La crisi delle democrazie, delle culture tradizionali e della “questione di senso” secondo Andrea Riccardi e Marc Lazar (di F. Gnagni)

Nella crisi del populismo vi rientra una grande “questione di senso. Non ci sono più le grandi agenzie di senso, con la caduta delle dialettiche Chiese-impero, legge-coscienza, che fanno parte di un mondo che si è dissolto in vari anni. Il cristianesimo resta l’ultima realtà paneuropea, ma che si divide in quella cosmopolita di papa Francesco o nel modello russo del Patriarca Kirill, che ha riflesso nell’Europa cattolica e che è il modello ceco e ungherese, in cui si parla della nazione cattolica e tradizionale e della Corona di Santo Stefano”. Sono le parole pronunciate dallo storico e presidente della Società Dante Alighieri, nonchè fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, nel corso della presentazione del libro scritto da Marc Lazar e Ilvo Diamanti ed edito da Laterza “Popolocrazia. La metamorfosi delle nostre democrazie”.

“L’uomo europeo si è da sempre nutrito di questa catena di senso, mentre oggi non sa più chi è e non c’è più chi glielo dice”, ha proseguito Riccardi. “Qui c’è anche il problema della cosiddetta casta, o meglio dei datori di senso. Le culture cattoliche, comuniste o laiche repubblicane erano grandi culture di popolo”. Oggi invece, per sconfiggere le paure, una su tutti “la paura della storia”, che “oggi è la nostra condizione, che non esorcizziamo con alcuna rappresentazione del futuro e di fronte a cui siamo tutti più soli”, “non basta fare muri perché siamo malati dentro”, ha affermato ancora Riccardi, spiegando che nelle dinamiche di quello che da molti osservatori viene definito “populismo” vi risiede in realtà del “declino dei grandi noi del nostro continente: partiti politici, sindacati, comunità locali, chiesa e chiese, un declino che si radica nelle periferie”.

“Le culture politiche tradizionali sono in pieno declino, gli elettori sono più liberi e ciò che conta è il leader, che all’epoca veniva creato nella televisione mentre oggi parla direttamente al popolo superamento i corpi intermediari, una democrazia ‘del pubblico’”, ha poi proseguito uno dei due autori del libro, il sociologo francese e docente alla Science Po di Parigi Marc Lazar. “Il 30 per cento degli europei sostengono che ci sia qualcosa di meglio della democrazia, ma non si sa a cosa si riferiscono. I francesi sono questo strano popolo che ha tagliato la testa al re ma che ha inventato la forma repubblicana”, ha proseguito.

“C’è la voglia di una democrazia partecipativa e deliberativa, una parte della popolazione non si soddisfa solo di votare una volta ogni qualche anno”, ha spiegato. “La comunicazione nelle reti sociali non è più verticale, o top-down, ma bottom-up, viene dal basso e va verso l’alto: un cambiamento totale del rapporto tra cittadini e politica”, che “ha un impatto enorme, in quanto tutti possono intervenire su tutto”. Tutto ciò in realtà, per il sociologo cela “un vuoto di senso spirituale o di identità, l’assenza di risposta che ha dato spazio ai populisti che giocano sull’emozione e contro la razionalità, cercando di costruire una narrativa in cui si parla di un mitologico passato. Cercano di inventare qualcosa che poi ripropongono, e la grande sfida è anche rispondere a questa ricerca di senso. È una vera battaglia culturale”.

 

Francesco Gnagni