Le due facce di Putin. Come si può difendere il Vangelo e perseguitare i gay

Due nostri bravissimi colleghi di “Radio Radicale”, Giuseppe Di Leo e Francesco Radicioni, nelle loro rispettive trasmissioni domenicali sull’attualità del Vaticano e della Cina, riferiscono altrettanti fatti molto significativi ed importanti, che sicuramente annunciano grandi eventi futuri.

Di Leo commenta l’arresto, avvenuto a San Pietroburgo, di un gruppo di omosessuali che stavano inscenando una manifestazione proprio davanti al Palazzo d’Inverno per protestare contro la discriminazione sofferta in Russia da queste persone.
Secondo quanto riferiscono i mezzi di informazione specializzati nelle vicende di quella grande Nazione, sulla decisione presa da Putin di usare la “mano dura” contro i “gay” avrebbe influito una forte pressione esercitata da Sua Beatitudine Cirillo, Patriarca di tutte le Russie.
Il Capo della Chiesa Ortodossa autocefala – aggiungono maliziosamente i “media” – eserciterebbe un forte ascendente sul Presidente in quanto ambedue furono a suo tempo colleghi nella Polizia Politica.
Se il “leader” spirituale può quanto meno tacitamente ricattare quello politico, il rapporto stabilito tera loro per via dell’antico “pactum sceleris” risulta reciproco.

Se Putin non è certamente il solo uomo politico, nel panorama mondiale, caratterizzato da un tale precedente, esso risulta ben più imbarazzante per chi è incaricato della cura d’anime.
Si pensi al fatto che nella Chiesa Ortodossa esiste – come in quella Cattolica – il Sacramento della Penitenza, celebrato nella forma della confessione auricolare.
E’ dunque probabile che qualche fedele venisse arrestato dopo avere confidato ad un “pope” una slealtà verso lo Stato.

Può essere invece che i responsabili di tale mancanza, non considerandola come un peccato, ovvero avendo cura della propria incolumità, si astenessero dal raccontarla al Sacerdote.
Chi ha vissuto in uno Stato di polizia può capire queste situazioni.
Nell’ex Unione Sovietica vennero erette delle statue di un giovane “pioniere” che aveva denunziato per “cospirazione” i suoi stesi genitori, rei di praticare segretamente il culto: la Russia comunista divenne con ciò il solo Paese in cui si erano innalzati dei monumenti a un delatore.
Supponiamo comunque che il giovane futuro Patriarca, già comunque ordinato Sacerdote e prelato dal sicuro avvenire, fosse per davvero una “barba finta”.

Ciò, nel caso specifico, avrebbe dato luogo ad una contraddizione in termini, dal momento che la sua barba – come quella di gran parte dei componenti del Clero ortodosso – è assolutamente autentica.
Nel Paese probabilmente più cesaropapista del mondo, l’appartenenza di un Ordinato alla Polizia Politica non fa assolutamente notizia, e non stupisce nessuno.
Già sotto lo “Zar”, sulle copie della Bibbia date in uso ai membri del Clero, la parola “Dio” era scritta in caratteri neri, mentre la parola “imperatore” era in lettere dorate.
La Rivoluzione restaurò, sia pure solo formalmente, la separazione della gerarchia ecclesiastica dallo Stato.

La Chiesa detta “Rutena” si era distaccata per prima dalla subordinazione al Patriarcato di Costantinopoli fin dai primi del diciassettesimo secolo, e vani risultarono i tentativi attuati dal Fanar per ricondurla all’obbedienza.
Michele Romanov, che fondò nel 1613 la dinastia imperiale abbattuta soltanto nel 1917 dalla Rivoluzione di Febbraio, era figlio del primo Patriarca di Mosca, Filarete.
Pietro il Grande, uno dei massimi Sovrani assolutisti del Settecento, abolì il Patriarcato, volendo imitare Enrico VIII d’Inghilterra nel fare coincidere le cariche di Capo dello Stato e di Capo della Chiesa nazionale.
Caduta la Monarchia, il Patriarcato venne paradossalmente ripristinato dai Rivoluzionari, che intendevano separare la sfera spirituale da quella temporale.

La Chiesa, dopo l’accordo stipulato durante la “Grande Guerra Patriottica” con Stalin, che produsse il “modus vivendi” vigente fino alla caduta del regime comunista, fosse posta sotto lo stretto controllo della Polizia Politica era noto a tutti, specialmente considerando l’adesione della Gerarchia ortodossa alle iniziative propagandistiche del Partito: da quelle contro l’alcolismo fino a quelle – ben più impegnative – in favore del disarmo.

Quando giunsero a Roma i due Osservatori del Patriarcato di Mosca al Concilio Ecumenico Vaticano II, si seppe che si trattava di alti Ufficiali della Polizia Politica.
Strettamente controllati nei loro spostamenti dai Servizi di Sicurezza italiani, li beffarono trascorrendo ore ed ore in silenzioso raccoglimento nelle Basiliche Patriarcali: immaginiamo la noia mortale inflitta a chi li pedinava.
La diplomazia vaticana, lungi dallo scandalizzarsi per la singolare commistione tra sacro e profano, utilizzò l’Archimandrita Dimitri Beregovoj – tale era il nome del capo della delegazione – per tramitare messaggi riservati al Cremlino, grazie ai quali venne finalmente rilasciato il Cardinale della Chiesa “Uniate” dell’Ucraina Slipj.

