Palermo. Altro neo eletto finisce nei guai. “Edy” Tamajo del Pd è accusato di aver comprato i voti. Il partito di Renzi si scioglie come neve al sole…

Un altro neodeputato regionale siciliano è indagato, stavolta per associazione a delinquere finalizzata alla corruzione elettorale: Edmondo “Edy” Tamajo, 41 anni, è accusato di avere comprato voti, alle consultazioni di domenica scorsa, al prezzo di 25 euro per ciascuna preferenza. Un’inchiesta-lampo, che segue di pochi giorni l’arresto di Cateno De Luca (Udc), l’altro nuovo parlamentare – eletto nella coalizione di centrodestra – finito sotto indagine, a Messina, per associazione a delinquere finalizzata all’evasione fiscale. Tamajo, il più votato della provincia di Palermo, con quasi 14 mila consensi personali, era nella lista di centrosinistra Patto dei democratici per le riforme-Sicilia futura.

Le denunce a carico dei Parlamentari e dirigenti del Partito Democratico non fanno più notizia.
Ora un altro esponente renziano si aggiunge alla lunga lista degli indagati.
Prescindiamo dal caso specifico, anche perché vale sempre il principio della presunzione di innocenza, e ci soffermiamo sul fatto che l’origine del fenomeno criminogeno si è trasferita dall’esterno all’interno di questa forza politica.
Due casi risultano a questo riguardo emblematici: prima quello del tesoriere della Margherita, tale Senatore Lusi, poi quello di “Mafia Capitale”, in cui risaltò il ruolo di Buzzi: l’uno – dopo un breve soggiorno a Regina Coeli, venne affidato ai “servizi sociali”, da scontare presso un Convento di Frati; l’altro – per ora – è ancora ospite delle patrie galere, ma il declassamento del reato da associazione a delinquere di stampo mafioso in associazione a delinquere semplice fa prevedere una gloriosa scarcerazione, salutata – come è ormai consuetudine – dai “fans” del galeotto con festeggiamenti all’uscita dalla prigione, pranzi, cene e le immancabili interviste, in cui sarebbe inutile ricercare una sola parola di ravvedimento, di pentimento o di umana pietà verso le vittime dei reati commessi.
Le quali, però, in questo caso specifico, non meritano alcuna solidarietà, dal momento che si tratta dei compagni stessi del reo, suoi complici se non dal punto di vista del Diritto Penale quanto meno dal punto di vista politico e – soprattutto – morale.
La posizione processuale di Buzzi è connessa con quella di Carminati, al quale il dirigente democratico dell’Urbe era legato in un sodalizio politico, affaristico e soprattutto criminale rosso – nero: il comunista e il fascista avevano accantonato le loro differenze ideologiche per rubare insieme, segno che la “riconciliazione nazionale” è ormai acquisita, e dunque – come si suole dire in questi casi – bisogna “guardare avanti”.

“Er Cecato”, uomo – cerniera tra la malavita organizzata e la delinquenza politica, è stato brillantemente difeso dall’Avvocato Naso, coadiuvato dalla figlia Ippolita.
A questo riguardo, i giochi di parole si sprecano: se l’imputato “ha avuto naso” nella scelta del Patrono, chi “ficca il naso” nel connubio tra mafia e fascismo rischia di “picchiare del naso”, come è successo al giornalista duramente percosso ad Ostia da Spada, detto “Boss del Litorale”: lo affermano “tutte le maggiori testate”; impallidisce la memoria del dissidio tra Zidane e Materazzi, in occasione del quale venne scomodato il dissidio tra l’Islam ed il Cristianesimo, come ora si rievoca la Resistenza contro il fascismo.
Il risultato dell’abilità forense dell’Avvocato Naso, che ha ottenuto la derubricazione del reato per il suo assistito, accelera anche il ritorno in circolazione di Buzzi, le cui imputazioni erano d’altronde meno gravi.

Cominciamo però con l’ex Senatore Lusi, che si è mangiato tutti i soldi della Margherita di Rutelli, mandando sul lastrico il datore di lavoro al punto che l’ex Sindaco si ridusse a “mangiare panne e cicoria”: cibo esibito su un banchetto collocato al di fuori delle storica sede del Nazareno, a disposizione di chi avesse pagato per questa parca refezione una offerta per il Partito.
La tradizione gastronomica della Sinistra venne in quella circostanza clamorosamente smentita: dalle rinomate “rostelle” e dai succulenti tortellini emiliani delle Feste dell’Unità si decadde ad un piatto tipico della cucina “povera”.
Non risultava invece povero Lusi, che – essendo tesoriere – poteva spendere al ristorante un autentico tesoro: il suo piatto preferito consisteva negli spaghetti al caviale, alimento notoriamente diffuso presso i proletari rappresentati dalla Sinistra.

La storia non dice se il Senatore, arrestato dalle “Fiamme Gialle” all’uscita di Palazzo Madama in seguito ad una “soffiata” di qualche collega invidioso (pare volesse dirigersi a Fiumicino e spiccare il volo verso un esilio dorato in qualche Paese del Medio Oriente), si sia fatto portare il suo piatto preferito a Regina Coeli: ce lo auguriamo per i suoi compagni di sventura, oltre che per il personale di custodia, con cui per tradizione i galeotti più dotati di mezzi economici condividono il cibo.
Tale Professor Pioselli, che giacque per alcune settimane nella Casa Penale Circondariale di Imperia, veniva rifornito di abbondanti porzioni di spaghetti “coi” scampi dal titolare del Ristorante “Braccioforte”, e di enormi vassoi di dolci dalla migliore pasticceria della città.
Pare che il Brigadiere degli Agenti di Custodia addetto alla sua persona abbia rischiato la morte per indigestione.

