“La Chiesa non deve creare ostacoli al perdono di Dio”. Francesco rinnova il mandato ai “missionari della misericordia”. E racconta di aver “rubato” una croce

“La misericordia di Dio non conosce confini e con il vostro ministero siete segno concreto che la Chiesa non può, non deve e non vuole creare alcuna barriera o difficoltà che ostacoli l’accesso al perdono”.  Sono parole di Papa Francesco ai missionari della misericordia, che dal 2016 hanno avuto il mandato di assolvere qualunque tipo di peccato per testimoniare la grandezza del perdono di Dio. Sono circa 900 in tutto il mondo e di questi ben 550 hanno partecipato alla celebrazione eucaristica presieduta dal Pontefice nella Basilica vaticana.
“Riflettendo sul grande servizio che avete reso alla Chiesa, e su quanto bene avete fatto e offerto a tanti credenti con la vostra predicazione e soprattutto con la celebrazione del sacramento della Riconciliazione — ha esordito il Papa nell’incontro che ha preceduto il rito — ho ritenuto opportuno che ancora per un po’ di tempo il vostro mandato potesse essere prolungato”. Anche perché, ha aggiunto, “ho ricevuto molte testimonianze di conversioni che si sono realizzate tramite il vostro servizio”.

Secondo il Papa, ogni sacerdote, “quando si accosta un penitente” deve “riconoscere che abbiamo davanti a noi il primo frutto dell’incontro già avvenuto con l’amore di Dio, che con la sua grazia ha aperto il suo cuore e lo ha reso disponibile alla conversione”.
Del resto, ha osservato Francesco, “può capitare che un sacerdote, con il suo comportamento, invece di avvicinare il penitente lo allontani. Ad esempio, per difendere l’integrità dell’ideale evangelico si trascurano i passi che una persona sta facendo giorno dopo giorno»; ma, ha ammonito, «non è così che si alimenta la grazia di Dio. Riconoscere il pentimento del peccatore equivale ad accoglierlo a braccia spalancate, per imitare il padre della parabola che accoglie il figlio quando ritorna a casa”. Di più, Francesco ha anche avvertito che “non c’è bisogno di far provare vergogna a chi ha già riconosciuto il suo peccato e sa di avere sbagliato; non è necessario inquisire”.

Il Papa ha poi indicato come esempio da seguire due grandi confessori che ha conosciuto a Buenos Aires. Il primo confessore, era un sacramentino (padre Aristi) che nonostante i lavori importanti nella sua congregazione, trovava sempre il tempo per andare al confessionale. “Io non so quanti, ma la maggioranza del clero di Buenos Aires – ha affermato il Papa – andava a confessarsi da lui. Anche quando san Giovanni Paolo II era a Buenos Aires e ha chiesto un confessore, dalla Nunziatura hanno chiamato lui. Era un uomo che ti dava il coraggio di andare avanti. Io ne ho fatto esperienza perchè mi sono confessato da lui nel tempo in cui ero provinciale, per non farlo con il mio direttore gesuita… Quando cominciava ‘bene, bene, sta bene’, e ti incoraggiava: ‘Va’, va’!’. Com’era buono”. Alla sua morte (94 anni), Bergoglio ha riferito di essere subito andato dov’era la veglia funebre e di aver notato che non vi era alcun fiore accanto alla sua bara.

E qui ha aggiunto il racconto di un episodio molto particolare, il “furto” della piccola croce del rosario di un sacerdote che considerava “santo”. Una vicenda non inedita, nel senso che il Papa l’aveva già raccontato una volta.  “Il settimo comandamento dice: ‘Non rubare’. Il rosario è rimasto là, ma mentre facevo finta di sistemare i fiori ho fatto così e ho preso la croce”. “Quella croce la porto qui con me da quel momento e chiedo a lui la grazia di essere misericordioso, la porto con me sempre”, ha concluso il Pontefice.