti sappiamo, in modo maldestro.
In Francia, la situazione era ribaltata. Il protestantesimo era stato completamente sconfitto; il potere reale aveva trionfato sulle assemblee rappresentative. La chiesa francese era sotto il controllo della corona, un fenomeno noto come “gallicanismo”, mentre la forma più estetica e pura del cattolicesimo praticata era chiamata “giansenismo”. Anche la Francia un ago della bilancia in Europa, anche se in modo meno efficace e durevole del Regno Unito.

In Germania, il grande scisma portò a una soluzione molto diversa, sia dal punto di vista religioso che politico. I Trattati di Vestfalia, che pose fine alla Guerra dei Trent’anni del 1648, consacrarono un sistema di condivisione del potere tra cattolici, luterani e calvinisti. Ciò fu garantito da poteri esterni, in primo luogo Francia e Svezia.
Contrariamente al mito, la Vestfalia non ha segnato l’emergere del moderno “stato nazionale sovrano”. Al contrario, la sovranità era diffusa, in parte perché si temeva che i principi tedeschi ne avrebbero abusato e fatto precipitare l’Europa centrale di nuovo in guerra, e in parte perché gli attori esterni temevano che i loro rivali potessero usare i poteri unificati del Sacro Romano Impero per ottenere l’egemonia in Europa.

Un diverso tipo di compromesso fu raggiunto in alcune parti dell’Europa orientale, che erano state disputate dal cattolicesimo e dall’ortodossia. La Chiesa cattolica di rito orientale incarnò una soluzione di compromesso. Riconosceva l’autorità papale, ma seguiva la liturgia bizantina – l’opposto della tarda Riforma di Enrico VIII in Inghilterra.
Questo ordine è durato circa altri 200 anni ed è sopravvissuto a gravi sfide, la più grave quella della Francia rivoluzionaria e napoleonica intorno al 1800. Dall’inizio del XX secolo, tuttavia, tra il 1914 e il 1945, l’Europa è stata nuovamente sconvolta da un periodo in cui ideologie, stati e le nazioni si affrontarono, in quello che sia Charles de Gaulle e Winston Churchill chiamarono, a ragione, “La Seconda Guerra dei Trent’anni”. Come il suo predecessore, si trattava di un selvaggio conflitto ideologico, questa volta una competizione a tre tra nazismo, comunismo e democrazia occidentale. Come la guerra dei trent’anni, il suo obiettivo principale era la Germania.

Per certi aspetti, l’ordine emerso dopo la seconda guerra mondiale aveva una notevole somiglianza con quello che era seguito alle grandi conflagrazioni del XVII secolo. All’inizio, la Germania è stata neutralizzata, diventando un oggetto piuttosto che un soggetto del sistema europeo. La Repubblica Federale ha lentamente riguadagnato il suo diritto a partecipare alla politica europea a patto che si intergrasse nelle strutture più ampie dell’Europa. Il Regno Unito è entrato a far parte della Comunità economica europea nel 1973. Da allora in poi, Londra ha svolto gran parte della sua politica estera in Europa attraverso la CEE e successivamente l’Unione europea.
L’UE assomigliava sia a una chiesa sia ad un impero. La sua presa sull’immaginazione e le emozioni di molti europei era qualcosa di simile a una fede religiosa. Potevano essere diversi e litigiosi, ma erano tutti parte di un unico insieme. Nacque un nuovo ordine, quello in cui le divisioni originate dalla Riforma e approfondite da secoli di conflitti furono lentamente risanate.

L’UE è stata spesso paragonata al vecchio Sacro Romano Impero con la sua enfasi sulle regole e sulla “legalizzazione” del conflitto politico. Era un ordine geo-economico incentrato sull’unione doganale, il mercato unico e la libera circolazione. Soprattutto, l’UE era un ordine geo-legale, in cui il diritto dell’Unione prevaleva sul diritto nazionale. Una donna offesa nello Yorkshire poteva ora rivolgersi a un tribunale superiore, la Corte di giustizia dell’UE. C’era una sensazione diffusa che non ci potesse essere prosperità, sicurezza, e nemmeno salvezza al di fuori dell’UE.