Il nostro concittadino Onorevole Scajola, finito a sua volta a San Vittore, oltre a non “ciapà i bott”, riceveva abbondanti porzioni di cibo cucinate dal famoso Ristorante Savini, elargite naturalmente anche a quanti erano reclusi in sua compagnia.
Il suocero, cui toccò pagare il conto, affermò che era stato più caro della parcella, pur salata, dei Difensori.
Lusi, comunque, poté incamerare tutti i famosi “rimborsi” spettanti alla Margherita.
La situazione era kafkiana: il Partito non esisteva più, ma continuava a percepirli grazie alla lettera (non – si badi – grazie ad una interpretazione benevola della norma, dato che la compagine si era sciolta dopo l’elezione dei suoi Parlamentari.
Se non che, essendo il Partito defunto, non c’era nessuno che potesse controllarne la gestione.
Delle due l’una: o gli ex dirigenti, “in primis” l’ex Sindaco “Ciccioballo” Rutelli erano degli sprovveduti ovvero – più probabilmente – Lusi condivideva con costoro le sue ruberie.
Cosa, però, che non fu in grado di dimostrare, per cui risultarono vane le sue chiamate di correo, sia in giudizio sia in aula nel momento in cui il Senato lo spogliava dell’immunità.
Speriamo comunque di non assistere ad una sua resurrezione politica, sempre possibile in questi tempi.

Veniamo ora a Buzzi.
A carico di costui esistevano precedenti penali, non certo per reati cosiddetti “da cortile”: l’uomo aveva ucciso con efferatezza, inferendogli innumerevoli coltellate, un amico: i motivi del crimine non vennero mai chiariti.
Trovandosi recluso, Buzzi intraprese il cammino della redenzione: partorì opere letterarie, recensite favorevolmente dai maggior giornali, si fece propaganda con l’aiuto della sorella, alta funzionaria al Ministero dei Beni Culturali, e numerosi intellettuali “de sinistra” – di quelli che un tempo firmavano gli appelli per l’America Latina – si prodigarono in suo favore; segno di una regressione provinciale della cultura progressista “all’amatriciana”.
La povera Miriam Mafai (che Dio la perdoni) fu animatrice della campagna per la sua liberazione, come se si fosse trattato di un novello Silvio Pellico.
L’opera letteraria del Buzzi, oltre ai motivi per cui era finito dietro le sbarre, risultava certamente di più basso livello rispetto all’autore de “La Mie Prigioni”.
Uscito dalla galera, l’uomo pagò il suo debito con la Sinistra con uno strenuo impegno, premiato però con un incarico di dirigente democratico nell’Urbe: ciò aiuta a capire i motivi di certi disastri elettorali.

Pare che l’ex galeotto organizzasse delle cene “di finanziamento” secondo il canone degli Stati Uniti, dove si corrispondono migliaia di dollari per mangiare (male) con i candidati.
Quando Renzi rimase disoccupato – il “rottamatore”, lasciato Palazzo Chigi, non poteva contare sullo stipendio da Parlamentare, non essendo tale – ci fu chi si preoccupò per la sua indigenza; altri, in vena di umorismo sadico, proposero di destinargli i soldi raccolti da Buzzi con le sue cene.
In merito alle nuove imprese criminali dell’uomo si sono versati fiumi di inchiostro, per cui non ci dilunghiamo sull’argomento.
Ci limitiamo a considerare come il suo legame con Carminati, ammesso che se ne ignorassero i risvolti criminali, era dichiaratamente di ordine politico: come è stato possibile che nessun dirigente del Partito obiettasse a Buzzi l’incoerenza di questa collaborazione con la linea del Partito?
“Perseverare diabolicum”, dice il proverbio: Renzi tentò – per fortuna senza riuscire – di organizzare le Olimpiadi avendo come partner l’ex missino Malagò.
Questo ecumenismo affaristico deve essere un vizio di famiglia: “babbo” Tiziano gira l’Italia in veste di “brasseur d’affaires” proponendo ogni tipo di negozi a Destra e a Manca; pare però più a “Destra” che a “Manca”, data la radice fanfaniana dell’uomo, proveniente dalla stessa corrente che ha espresso un galantuomo del calibro di Verdini.
Vale al riguardo il proverbio gallico “qui se rassemble s’assemble”, da noi tradotto in “chi si assomiglia si piglia”.
Nel confuso dopo elezioni che si annunzia, le occasioni per fare affari “trasversali” si moltiplicheranno, e – dati i personaggi che popolano il “giglio magico” – è da prevedere una proliferazione dei casi giudiziari.
Dopo la “politica – spettacolo” siamo ricaduti nella “politica – cronaca nera”, in stile “tangentopoli sull’Arno”.
Un movimento politico che constata l’impossibilità di raggiungere i suoi scopi, ha tre possibilità davanti a sé: o cambia gli obiettivi, o si scioglie, o si criminalizza.
Renzi sembra avere imboccato questa ultima strada.

Mario Castellano