L’allegra politica di Matteo Renzi (di M. Castellano)

Renzi è ripartito in treno da Pietrarsa, accompagnato dalla sua corte (che sarebbe più appropriato definire una Corte dei Miracoli), per l’occasione in trasferta nel Meridione. L’uomo di Rignano sull’Arno, a suo tempo studente non particolarmente brillante, non ha fatto nessun riferimento nel suo discorso ai precedenti storici della località, scelta dai Borbone come sede della prima fabbrica di locomotive d’Italia, impiegate sulla famosa tratta ferroviaria che univa la Capitale con Portici. I Savoia, che volevano industrializzare solo il Settentrione, chiusero l’officina immediatamente dopo l’Unità, gli operai protestarono e contro di loro vennero mandati Bersaglieri, che ne fecero strage. Fu questo il primo degli innumerevoli conflitti di lavoro nella storia del nuovo Stato, che unì nella protesta – e nel martirio – la causa dell’indipendenza del Regno delle Due Sicilie con quella del diritto all’occupazione.

La contaminazione “borbonica” nella vicenda fece tuttavia sì che la storia sindacale d’Italia non rivendicasse i caduti di Pietrarsa, non già considerati come antesignani delle lotte future ma anzi condannati ad una duplice “damnatio memoriae”, da parte dello Stato e da parte dello stesso movimento progressista: il quale si rifaceva a Mazzini e a Garibaldi, non certo a Francesco II. Ora quelle vittime sono state riabilitate dal movimento neo borbonico, che le associa nel suo omaggio ai caduti del Volturno e di Gaeta.

Il “rottamatore” poteva dunque compiere un gesto di autentica riconciliazione nazionale, ma la sua sottigliezza politica non giunge a tanto: volando basso – come si suole dire – ha perfino omesso dal suo discorso ogni riferimento allo “jus soli”, lasciando che si scottassero con una promessa “da marinaio” i fidi Gentiloni e Minniti. Quando Renzi non tratta un argomento, è segno che intende evitare una brutta figura: come dice il proverbio, la vittoria ha mille padri, la sconfitta nessuno. Nel sempre più convulso finale di legislatura, l’ex Sindaco dirà di avercela messa tutta, imputando l’insuccesso alla forza preponderante del nemico. Con il risultato di coprirsi “a sinistra”, ma soprattutto “a destra”: un settore elettorale dove è più facile subire delle perdite, dato lo “zeit geist” anti immigrati cavalcato dai vari Leghisti, Pentastellati, Berlusconiani e – “last but not least” – Alfaniani: i quali ultimi inaugurano un ruolo fino ad ora inedito, quello di alleati “a termine”, dato che saranno tali fino all’ultimo giorno della legislatura, per poi ricongiungersi alla casa – madre berlusconiana in una “Grande Destra”; nella quale – come ha osservato acutamente ieri un collega de “La Repubblica” – confluiscono secessionisti e unitari, animalisti e cacciatori, tradizionalisti e laicisti, dimostrando ulteriormente che gli interessi economici costituiscono un collante capace di ricomporre ogni divisione. Mao Tse Tung avrebbe parlato di “contraddizioni secondarie”, non già nel popolo, bensì nel nemico di classe.

A proposito di nemico di classe, pare che il “rottamatore” voglia contrapporgli una rinnovata intesa a sinistra: Jean Jaurès (Renzi – nella sua crassa ignoranza – si domanda se costui sia un cantante francese o un giocatore del “Paris Saint Germain”) diceva “Pas d’ennemis à gauche”. L’uomo di Rignano sull’Arno si adegua ora a questo principio: non già in omaggio allo “spirito repubblicano”, a lui completamente alieno, al punto di combattere il fascismo alleandosi con Malagò, di contrapporsi al malaffare unendosi a Verdini, di lottare il contro il capitalismo coalizzandosi con Serra, di fronteggiare la conservazione associandosi ad Alfano; pare piuttosto che la paura “faccia novanta”, e lo sventurato cerchi alleati purchessia disposti a votarlo alle imminenti politiche. L’uomo dispone però di ben poca merce di scambio, dato che i collegi “blindati” sono ben pochi, e tutti o quasi prenotati dai “boschiani”, ormai dominanti nel “Giglio Magico”. Quanti ai dissidenti di sinistra non si vede come possano venire recuperati, dal momento che il Partito perde pezzi proprio su quel versante, e risulta dunque arduo trovare qualche voltagabbana disposto ad andare contro corrente. Tanto più che nelle liste dell’estrema non mancheranno i nomi di richiamo, a cominciare dal Presidente Grasso.