Negli ultimi otto anni, tuttavia, l’Europa è stata così violentemente sconvolta da crisi che possiamo parlare di un’altra epoca di scisma. Il primo a emergere fu la divisione Nord-Sud. La bolla della zona euro esplose nel Mediterraneo, creando insostenibili crisi bancarie e del debito sovrano in paesi come Grecia, Spagna e Portogallo. Ora c’è una divisione fondamentale tra “Europa settentrionale” e “sud”, che gemono sotto l’impatto dell’austerità.
L’Europa fu anche afflitta dallo scisma orientale. Stati membri come Polonia, Ungheria, Slovacchia e Bulgaria si sentivano sempre più culturalmente alienati dalla corrente predominate liberale dell’Europa centrale e occidentale. Questa divisione si manifestò quando alcuni di questi paesi rifiutarono di prendere persino un numero simbolico di rifugiati dalla brutale guerra siriana. C’era anche un grande punto interrogativo sulla giurisdizione dell’ordinamento giuridico dell’UE, in quanto i governi ignoravano le decisioni sull’indipendenza della magistratura e della stampa.

L’Europa dell’Est ha cominciato a diventare un posto fondamentalmente diverso, con una cultura politica distinta e più reazionaria, più vicina alla “Terza Roma” di Putin che a Bruxelles.
Tutto ciò è stato aggravato da uno scisma non solo tra gli Stati membri, ma al loro interno. Queste erano esistite da molto tempo, ma la crisi economica, e in particolare la comparsa di circa un milione di nuovi migranti dalla Siria e da altre parti del Medio Oriente e dell’Africa alla fine del 2015, ha portato a un’impennata del populismo di destra e di sinistra, anche nel Nucleo franco-tedesco. Nelle elezioni presidenziali del 2017 in Francia, il Fronte Nazionale ha ottenuto un terzo dei voti nel secondo turno. Nelle elezioni federali tedesche dello stesso anno, “Alternative für Deutschland” di estrema destra ha più che raddoppiato la sua quota di voti al 12,6% e ora è l’opposizione ufficiale nel Bundestag.
Ma, ovviamente, la più grande spaccatura nell’ordine europeo è stata il voto sulla Brexit del giugno 2016. Nel referendum c’erano molte questioni in gioco, ma la questione fondamentale (se non sempre chiaramente articolata) era se la Gran Bretagna dovesse accettare seri limiti alla sua sovranità per rimanere parte di un più ampio “Commonwealth”, o se riaffermerebbe il primato delle leggi fatte da Westminster e arbitrato dai soli tribunali del Regno Unito.

Il progetto Brexit era quindi “Empire 2.0”, non tanto nel senso globale del XIX secolo, ma nel senso di rendere il Regno Unito, per usare il linguaggio dell’Atto Parlamentare del 1533, ancora una volta “un impero” a sé stante; ossia uno spazio legale e politico sovrano. Questa era principalmente un’asserzione dell’autorità, piuttosto che l’articolazione di una differenza dottrinale. Era, per così dire, un momento alla Enrico VIII.
La reazione dell’UE a questa sfida per alcuni aspetti assomigliò a quella della Chiesa Antica e dell’Europa Cattolica alla Riforma. Questo sentimento fu manifesto nella risposta di Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, alla speranza di Theresa May di poter fare un “successo della Brexit”. La Brexit, ha detto, “non può” essere un successo. Non ci poteva essere salvezza fuori dall’Unione, così come non c’era salvezza al di fuori della Chiesa cattolica. La Brexit era un offesa non solo all’ordine europeo, ma all’immaginario europeo.