Tempo fa, ci capitò di prendere contatto con un prestigioso prelato ortodosso russo, con cui siamo divenuti in seguito ottimi amici: ad un certo punto della nostra prima conversazione, questo Religioso fece riferimento ad un dettaglio della nostra vita che non gli avevamo ancora raccontato: sicuramente si espresse così di proposito, per farci intendere che era già informato su di noi.

Nel mondo attuale, sta crescendo l’influenza delle religioni, ma in modo particolare di quelle che possono contare su due elementi di forza, non necessariamente collegato tra loro, ma di certo concomitanti: uno è costituito dal rapporto di simbiosi con lo Stato, che noi Occidentali indichiamo con il termine di cesaro papismo, mentre in altri contesti culturali – in particolare nell’Ortodossia e nell’Islam – rappresenta un modo di essere naturale della Fede.
In questo modo si spiegano certi fenomeni, che dal nostro punto di vista consideriamo alla stregua di altrettante manifestazioni del confessionalismo.

Quando le Autorità civili della Russia tengono per anni in prigione alcune ragazze che avevano intonato una canzone ritenuta “blasfema” (non già – si badi – in quanto rivolta contro il Padre Eterno, bensì perché poco rispettosa nei confronti di Putin) nella Cattedrale ortodossa del Salvatore a Mosca, commettendo una mancanza che altrove avrebbe comportato al massimo una visita al Commissariato, non risulta facile capire chi abbia assunto il ruolo del “poliziotto buono” e chi quello del “poliziotto cattivo”.
Risulta più probabile che sia stato il Patriarca ad impersonare quest’ultimo.

Piaccia o meno agli Occidentali, la sinergia – o meglio la simbiosi – tra il potere spirituale ed il potere civile non risulterebbe possibile se la religione non svolgesse sostanzialmente una funzione sociale: in altre parole, se Dio non si trovasse soltanto al centro dello Stato, ma soprattutto al centro della società.
Qui si colloca la differenza con la nostra realtà, dove le “Pussy Riot” avrebbero potuto quanto meno contare sull’attivo sostegno dei Radicali.
Veniamo ora all’altra notizia, proveniente dalla Cina: oltre agli infidi Uiguri, popolo di etnia turchesca, vive in questo grande Paese un’altra minoranza di religione musulmana, quella degli “Hui”, che appartengono invece alla etnia maggioritaria e dominante degli “Han”.

Nel loro capoluogo è stata recentemente riedificata una imponente moschea, eretta sul luogo dove sorgeva in precedenza un analogo luogo di culto, distrutto durante la “Rivoluzione Culturale”.
Come avviene in modo sistematico nei Balcani, il conto è stato regolato dalla Casa Reale saudita, notoriamente di indirizzo “wahabita”.
Si può supporre che anche gli “Imam”, formati all’estero grazie a borse di studio pagate con i “Petrodollari”, appartengano a tale corrente dell’Islam.
Le Autorità cinesi, evidentemente pentitesi del rilascio della licenza edilizia, minacciano ora di demolire l’edificio.

Non già – almeno formalmente – a causa di quanto si proclama nella “hutba” (cioè nella predica), ma per via dello stile architettonico arabeggiante: le moschee originali della Cina sono edificate imitando quello delle pagode.
Qui lo scontro – almeno in teoria tra due opposte concezioni dell’Islam, l’una autoctona e l’altra esterofila.
A Pechino, evidentemente, si teme che i Musulmani locali si considerino in primo luogo seguaci dell’Islam, e solo secondariamente cinesi.
In Europa Occidentale, ogni cittadino è libero di considerarsi o meno appartenente alla Nazione: questa scelta, infatti, non influisce in alcun modo sui rapporti giuridici.

In uno Stato totalitario, la dichiarazione della propria identità è soggetta a condizionamenti e a restrizioni.
Di qui deriva la necessità di ammantare il proprio credo con i simboli nazionali: il che risulta facile nel caso della religione maggioritaria, molto meno per gli appartenenti ai culti minoritari.
Anche noi abbiamo vissuto l’esperienza squalificante delle famigerate “leggi razziali”, ispirate da una presunzione “juris et de jure” di lealtà a carico dei cittadini israeliti.

In Rusaia si evita in parte il problema distinguendo in punta di Diritto positivo tra le religioni dette “tradizionali” – cioè quelle di più antico radicamento storico, vale a dire l’Ortodossia, l’Ebraismo, l’Islam ed il Buddismo: per fortuna, cui sono i Tartari ed i Mongoli Buriati.
Tutti gli altri culti sono soltanto tollerati: eppure, fin da quando l’Impero deportava i Polacchi in Siberia, ci sono dei cittadini che – per quanto ormai russificati ormai da diverse generazioni – mantengono la fede cattolica.
Il problema potrebbe riguardare anche noi: in Arabia Saudita, l’Islam “ufficiale”, che gode piena libertà di culto e di espressione, è quello wahabita.

Salvini, da quando si è convertito dal paganesimo al Cristianesimo (non si è fatto battezzare in quanto i genitori avevano provveduto a suo tempo alla bisogna) ha scelto il Cattolicesimo tradizionalista.
Per noi Cattolici liberali, chiamati spregiativamente “progressisti”, così come per tutti gli altri diversamente credenti, “mala tempora currunt”.
Per ora, i seguaci del “Capitano” si limitano a disturbare con battimani che vorrebbero essere ironici o polemici, la Messa officiata dal Cardinale Bagnasco per i poveri morti del Ponte sul Polcevera.
Domani, chissà.

Mario Castellano