Pensare di contrapporgli personalità del calibro della Madia rivela quanto è elevato il grado di presunzione del Segretario, i cui “show” ricordano sempre di più le esibizioni di Craxi, con i teatri greci di cartapesta innalzati da un noto arredatore di Milano, tale Panseca, eletto al rango di “architetto” benché egli stesso – in un rigurgito di modestia – negasse di essere tale; ma soprattutto con il loro leggendario “parterre” di “nani e ballerine”. Questo costume di sopperire con esibizioni di avvenenza muliebre al vuoto di idee e di programmi, invalso con il Segretario Socialista, venne perpetuato dalle “amazzoni” berlusconiane, nessuna delle quali – lo attesta la suprema autorità in materia, Concita De Gregorio de “La Repubblica” – era bionda naturale, risultando anzi tutte “mesciate”, come si dice nei negozi di parrucchiera della provincia italiana); ora, però pare giunto al suo culmine con l’apoteosi delle Boschi, delle Madia e delle Bonafè: non a caso Rosi Bindi, con il suo aspetto monacale, ha deciso saggiamente di cedere il passo. Dopo l’apoteosi di Portici, Città a suo tempo amministrata da Massimiliano Caprara, detto il “Sindaco Scalzo” per avere ceduto le sue scarpe ad un postulante appostato sotto al Municipio (altri tempi!), della grande messa in scena rimangono solo le ceneri: i “bersaniani”, hanno rilanciato domandando a Renzi quali concessioni programmatiche fosse disposto a proporre in caso di alleanza elettorale. Citare i programmi con Renzi è però come parlare di corda in casa dell’impiccato: in questa materia, come in campo ideologico, l’uomo è noto per non impegnarsi e non qualificarsi; un atteggiamento tipico di chi è tutto e il contrario di tutto, ma soprattutto risulta uso ad elevare a sistema l’indifferentismo più assoluto. Renzi, in realtà, non sa nemmeno chi è; né la sua fama gli permette di formulare una risposta come quella data dal Generale De Gaulle ad un incauto giornalista che domandava quale fosse il suo programma: “De Gaulle non ha bisogno di un programma: ha un nome”. Il nome del “rottamatore” non suscita echi storici, ma ricorda piuttosto un certo mondo gastronomico fiorentino: le famose “buche” dove a novembre si mangiano i tordi, oppure le osterie intorno al Mercato Generale, in cui si gusta una eccellente “arista”, per culminare con l’empireo della “Enoteca Pinchiorri”, incaricata del “catering” in occasione delle “Leopolde” (a proposito, chi paga il conto?) In queste sedi gli affabulatori come l’ex Sindaco, che al tempo di Lorenzo il Magnifico sarebbe stato definito un “ribobolaio”, incantano i “beceri” con la loro eloquenza. Chi esce da un pranzi in queste sedi, ne esce convinto che dalla conversazione ivi celebrata, auspice qualche bicchiere di “Chianti”, tutte le faccende del mondo risultino sistemate. Anche Berlusconi fermava le guerre telefonando a Putin.

Quanto ai giornalisti de “La Repubblica”, fanno addirittura di meglio: sventano il pericolo di un conflitto atomico in Corea propiziando l’intervento del Papa. Probabilmente, chi suole consumare il cappuccino e il cornetto nei bar di Borgo Pio ha assistito inconsapevolmente allo storico evento, dato che condivideva la prima colazione con un giornalista allievo di Scalfari e con un Monsignore del Vaticano. L’Italia vive la grande stagione del factotum, del “miles gloriosus”, del millantatore eretto a prototipo di un’epoca di allegra ed inconsapevole decadenza: non c’è dunque da meravigliarsi se anche un candidato alla Presidenza del Consiglio si adegua a tale spirito del tempo. Se fosse ancora vivo il compianto Ettore Scola, ci farebbe un film, continuazione de “La Terrazza”.

Siamo come i passeggeri del Titanic: la nave affonda, ma la cucina è eccellente.

 

 

 

 

 

Mario Castellano