L’accordo raggiunto tra Theresa May e l’UE si differenzia inoltre dalla Riforma di Enrico VIII e dalla storia successiva del Regno Unito, in un altro aspetto fondamentale. Per secoli, il Regno Unito non è stato semplicemente autonomo, ma un potere cardine in Europa. L’accordo proposto, al contrario, esclude la Gran Bretagna dal sistema geopolitico del continente. Se si preferisce, si può dire che il Regno Unito si è autoescluso, ma il punto rimane.

Alcuni dei contorni del nuovo ordine europeo post-scisma sono già chiari. Sembra probabile che la Chiesa Vecchia e l’impero, altrimenti noto come Unione Europea, continueranno a esercitare influenza su gran parte dell’Europa centrale e occidentale. Ha un campione anche se sotto attacco in Francia, il presidente Macron, le cui politiche di riforma sono molto nel solco della tradizione giansenista e la cui insistenza sugli interessi nazionali francesi all’interno di una più ampia “sovranità europea” non può che essere definita “gallicana”. L’est è sempre più orientale: politicamente legato all’Unione europea, ma culturalmente ogni volta più bizantino.

Per adesso, non possiamo essere sicuri di come la Gran Bretagna si inserirà. Un “voto popolare”, o magari un ripensamento, potrebbe riportarla alla Vecchia Chiesa, l’Unione Europea. La Gran Bretagna potrebbe, secondo l’accordo raggiunto dal Primo Ministro, seguire il modello orientale di rimanere in certi aspetti sotto l’autorità dell’UE e coltivare la differenza liturgica in aree come l’immigrazione. O il Regno Unito potrebbe optare per un vero e proprio anglicanesimo politico – una separazione completa dal continente.

Nessuno può essere sicuro di come andrà a finire. La Vecchia Chiesa rimane forte in molte parti del Regno Unito, in particolare in Scozia e Irlanda del Nord, ma anche nelle grandi città, nelle università e nelle professioni. A causa dei cambiamenti demografici, il picco dei “Remain” sarà tra circa 20 anni. Per questo motivo, a parità di condizioni, Brexit sarà irreversibile solo con il passaggio della prima generazione di coloro che hanno conosciuto solo la vita al di fuori dell’UE. Se la Brexit persiste oltre questo punto, i “Remain” diventeranno effettivamente dei “recusants”, ancora prominenti forse nelle sedi accademiche, ma non più una forza con cui fare i conti.

Nella geopolitica europea, ovviamente, non esiste la parità di condizioni. Come la Riforma, anche il futuro della Brexit sarà determinato anche da potenze esterne. Per esempio, l’UE potrebbe così marginalizzare il Regno Unito che il “ritorno” diventa l’unico rimedio alla penuria e all’irrilevanza. In alternativa, l’UE potrebbe provocare una reazione ostile e rafforzare la Brexit. Proprio come il regno di Maria Tudor portò ad un’associazione fatale tra cattolicesimo, dominio straniero e incompetenza strategica, così la causa di “Remain” o “ritorno” potrebbe macchiarsi della stessa accusa.

Quindi rimangono più domande che risposte. La Brexit sarà rovesciata da una reazione Mariana, o lo scontro originale di autorità sarà seguito da un ulteriore approfondimento del divario politico del Regno Unito con il continente?
L’Inghilterra, Scozia, Galles e Irlanda del Nord saranno sotto l’egida del Regno Unito o dell’Unione europea?
Anche se Westminster riuscisse ad affermare la sua autorità sulle isole britanniche, come farà il Regno Unito ad esercitare la sua influenza nel continente europeo una volta fuori dall’UE ? Gli europei riconosceranno la “eccezionalità” del Regno Unito e accetteranno la cogestione del nostro continente, oppure la Gran Bretagna e il resto dell’Europa saranno condannati a un altro scontro di istanze in conflitto?

Brendan Simms

Articolo originale pubblicato su:
“The New Statesman”

Traduzione di Roberto Desirello